Le forme dell’amore sono quelle in cui si realizza − nel modo più diffuso e condiviso − il sentimento fondativo di non essere soli al mondo. La forma in cui l’“altro” smette di essere soltanto una presenza indifferente e diviene quello da cui dipende la mia felicità. Che non risponde solo al sentimento narcisistico di essere amati ma a quello più radicale dell’amare, e dunque dell’essere esposti nello spazio instabile del desiderio. Per questo l’amore ha bisogno di segni e di espressioni. Che danno consistenza ad un “vuoto”, cioè a qualcosa che senza quei segni non prenderebbe corpo. Ma che attraverso quei segni non assume la solidità di una “positività” ma la fragile e unica consistenza di uno scarto, di un intervallo: tra corpi e linguaggi, parole e sentimenti, l’io e l’altro. Senza segni l’amore non si dà, ma i segni lo compongono come ciò che non è dato e dunque non è rappresentabile. L’amore attesta lo stato non rappresentativo del linguaggio e lo stato non produttivo dei corpi. E per questo è strettamente connesso alla sua rappresentazione e alla sua messa in scena: letteraria, pittorica, teatrale e cinematografica. Impossibile pensare all’amore senza il racconto che di esso se ne fa e senza le immagini che di esso ci sono state restituite.

Un bel libro recente, Amarsi di Giulio Busi e Silvana Greco, prende ad oggetto proprio alcune di queste immagini, tra le più potenti, quelle prodotte dall’arte rinascimentale, pittura e letteratura in primis. Arte che vede al centro l’uomo e il suo grande desiderio di vivere libero − come pensava Panofsky − dalla «protecting cover of symbolism». Questa libertà, che si respira ad ogni passo di un’arte collocata tra la tradizione medievale e il barocco della Controriforma, per potersi effettivamente realizzare non deve mai farsi capriccio. Deve attuarsi come potente arte della messa in scena, vincolata alla ritualità dei gesti, degli oggetti, dei segni e degli atti attraverso cui dare forma sociale e rappresentativa all’amore.

Quest’arte in Amarsi si articola in cinque parti: “Guardarsi”, “Parlarsi”, “Toccarsi”, “Baciarsi”, “Fare l’amore”. Ognuna delle quali è accompagnata da uno splendido apparato iconografico. È significativo che i titoli delle sezioni (ad eccezione dell’ultima), incluso quello del libro, identifichino non solo la forma della reciprocità – come dicono gli autori nel capitolo introduttivo – ma anche quella della riflessività. Guardarsi, parlarsi, toccarsi, definiscono insieme al modo del reciproco quella di una riflessività che porta a prendere le distanze dall’atto stesso che si sta compiendo. Guardare l’amata significa anche guardare se stessi nell’atto di guardare innamorati. Lo sguardo lascia emergere una componente riflessiva che rimanda, attraverso l’oggetto guardato, al soggetto che guarda. Questo rimando è fondativo del soggetto innamorato che è anche innamorato del suo amore.

Le immagini dello specchio nella grande pittura rinascimentale con cui si apre il libro (dalla Donna nuda allo specchio di Bellini alla Dama allo specchio di Giulio Romano) mettono in immagine lo scarto tra il soggetto che guarda e quello guardato, determinando un gioco di rifrazioni, sia nell’immagine riflessa, sia quando nella scena stessa vengono inclusi gli spettatori (amorini, giovani e “vecchioni”). Questo scarto turba nel meraviglioso Venere allo specchio (1555) di Tiziano, in cui la Venere nuda vede riflessa nello specchio solo una sola parte del suo volto ma invecchiata. La sua bellezza idealmente trasfigurata, ben acconcia e ricca di gioielli,  si riflette in un’alterità che ce la riconsegna a giovinezza finita.

Mentre ancora, ma siamo nel 1515, nella Donna allo specchio lo stesso Tiziano ci mostra una giovane seducente donna con capelli lunghi, biondi e sciolti, dove gli specchi, tenuti da un giovane, sono due, e quello alla nuca riflette anche la stanza, dà volume all’immagine attraverso la luce riflessa della finestra. Qui la potenza di seduzione è forte e si sviluppa nel circuito degli sguardi riflessi, nel quadro e in chi lo guarda. Lo sguardo, che è in primo luogo sguardo del femminile e sul femminile, ci riconsegna il primo movimento dell’amore, quello che nel chiuso delle stanze (e dell’io) fa del “due” un riflesso speculare dell’“uno”.

Il passaggio decisivo è al “tatto” e al “toccarsi” (una delle sezioni più belle – anche iconograficamente – del libro). Qui abbiamo da un lato la coincidenza riflessiva di toccante e toccato, l’esperienza originaria del “chiasma” di Merleau-Ponty, in cui il corpo proprio al tatto è “senziente” e “sentito” nello stesso tempo, senza bisogno di specchio alcuno. L’alterità è scoperta al fondo del proprio corpo, senza mediazioni riflessive, come nella magnifica Venere dormiente (1508-1510) di Giorgione, completata da Tiziano. Nuda, distesa sull’erba, occhi chiusi, mano sinistra distesa sul pube, la Venere, sottratta allo scambio di sguardi, è da un lato chiusa al mondo dal suo sonno, dall’altro tale chiusura sviluppa il tatto come il più sensuale dei sensi e la visione aptica come la più potente delle visioni. Tale apticità di sguardo è attenuata dalla Venere di Urbino che Tiziano dipinge nel 1538. Qui la Venere ha agli occhi aperti e quasi sfida lo spettatore interpellando il suo sguardo, come nota Mark Twain in A Tramp Abroad, colpito dall’oscenità del dipinto visto agli Uffizi e osservato da tutti: «I saw young girls stealing furtive glances at her; I saw young men gaze long and absorbedly at her; I saw aged, infirm men hang upon her charms with a pathetic interest».

