Un desiderio indecifrabile muove l’azione narrativa di Vittoria, il film con cui Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman tornano a Torre Annunziata e afferrano e sciolgono il filo di una storia che da quel luogo, e dai margini di un loro film precedente, prende vita. Jasmine è una donna che conduce quella che si potrebbe definire un’esistenza normale: fa la parrucchiera, la sua attività è ben avviata, ha tre figli – il maggiore sta per trasferirsi a Milano per seguire le orme della madre, e per provare a migliorare la sua condizione. Eppure Jasmine è inquieta, inseguita da un desiderio che lei stessa non riesce a spiegarsi, ma che si impone nella sua quotidianità come un’urgenza: avere una figlia femmina. Dopo la morte del padre, le sue notti sono segnate da un sogno ricorrente: lei e il padre si trovano a due lati opposti di una strada, il padre dà la mano ad una bambina, che si stacca da lui e le va incontro per abbracciarla. Lei deve trovare quella bambina. Comincia così un percorso difficile – non soltanto per l’iter complicato e a tratti opaco dell’adozione internazionale, ma anche per le resistenze che la protagonista incontra nella sua stessa famiglia – che la porterà fino a Vittoria, una bambina bielorussa che aspetta di essere accolta in una famiglia.

Come accade nei lavori precedenti di Cassigoli e Kauffman, il film si muove tra la fiction e il documentario: gli attori sono i reali protagonisti della storia scoperta dai due registi durante le riprese del film Californie (Jasmine alias Marilena è la proprietaria del salone di bellezza in cui la protagonista del film precedente lavora). Si tratta quindi di interpretare qualcosa che i protagonisti hanno realmente vissuto e che tramite la messa in scena può essere non soltanto raccontato, ma anche elaborato dai protagonisti stessi. Nel raddoppiamento della vita nell’immagine rivivono le tensioni, le contraddizioni, il detto e il non detto che abita qualsiasi famiglia, ma che trova nello spazio dello schermo un luogo di disvelamento. 

Il tema dell’elaborazione è implicitamente al centro del film. Questo desiderio inspiegabile, che rischia di mettere a repentaglio l’equilibrio familiare, trova una presunta origine nel lutto e nel sogno che ad esso segue. Chi è quella bambina che va in contro a Jasmine e la abbraccia?  Nel proiettarsi verso qualcosa di completamente nuovo Jasmine si riappropria di un pezzo di sé andato perduto con la morte del padre. Si tratta di una nostalgia vitale che porta a esplorare nuovi sentieri. Scrive Recalcati (2022), riprendendo Freud e Lacan, sul rapporto tra il lavoro del lutto e la nostalgia:

Esiste pero un secondo volto della nostalgia. Qui in primo piano non abbiamo lo sguardo triste di Ulisse che, osservando l’orizzonte del mare aperto, agogna il suo ritorno verso casa. Né la tristezza melanconica dei soldati o dei marinai che soffrono la lontananza dalla propria patria. In questo secondo volto della nostalgia, al centro non c’è più il passato e la sua idealizzazione melanconica ma il rapporto inedito tra il passato e l’avvenire. È secondo Lacan, la doppia anima del desiderio umano: da una parte il desiderio come rimpianto fondamentale, (…) dall’altra il desiderio come apertura inaudita, tensione verso il il nuovo, l’altrove, il non ancora visto, conosciuto, vissuto (p. 102).  

Jasmine, che fino a quel momento non voleva patteggiare nella causa contro la fabbrica di Bagnoli in cui il padre, morto di cancro, lavorava, decide di trasformare materialmente ciò che resta della morte del padre e di utilizzare proprio quei soldi per far fronte alle spese legate all’adozione. Questo processo di elaborazione del lutto e di ricostruzione di un nuova relazione, in cui persiste qualcosa del passato ma si genera anche qualcosa di completamente nuovo, emerge anche nel momento finale e più intenso del film. Giunti in Bielorussia, Jasmine e il marito Rino, che fino a quel momento si era opposto a questa iniziativa della moglie, incontrano Vittoria: la bambina potrebbe avere dei problemi cognitivi e così le operatrici dell’orfanotrofio e Jasmine stessa tentano di verificare tramite alcuni esercizi.  Dinanzi a quella che sembra una vera e propria costrizione, Rino abbraccia la bambina e la sottrae a questa forma di violenza, concludendo che qualsiasi problema sarebbe stato risolto da loro in famiglia. Una nuova relazione padre-figlia si è creata. 

La forza del film, tuttavia, sta nella essenziale inconsapevolezza che muove i personaggi e si mostra attraverso un lavoro di costruita sottrazione che la regia opera, presentandoci in una forma depotenziata quello che poteva essere un melodramma napoletano, trattenuto, non nella potenza vitale, quanto proprio nella messa in scena. Il processo di elaborazione, del lutto, e realizzazione del desiderio non viene rappresentato, ma semplicemente lasciato accadere. Nel restituire attraverso l’immagine una storia emotivamente intensa, la regia sembra limitarsi ad osservare le azioni dei personaggi, pedinati dalla camera a mano e poi ispezionati da continui primi piani. I protagonisti sembrano coincidere perfettamente con la propria presenza corporea, con le proprie azioni, con quella spinta vitale, inspiegabile, irrazionale, che non può essere contenuta e che nell’arco del film da Jasmine si traferisce a Rino, da una figlia che ha perso il padre ad un padre che trova una figlia. Una forza che attraversa il film e gli dà forma, che eccede qualsiasi racconto, spiegazione, pensiero, e che semplicemente viene vissuta. E il film vive insieme ai suoi personaggi, ai luoghi che loro abitano, alla lingua che parlano, ai piccoli grandi momenti di una vita familiare che si ricostruiscono e si rivelano nella loro unica irripetibilità: il pranzo in famiglia per salutare il figlio che si appresa a emigrare, la festa per lo scudetto del Napoli, la lite tra moglie e marito sulla domanda delle domande: i figli sono di chi se li cresce o di chi li fa? Nell’assoluta semplicità di una vita che non è nient’altro che normale, finanche nella sua messa in scena, il film permette di cogliere l’eccezionalità dei sentimenti e di quei desideri inspiegabili che ci tengono in vita. 

Riferimenti bibliografici
M. Recalcati, La luce delle stelle morte. Saggio su lutto e nostalgia, Feltrinelli, Milano 2022.

Vittoria. Regia, sceneggiatura: Alessandro Cassigoli, Casey Kauffman; fotografia: Melissa Nocetti; montaggio: Alessandro Cassigoli; musiche: Giorgio Giampà; interpreti: Marilena Amato, Gennaro Scarica, Vincenzo Scarica, Anna Amato, Nina Lorenza Ciano; produzione: Zoe Films, Sacher Film, Scarabeo Entertainment, Ladoc, Rai Cinema, con il sostegno di Film Commission Regione Campania; distribuzione: Teodora Film; origine: Italia; durata: 89’;
anno: 2024.

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