Nel mercato della città olandese di Aalsmeer ogni giorno milioni di fiori vengono raccolti, ordinati, raggruppati, distribuiti e trasportati seguendo un processo completamente automatizzato. Di fronte alle statiche e ripetitive azioni tipiche del sito industriale, la camera si sposta liberamente, affastellando piani riavvicinati che si concentrano sui volti degli operai, indifferenti alla bellezza dei fiori maneggiati, e sui gesti meccanici delle mani mentre manipolano i bouquet. Il piano sequenza è adottato per assecondare un movimento fluido che percorre gli spazi occupati in un’attività senza fine. Sono queste le sequenze che compongono la prima parte del film A Flower in the Mouth di Éric Baudelaire, presentato in anteprima nazionale al festival Lo schermo dell’arte, un evento internazionale dedicato a quel vasto insieme di opere che si collocano tra le forme audiovisive dell’arte contemporanea e il cinema.

Il regista franco-americano Éric Baudelaire è un esponente del cinéma du réel; la questione del reale attraversa le sue opere in modo ludico e disinvolto e si sviluppa attraverso la costruzione del verosimile quale occasione per riflettere sull’intercambiabilità tra realtà e finzione, nonché sulla documentalità propria delle immagini. Questi temi sono alla base di mockumentary come The Makes (2009) interpretato dal critico Philippe Azoury, nei panni di un critico immaginario che ricostruisce la storia di un inesistente periodo giapponese nella produzione di Michelangelo Antonioni, e [SIC] (2010) ambientato a Kyoto in una realtà distopica, e che segue una giovane donna impegnata nel lavoro del bokashi, ovvero l’oscuramento delle illustrazioni oscene presenti nei libri.

In A Flower in the Mouth Baudelaire suddivide la storia in due parti: il primo episodio è prettamente dedicato all’osservazione del già menzionato mercato di Aalsmeer, mentre il secondo si basa sul testo pirandelliano L’uomo dal fiore in bocca, da cui deriva il titolo del film. Collocandosi in un contesto ibrido tra documentario, finzione e film d’arte, l’opera nasce come installazione artistica, presentata alla fine dell’anno 2021 nella galleria svizzera Kunst Halle Sankt Gallen, e intitolata Death Passed My Way and Stuck This Flower in My Mouth. In questo contesto, l’esibizione è legata all’emergenza pandemica, per cui il fiore reale e metaforico rispecchia la precarietà della condizione umana in un momento di crisi. L’installazione comprende la proiezione su più monitor delle immagini del film in funzione di un’immersione intima nell’opera che è stata ulteriormente potenziata dalla scelta delle sequenze prive del dialogo pirandelliano e orientate all’esplorazione dello spazio.

La migrazione del dispositivo dalla cine-installazione al film per un unico schermo ha privilegiato invece la dimensione temporale e un conseguente recupero della parola. In questa versione appare in modo integrale il secondo episodio che ha al centro il monologo di un malato di epitelioma, il tumore chiamato comunemente “il fiore in bocca”. Nell’intreccio ripreso dall’opera di Pirandello, i personaggi fuggono, a diversi livelli di intensità, dalla concatenazione causale che sovradetermina lo scorrere della vita quotidiana. Insieme all’uomo malato c’è un viaggiatore che, dopo aver perso il proprio treno per ritornare a casa, per caso si ferma nel bar in cui il protagonista è abituato a passare le sere. Per questo viaggiatore la notte parigina passata in veglia non è che un’eccezione delimitata nella catena causale in cui rientrano i fatti della sua esistenza. La vicinanza alla morte costituisce invece per il protagonista un ostacolo che non può essere superato, per cui, essendo incapace di agire, l’uomo è costretto ad una condizione di inattività in cui non gli rimane che osservare in modo ossessivo ciò che lo circonda mentre girovaga per la città.

La registrazione della realtà a cui l’uomo si dedica innesca un processo creativo che va oltre gli oggetti. Per il personaggio le vetrine dei negozi e le finestre degli appartamenti sono equivalenti e si offrono allo stesso modo al suo sguardo; non si accontenta di vedere dall’esterno ciò che accade oltre i vetri ma si abbandona ad immaginare, quasi controvoglia, cosa accade nella dimensione interiore delle persone osservate, o quello che potrebbero fare dopo, quando il suo sguardo non potrà più raggiungerli.

L’immaginazione del personaggio si interessa anche alla dimensione temporale oltre che spaziale, per cui egli si diverte a visualizzare le vicende di oggetti comuni come sedie e tavoli, che resistono negli anni ed entrano a contatto con numerose persone. Non riuscendo a spiegare a sé stesso quella che chiama l’assurdità dei propri discorsi astratti, l’uomo si esprime nel seguente modo: “Un’immagine ti attraversa il pensiero. Per essere sostituita da un’altra. Non sono collegate, eppure per lei non sono prive di un rapporto. Esiste una ragione per questo. Derivano dalla tua propria esperienza”. Si tratta di una riflessione che, a partire del testo di Pirandello, richiama il ruolo del lavoro dell’immaginazione, in particolare sul piano esterno della coppia dentro/fuori in cui questo «riconosce e interpreta immagini presenti nel mondo e inoltre (oggi sempre più spesso e più massicciamente) le progetta e le produce, le manipola e ne fa oggetto di condivisione» (Montani 2017).

Questo lavoro di manipolazione di immagini del mondo avviene in questo film attraverso il montaggio realizzato da Claire Atherton, collaboratrice della regista Chantal Akerman. Così si viene a instaurare tra i due episodi apparentemente distanti, il primo reale e il secondo finzionale, un «potenziamento reciproco» (ibidem) che apre il campo all’esperienza dello spettatore, al quale spetta in ultima istanza il compito di individuare i rapporti di tipo estetico, sociale e politico che tengono insieme le immagini.

Riferimenti bibliografici
P. Montani, Dentro/Fuori. Il lavoro dell’immaginazione e le forme del montaggio, a cura di S. Capezzuto, D. Ciccone, A. Mileto, il lavoro culturale, 2017 (ebook).

A Flower in the Mouth. Regia: Éric Baudelaire; sceneggiatura: Éric Baudelaire, Anne-Louise Trividic; montaggio: Claire Atherton; fotografia: Claire Mathon; interpreti: Oxmo Puccino, Dali Benssalah; produzione: Les Films du Worso, Poulet-Malassis, Flaneur Films, M141 Productions, Proarti, Jeonju International Film Festival; origine: Francia, Corea del Sud, Germania; durata: 67′; anno: 2022.

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