Il recente film di Louis Garrel L’uomo fedele può essere ascritto alla tradizione francese del marivaudage, ovvero a quella atmosfera giocosa nelle relazioni tra uomo e donna che vedono nelle strategie implicate nella seduzione un modo manifesto di raffigurare “il ponte che l’amore getta tra due solitudini”. Con un inizio del film ben orchestrato in medias res, assistiamo all’annuncio da parte di Marianne ad Abel di attendere un figlio da Paul, il migliore amico del compagno. La porta chiusa su cui sosta la macchina da presa dopo l’allontanamento del giovane uomo, ancora stordito dalle parole della donna, segna la separazione tra i due. Al contempo il suono fuori campo che segnala il precipitare del protagonista nelle scale dell’edificio, per poi ritrovarlo per strada malconcio a seguito della caduta, rimanda al tono di L’uomo fedele: le peripezie dell’amore sono narrate con lievità, venata da quella sottile ironia che modella situazioni di tristezza traducendole in umori nutriti da leggerezza. Il terzo personaggio coinvolto negli inciampi del desiderio, Ève, adolescente da sempre attratta da Abel e sorella di Paul, porge in strada un fazzoletto al giovane perché si ripari dalle ferite riportate. Il protagonista non riconoscendola, la ringrazia per il gesto gentile. Il triangolo amoroso che alimenta la narrazione è da subito messo in scena.

Con una ellissi che ci trasporta dopo diversi anni al funerale di Paul, colto da morte improvvisa, assistiamo a una traiettoria di sguardi che indica precise posizioni dei tre protagonisti. Abel (Louis Garrel) fissa senza tregua Marianne (Laetitia Casta) inquadrata di spalle, Ève (Lily-Rose Depp), ora diciottenne, osserva insistentemente il protagonista senza essere ricambiata. Le triangolazioni delle voci off che nel corso della narrazione si avvicendano per rendere manifesti eventi del passato legati al sentire dei singoli personaggi aderiscono a tale geografia visiva, inaugurata nel film fin dal suo inizio. Esemplare a tale proposito l’immersione di Marianne in falde di memoria: con il volto illuminato dalla luce di una finestra e gli occhi rivolti verso l’esterno, udiamo la sua voce ricordare come nel passato, anche se unita a Paul, abbia continuato a seguire la vita di Abel.

Joseph, figlio preadolescente di Marianne, che nel corso del film al pari di un directeur de thêatre tesserà la comunicazione tra i tre, seminando sospetti e alimentando speranze in Ève per allontanare Abel dalla propria madre, coglie tempestivamente l’articolazione dei singoli sguardi e con una certa ostilità i riflessi ad essa connessi. Una simile configurazione espressiva viene mostrata in un’altra sequenza, allorché Abel, separato per una seconda volta da Marianne, e ora intrappolato in una relazione con Ève, si reca con nostalgia da Joseph. Mentre il suo sguardo muto incontra quello del ragazzino, lo scopriamo essere spiato dalla giovane amante, nascosta in automobile a poca distanza.

Sguardo e parola, da sempre elementi aurorali delle relazioni d’amore, dettano all’interno del film le rispettive dinamiche. Saranno le due donne a condurre la danza dell’amore, mentre Abel, imbrigliato nell’enigma di un femminile difficile da decifrare, si farà portare, al pari di un contemporaneo Antoine Doinel, dalle tattiche seduttive delle due protagoniste. Simmetriche inquadrature e posizioni tessono i fili di un universo femminile consapevole della propria potenza decisionale. Entrambe le protagoniste vengono riprese in momenti diversi vicine a una finestra, modulo figurativo ricorrente nel cinema del padre del regista, Philippe Garrel, influenzato dall’arte di Godard. In altri frangenti, le due appaiono accostate mediante associazioni allusive operate dal montaggio. In particolare due momenti emblematici della narrazione vedono i rispettivi volti vicini a uno specchio, suggerendo nella figurazione delle due donne differenze nel considerare il rapporto con il tempo e con le contingenze dell’amore.

Scorgiamo il volto di Ève ripreso di due terzi con la sua immagine duplicata in uno specchio senza che i suoi occhi incontrino il loro riflesso. Siamo all’interno di un flashback, e la sentiamo interrogarsi sulla natura del desiderio nei confronti di Abel che, una volta soddisfatto, sembra deluderla. In brani successivi il confronto per strada con il volto di un uomo anziano, mentre riflette del suo futuro con Abel, scava in lei una domanda sulla relazione con l’uomo perennemente rincorso: avverte il timore di non essere in grado di sostenere il legame per una durata prolungata. E se, come sottolineato da Alain Badiou, l’amore inventa una maniera diversa di perdurare nella vita, porta a vivere un’esperienza che si strappi dalla casualità dell’incontro, forse possiamo leggere in questa faglia che si insinua nella mente della giovane tratti del suo sentimento non coincidenti con tale affetto.

