Un pensiero per immagini trova la sua posta in gioco nel riuscire a portare nel mondo della veglia il dinamismo iconico notturno, senza lasciare che si perda in un flusso informe e immemore. Per Walter Benjamin il pensare è, in buona misura, questo tipo di pensare per immagini. È questa l’intuizione che emerge dal libro di Gianluca Solla, Walter Benjamin. Pensare per immagini, inventare gesti, recentemente pubblicato da Feltrinelli. Non si tratta, dunque, del Benjamin pensatore del linguaggio, leitmotiv di tante ricerche degli scorsi decenni su questo autore, ma di un altro Benjamin, indagato attraverso le sue molteplici sfaccettature. 

L’accesso a una punteggiatura immaginaria è permesso dalle interferenze percettive che hanno luogo nel sogno che viene condotto dalla memoria involontaria. In questa circostanza, l’ordine consueto dell’esperienza subisce una deviazione e i tempi e le velocità degli eventi si dilatano e si contraggono, accelerano e rallentano, le forme convergono verso un movimento inquieto che mal si adatta ai criteri descrittivi adoperati nel quotidiano. Nello specifico, il sogno con le sue immagini cangianti è un cristallo di tempo, che si presenta alla visione come un luogo minerale in cui più sezioni di tempo si stratificano e dove la linearità cronologica appare sospesa. «L’idea è che l’immagine come noi la frequentiamo, non sia là tanto per mostrare degli stati di fatto, bensì per inventare delle forme, e precisamente, quelle forme in cui vivono gli esseri umani, nelle loro innumerevoli variazioni» (Solla 2023, p. 148).

Le immagini oniriche possono essere trasposte in un racconto solo fino ad un certo punto. Quando al risveglio si cerca di renderle in parole, qualcosa fa resistenza, nonostante tutto l’impegno. Nel momento in cui si tenta di descrivere anche solo le varianti cromatiche del sogno, è come se si provasse a «rivoltare verso l’esterno la fodera del tempo» (ivi, p. 134). Qualcosa nel racconto suona sottotono. Qualcosa di opaco, di noioso prende il sopravvento mentre la fodera multicolore dell’interno del sogno resta sempre segreta, «protetta dal panno grigio del racconto» (ibidem).

Il registro del discorso e quello dell’immagine sono reciprocamente intraducibili, poiché recano in sé delle temporalità differenti. Il ritmo della narrazione, con la sua linearità e continuità, rappresenta lo strato di superficie di livelli più profondi dove le immagini si danno come resti, ovvero come residui onirici. Tuttavia, è proprio sul labile confine delle parole che le immagini diventano un viatico per accedere a mondi inediti, pur apparendo interdette alla dimensione di quel che può essere detto. 

Per Benjamin, le immagini non sono rilevanti tanto per una loro presunta qualità mimetica, quanto per un’accresciuta capacità di raggiungere un reale che sfugge, che non coincide mai con se stesso, perché è per sua natura sfaccettato e costantemente in divenire. Lavorando nel sottosuolo dei discorsi, in quella “fodera multicolore” del tempo, l’immagine riesce, a suo modo, con la sua abilità di trasformazione, a essere parte di questa molteplicità in divenire. Attraversato da un sommovimento tettonico, il divenire del reale, nel suo evolversi, si sviluppa in un altro ordine di grandezza di tempo rispetto alla nostra percezione ordinaria, perché scandito in ritmi imprevedibili, fatto di slanci e di pause, di cui l’immagine diventa l’espressione privilegiata, tanto che anche la storia non si frammenta in altrettante storie, ma in immagini. Infatti, in questo caso, come scrive Solla, si tratta di «un’immagine che sfugge al controllo che la scienza sembra esercitare nel suo dominio. Essa coincide con il punto in cui si riconosce l’irruzione di quel tempo che Benjamin chiama il “tempo di adesso”, che si potrebbe tradurre l’“adesso!” che prorompe nelle cose. Non è solo l’esperienza dell’immagine ma, più precisamente, è l’esperienza del tempo in immagine» (ivi, pp. 193-194). Ciò che rimane di un tempo vissuto sono i suoi resti dati per immagini. Ed è proprio a partire da quei frammenti che le immagini sono densamente abitate dal tempo che ci rimandano, consentendo ancora una volta di farne racconto, ossia di farne esperienza, generando altre immagini.