Ma il “toccarsi”, al di là del suo tratto riflessivo, apre la pittura alla scena dell’interazione fisica, del combattimento d’amore, come Venere e Adone (1516) nel disegno magnifico di Giulio Romano, con la mano di Adone che orienta sensualmente il mento di Venere, o nella versione di Tiziano, dove la Venere ora è vista di spalle che cerca di trattenere Adone. Dalla dolcezza al pieno combattimento, quasi al senso di dominio che vediamo nell’Infedeltà (1575) di Paolo Veronese, dove Venere, nuda di spalle, combatte con due uomini, uno più giovane l’altro più anziano, con un fanciullino che le tiene un polpaccio. Dal rimirarsi speculare al toccarsi il passaggio è decisivo: dal teatro dell’io (narcisista) al combattimento con il tu, l’amore si fa scena, azione, lotta. E la visione, sottratta alla contemplazione, accede alla tattilità e al volume dei corpi.

Dopo il passaggio anche per la ritualità e i codici che reggono le interazioni tra i “due”, e che riguardano dichiarazioni d’amore e i baci (“parlarsi” e “baciarsi”), l’ultimo approdo è al “fare l’amore”. Qui il ruolo della parola letteraria integra e per molti versi soppianta quello dell’iconografia pittorica, che non può giungere sempre all’arditezza dell’immagine generata dalla parola. E se la tradizione aulica petrarchesca con Il canzoniere la vediamo tornare in molti dipinti dove sia in gioco il “guardarsi” e il “parlarsi”, qui gli autori partono da Matteo Maria Boiardo e l’Orlando innamorato, dove l’impulso amoroso prende la forma di una spinta inesorabile che non sa aspettare. Vediamo Brandimarte lanciarsi con la donna sull’erba ancora mezzo vestito: «Ma ancor di maglia e delle gambe armato / Con essa in brazo se colcò sul prato». E poi non pago tornare più volte a fare l’amore: «Sei volte ritornaro a quel danzare, / prima che il lor desio fosse ben spento» (Busi, Greco 2022, pp. 290-291).

Fino a giungere ai Sonetti dell’Aretino che accompagnano i Modi stampati da Raimondi (immagini di sedici posizioni di accoppiamento), e in cui non si ha più a che fare, come viene esplicitamente detto, con “sonetti” o “canzoni”, ma con uno stile basso in cui si dice che «vi sono genti fottenti e fottute / e di potte e di cazzi notomie» (ivi, p. 312). E qui − dicono gli autori − ci sorprendono nella rappresentazione degli accoppiamenti e dei coiti non solo «immagini esplicite» e «ancor più espliciti versi», ma soprattutto «la rinuncia ad ogni riferimento mitologico» (ivi, p. 323). Che quando è presente, cioè spesso, consente di attenuare la portata trasgressiva dell’immagine, come nelle tante versioni di “Leda e il cigno”.

Dal guardarsi davanti ad uno specchio, passando per parole, carezze e baci, per giungere ad amplessi e coiti, il Rinascimento che ci riconsegnano Busi e Greco afferma tutta la potenza del sentimento d’amore, dalla prospettiva interiore e psicologica a quella mitologica e naturale. Il tutto sotto la forza di un desiderio, che associato al costume delle corti e ai codici di comportamento di classi elevate, li rispetta per meglio trasgredirli, li osserva per poter preservare alla fine tutto il piacere di non corrispondervi. Una potenza di vita che attraversa uomini e donne, giovani e vecchi, nobili e cortigiane, uomini di chiesa e laici, duchi ed artisti. E li attraversa non senza rischi, che corrono gli stessi artisti quando sfidano la morale o quando loro stessi si gettano in avventure e tradimenti. Nelle prime pagine del libro, gli autori ci dicono che i modelli di quest’epoca «sono ancora dominanti oggi» (ivi, p. 11). Questo non ci convince. I modi dell’amore incarnano in forma profonda le forme di vita di un’epoca. Ed oggi la distanza sembra siderale da quella potenza di desiderio rinascimentale che, correndo rischi, trovava sguardi, parole, gesti, atti, capaci di corrispondervi.

Oggi tutto sembra segnato da un astio rivendicativo, molto spesso sordo, che è la forma che prende – nascondendosi a se stessa – una radicale mancanza di desiderio; o sembra segnato da una postura vittimaria (modello #metoo) come unico e residuale modo di pensare e sentire il rapporto del femminile e del maschile; o da istanze di mero controllo dell’altro attraverso cui la vecchia “morale del valore” si è fatta aggiornata “attitudine psicologica”. Il risultato è che nessun racconto oggi, né mitologico né realistico, come testimonia il cinema stesso (De Gaetano 2022), sembra capace di rivitalizzare i modi dell’amore. Ma le forme di vita hanno andamento ciclico e, anche se nessun nuovo Rinascimento si vede all’orizzonte, iniziare a immaginare nuovamente i modi dell’amore, attraverso le sorgenti artistiche e letterarie, è un compito al quale non ci possiamo più sottrarre.

Riferimenti bibliografici
R. De Gaetano, Le immagini dell’amore, Marsilio, Venezia 2022.

Giulio Busi, Silvana Greco, Amarsi. Seduzione e desiderio nel Rinascimento, Il Mulino, Bologna 2022.

L’immagine presente nell’articolo e in anteprima è un dettaglio della copertina del libro.

Tags     amore, modi, toccarsi
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