La sua pare piuttosto la ricerca reiterata, sin da adolescente, di un riconoscimento del suo essere attraverso lo sguardo di Abel, riconoscimento non solo fisico ma più intimamente simbolico. Lei, dominata ossessivamente da un innamoramento che sembra assumere nel corso della narrazione i tratti di una fissazione immaginaria, ricorda tristemente di essere stata per lui sempre invisibile. E ora che, superata l’adolescenza è riuscita a realizzare l’incontro, scopre, come insegnato da Lacan, che “quando nell’amore domando uno sguardo, quello che c’è di fondamentalmente insoddisfacente e di sempre mancato è che Tu non mi guardi mai là da dove io ti vedo”. Marianne, più matura, cerca diversamente nell’incontro rinnovato “tra due” l’avvento della parola, della parola d’amore che fissi il caso in un nuovo inizio. In La signora della porta accanto (Truffaut, 1981), Mathilde chiede al proprio amante di pronunciare il suo nome come avveniva in passato. Nel film di Garrel viene replicata la stessa domanda e la protagonista esprime il desiderio che sia sussurrato al proprio orecchio.

Dopo essere stata informata in maniera secca dalla sua rivale della ferma intenzione di strapparle Abel per vivere con lui una storia d’amore da sempre rincorsa, pur consapevole del rischio, idea una macchinazione, desiderando di essere nuovamente scelta dall’uomo per la propria unicità. Sussurra una notte, all’orecchio di Abel, di aver notato come gli occhi di Ève lo abbiano fissato a lungo durante il funerale di Paul, insinuando in lui il piacere narcisistico di essere al centro dell’attenzione di una giovane e attraente donna. Sere dopo, dinanzi allo specchio, propone ad Abel che faccia l’amore due tre volte con Ève, adducendo, rispetto alla meraviglia manifestata da lui intorno a tale proposta, la consapevolezza di saperlo sensibile al fascino femminile e dunque possibile preda del desiderio della giovane. La protagonista, di fronte all’immagine di sé allo specchio, sceglie il rischio, sceglie di sfondare la superficie immaginaria, di andare al cuore di una verità abbracciando una costruzione. Mostra così, con la parola, di saper giocare di maschera, direbbe Lacan, di saper vestire quei sembianti particolari dell’essere donna che la orientano a mettere in gioco, seppur con il rischio di perdere il proprio amante, una prova d’amore volta a rinnovare la propria posizione nell’anelito che l’amore sia ri-dichiarato, ridisegnato nella forma di una esperienza soggettiva. Il dono d’amore, sostiene Lacan, è nel donare all’altro la propria mancanza.

E se la forma del “rimatrimonio” sancisce la riunione di Marianne e Abel alla fine della narrazione, è necessario che un altro personaggio provochi nei protagonisti l’esperienza del vuoto e della mancanza. Joseph scompare improvvisamente, e la sua imprevedibile assenza riunisce tutti attorno alla lapide della figura più volte evocata, ma mai trasposta in immagine: Paul. L’ultima immagine del film, con un movimento verticale della macchina da presa che a partire dai protagonisti ripresi di spalle si volge verso il cielo, può anche essere letta quale richiamo a quella iniziale: una panoramica laterale riprende tetti di Parigi su cui si staglia, lambendo il cielo, la Tour Eiffel, icona amata da Truffaut. Richiamo forse al variegato tessuto di citazioni che abbiamo visto scorrere davanti ai nostri occhi. Testimonianza della filiazione e della fedeltà ai principi estetici di un cinema riscritto al presente con altri occhi e altre parole.

Riferimenti bibliografici
A. Badiou, Elogio dell’amore, Biblioteca Neri Pozza, Vicenza 2013.
R. De Gaetano, Tra-due. L’immaginazione cinematografica dell’evento d’amore, Pellegrini, Cosenza 2008.
J. Lacan, Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi.1964, Einaudi, Torino 2003.
L. Dumas, L’homme à la valise, in “Positif”, n. 695, gennaio 2019.
B. Génin e G. Valens, Nous sommes les spécialistes des transports amoreux, Entretien avec Louis Garrel, in “Positif“, n. 695, gennaio 2019.

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