Nelle indagini benjaminiane, la produzione di immagini mediante i dispositivi fotografici e cinematografici riesce a ricongiungersi a quei mondi inediti, che al pari del sogno riesce a disvelare. Con la tecnologia si può incontrare nuovamente quel dinamismo segreto che si nasconde nell’ordinarietà della percezione. Coi loro obiettivi, sempre aperti sul mondo del divenire, riescono a cogliere, nelle trame del reale, visioni oniriche di cui si erano perse le tracce. Non a caso, Solla si sofferma sulla raccolta di fotografie di Karl Blossfeldt, Urformen der Kunst, che con la tecnica dell’ingrandimento mostra una vita brulicante nel mondo vegetale. Osservandole, si viene catturati dalla loro tensione interna che quasi ne smentisce la staticità, dato che le forme sorprendenti assunte dalle piante in quelle pose ravvicinate sembrano stare sempre sul punto di trasformarsi, emanando un senso di inquietudine. 

La variazione di temi e di forme, unitamente alla loro infinita potenzialità combinatoria, presenta la capacità inesauribile di ricontattare nella visione un mondo onirico, cui allude la fotografia, poi ampiamente tematizzato in cinematografia attraverso la tecnica del montaggio. Si evidenzia così nel testo di Solla una lettura del cinema operata attraverso la lente di Benjamin, per cui la singolarità dei fotogrammi, immagini in particelle separate di moto, si ricompone nel movimento della sequenza. In un moto oscillante tra scomposizione e ricomposizione, il cinema è in grado di compiere il “rovesciamento della fodera del tempo”, che al solo registro del linguaggio non è possibile. Al pari delle immagini oniriche, il cinema plasma tempo e spazio, offrendo una visione su un mondo che precedentemente non era dato a vedere, lavorando per immersione nel mondo reale, catturando e riprendendo situazioni appartenenti immediatamente a un immaginario che fa a meno delle parole per descriverlo. «Nulla da dire, solo da mostrare» scrive Benjamin.

Pensare per immagini non vuol dire tagliare i ponti col linguaggio, quanto piuttosto integrare tra le tecniche di scrittura e pensiero anche i gesti suggeriti dai moderni dispositivi, facendo del montaggio la cifra di un pensiero in grado di attraversare il territorio tortuoso delle immagini andando oltre le parole. Pensare per immagini vuol dire quindi operare attraverso un’attività combinatoria di elementi eterogenei che implichino un’invenzione, sempre continua, di nuove forme dell’esistere. Questa è la posta in gioco a cui si riferisce Benjamin quando allude al mondo delle immagini, nell’attimo della loro conoscibilità, quando mostrano tutta la loro possibilità di attingere alla loro stessa capacità di trasformazione. Un pensiero per immagini è un’attività capace di scrivere una storia, controeffettuando l’irrevocabilità del dato di fatto e sprigionando tutto l’avvenire racchiuso nel passato. 

Come tasselli della memoria, le immagini fotografiche non si soffermano sul semplice dato. Nel loro tentativo di fissare un istante di vita, prospettano un’esperienza che risiede nell’ordine del paradosso temporale. Di fronte all’immagine, come di fronte alla fotografia, ci si espone ad un estraniamento perché in quel mentre, un momento di vita è già passato; tuttavia, in quello stesso istante è proprio il passato a venirci incontro. Si verifica così una sorta di collasso temporale in cui le dimensioni del passato e del presente arrivano a sovrapporsi nell’attimo della visione. Ci si espone così alla potenza dell’evento, oltre il suo stesso tempo, che insiste nella necessità iconica rappresa finanche sulla materialità dei dispositivi tecnologici. Questa circostanza apre ad una nuova visione che consente di modificare la relazione con ciò che è stato. 

Il pensiero per immagini è prima di tutto attraversare il tempo per trovare nuove forme di affermazione. Attraversare le immagini vuol dire sondare il tempo, non tanto per affermare il nuovo, ma per sperimentare la possibilità di oscillare a passi felpati sulle immagini, trovando qualcosa che non è ancora dato alla visione.

Gianluca Solla, Walter Benjamin. Pensare per immagini, inventare gesti, Feltrinelli, Milano 2023.

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