La nostra epoca è caratterizzata da una mobilità senza precedenti: le spinte della digitalizzazione e della globalizzazione hanno generato un movimento continuo di immagini e persone in tutto il globo. L’individuazione di questo primato storico porta Thomas Nail (2019, p. 54) a identificare nel migrante e nell’immagine-movimento rispettivamente le forme politiche ed estetiche che definiscono la vita nel XXI secolo. Ma cosa succede quando questo flusso insieme umano e immaginario viene ostacolato? È la domanda alla quale Alejandro Rojas e Juan Sebastián Vásquez cercano di rispondere con il loro esordio alla regia.
In Upon Entry, i registi venezuelani residenti in Spagna traggono spunto dalla loro esperienza personale per raccontare la violenza sistematica dei processi migratori. Nelle sequenze iniziali del film, la coppia formata da Diego ed Elena appare impegnata in diversi spostamenti: prima nel taxi che li porterà all’aeroporto, poi nel volo diretto a New York e infine nell’attesa di superare il controllo passaporti. Durante il viaggio, essi riescono a rimanere sempre connessi ad amici e parenti facendo delle chiamate ed inviando dei messaggi attraverso gli smartphone; negli scambi sentiremo lui usare lo slang del Paese di origine (Venezuela) mentre lei parla in catalano. In questa sezione iniziale, la macchina da presa sembra assecondare la mobilità della coppia ricorrendo a movimenti fluidi, mantenendo allo stesso tempo una distanza che permetta di circoscrivere le figure nello spazio.
Nonostante le inquadrature del film inizialmente li ritraggano sempre insieme, Diego ed Elena scopriranno ben presto che non tutti i migranti godono dello stesso grado di mobilità (Baumann 2017). Il progetto del viaggio è messo in crisi quando entrambi sono portati in un ufficio per rispondere a ulteriori domande. Nella caratterizzazione dei personaggi c’è un aperto contrasto tra i due che possiamo descrivere ricorrendo alle tipologie di viaggiatori di Baumann:
I turisti si muovono perché trovano che il mondo alla loro portata (globale) è irresistibilmente attraente, i vagabondi si muovono perché trovano che il mondo alla loro portata (locale) è inospitale, fino ai limiti della sopportazione. I turisti viaggiano perché lo vogliono; i vagabondi perché non hanno altra scelta sopportabile (2017).
Mentre Elena assume ancora degli atteggiamenti da “turista”, rivendicando che le vengano date spiegazioni sull’ingiustizia subita, Diego invece appare sin da subito più remissivo, disposto a collaborare e preoccupato di evitare di attirare l’attenzione su di sé. Gli interrogatori a cui i protagonisti sono sottoposti sono per lo più ambientati all’interno di una piccola stanza; in queste scene, il montaggio contribuisce a mantenere la tensione narrativa alternando campo e controcampo e inquadrature che riprendono i soggetti da distanze diverse. Le discrepanze valoriali tra i due protagonisti risulteranno sempre più palpabili nel corso dell’indagine, e così anche le immagini mostreranno la frammentazione dell’unità iniziale. Il punto di rottura è veicolato in maniera immediata, collocando l’ufficiale d’immigrazione al centro dell’inquadratura, dividendo a metà lo spazio occupato dalla coppia.
Nel corso degli interrogatori assistiamo infatti a una «personalizzazione della geografia politica» (Casetti, Zucconi 2021), in cui l’indagine sulle motivazioni della migrazione negli Stati Uniti si trasforma rapidamente in una dissezione del rapporto amoroso. La scoperta di una relazione passata di Diego, di cui la compagna è stata tenuta all’oscuro, porta gli investigatori a interessarsi alla natura dei sentimenti che legano i due, insinuando che dalla parte dell’uomo ci sia un coinvolgimento puramente strumentale.
Ecco che i personaggi sono sottoposti a domande che poco hanno a che fare con loro progetti migratori: perché essi non si siano mai sposati, se pensano di avere figli, la frequenza dei loro rapporti sessuali. Tra i due, il venezuelano Diego è visto con sospetto perché si trova in una condizione di mancanza: ha lasciato il Paese d’appartenenza ed è alla ricerca di una nuova nazione che possa accoglierlo. Dal suo canto, Elena è messa di fronte alle conseguenze effettive della sua scelta; nonostante lei sia ancora legata agli affetti familiari, il tempo che potrà passare in futuro con i genitori anziani ancora residenti in Spagna sarà molto limitato.
Il finale del film prospetta un’apertura vittoriosa per la coppia, in cui i registi Rojas e Vásquez scelgono di non indagare oltre, salvaguardando la dignità dei personaggi per concentrare invece la loro critica sulla violenza aleatoria del sistema. Restituendo il movimento a personaggi e immagini, Upon Entry propone uno sguardo interno ed originale sulla figura del migrante e sul confine.
Riferimenti bibliografici
Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Bari 2017.
F. Casetti, F. Zucconi, Confini mediatizzati, confini incarnati, in Il luogo del cinema, tra marcature e attraversamenti, Identità, Confine. Geografie, modelli, rappresentazioni, a cura di L. Quaresima, Mimesis, Milano-Udine 2021.
T. Nail, The Migrant Image, in B. Dogramaci, B. Mersmann, Handbook of Art and Global Migration. Theories, Practices, and Challenges, De Gruyter, Berlin 2019.
Upon Entry. Regia: Alejandro Rojas, Juan Sebastián Vásquez; sceneggiatura: Alejandro Rojas, Juan Sebastián Vásquez; fotografia: Juan Sebastián Vásquez; montaggio: Emanuele Tiziani; interpreti: Alberto Ammann, Bruna Cusí, Ben Temple, Laura Gómez; produzione: Zabriskie Films, Basque Films, Sygnatia; distribuzione: Exit Media; origine: Spagna; durata: 74′; anno: 2022.