La brutale violenza di un uomo si scaglia sul corpo di una giovane donna: ancora e ancora, tra urla, con rabbia, contro un ventre che dà riparo a un bambino. Mani pesanti strappano i respiri a quella donna che vuole andar via verso un’altra vita. Intorno il paesaggio, di rocce aspre a picco sul mare, è deserto e sospeso in un silenzio attonito. Un rombo improvviso accompagna la caduta di massi dalla montagna e la caduta di lei, che si inabissa nel mare. Gli occhi vengono coperti da lunghi capelli, schermo a un orrore vissuto che l’acqua cerca di portare via e velo della morte; le labbra tumefatte si dischiudono per un attimo e lasciano andare l’ultimo soffio di vita. In una cavità della montagna risuona il pianto di un bimbo appena nato: ad accoglierlo è il muso curioso di una pecora che si avvicina al corpo abbandonato.
Misericordia di Emma Dante è una favola dolceamara, fatta di cadute e risalite, tutta in battere e levare. Il film nasce dall’omonimo spettacolo teatrale, di straordinaria intensità, e il protagonista, Arturo, è lo stesso interprete, il danzatore Simone Zambelli. Con questo film Dante dimostra ancora una volta – penso a Le sorelle Macaluso – di saper re-inventare in modo sorprendente le storie e restituire allo spettatore la sensazione della freschezza dei primi sguardi e allo stesso tempo la profondità di uno sguardo che ha visto a fondo. In Misericordia si animano i mostri e le fate buone che vivono con Arturo. Dante indugia su gesti e sguardi di misericordia e di gioie, spesso incompiute, dando così allo spettatore il tempo di entrare in dimensioni che la regista sente non effimere; scava senza banalità negli atti di violenza e negli occhi ciechi di amore.
La regista palermitana riscrive con i linguaggi del cinema – del “cinema della Dante” e delle sue fertili contaminazioni (in particolare qui con Fellini e Pasolini) – la storia di Arturo, un adulto-bambino dal candore ostico e insieme irresistibile che si aggira con passi sgangherati in un mondo dove natura mediterranea e rovine (Riserva naturale di Monte Cofano) anche quando fanno paura sono alleate degli ultimi, e dove baracche sordide sono regni di uomini predatori ma anche spazi che custodiscono risate e dolcezze teneramente maldestre. Da spettatori ci si sente spinti ad attraversare la soglia di quei luoghi e dei corpi che li abitano e ad abbandonarsi a emozioni e pensieri scandalosi: scandaloso è il cuore per i miseri, la misericordia.
Arturo viene trovato «nello spacco di una montagna», «come una perla», e cresciuto da due donne in una casupola di una baraccopoli sul mare. Betta (Simona Malato) e Nuccia (Tiziana Cuticchio) danno riparo amorevole e coraggioso a quella creatura fragile, già prima di nascere attraversata dalla scossa della violenza di cui l’ipercinesia e le convulsioni notturne sono eredità. Nella baraccopoli il padre di Arturo (Fabrizio Ferracane) è presenza arrogante e temibile; da laido Caronte commercia e traghetta corpi di donne, della mamma di Arturo (Georgia Lorusso), di Betta, Nuccia, della giovane Anna (Milena Catalano), che un giorno arriva nella baraccopoli, ennesimo corpo da vendere, ed entra nella vita di Arturo e di Arturo è anima simile e di lui sarà sorella, amica complice, mamma.
La crescente rabbia del padre-pappone verso il figlio, il terrore del ragazzo, la vita in una casa che – grida Nuccia – è una “stamberga piena di merda, dove c’è quello che lo vuole ammazzare” spingono Nuccia a cercare un altro posto per Arturo. L’opposizione iniziale di Betta, che con dolcezza disarmante ammette di non poter vivere senza Arturo, si scioglie e le due mamme, con un grande atto d’amore, lasciano andare il loro figlio verso un futuro lontano da lì. Le scene del distacco sono struggenti e costruite con una lentezza necessaria, che dà il tempo per far sentire il tempo della vita di Arturo e dell’amore con cui Nuccia e Betta lo hanno cresciuto.
Gesti e parole si intrecciano nel preparare la valigia – quella con cui Anna era arrivata nella casa di Arturo –, nel riporre oggetti che raccontano e custodiscono vite ed emozioni: la piccola scatola con i dentini da latte, il carillon, i fumetti, i gomitoli di lana, la foto della mamma. La macchina da presa si sposta verso gli esterni: questo movimento porta la canzone per un figlio (Avrai di Claudio Baglioni) e luoghi e presenze del passato di Arturo che vengono accostati come persone riunite per un addio: la grotta dell’abbandono e della salvezza; le pecore; il mare; la stanza di Arturo. Arturo disteso sul suo letto per l’ultima notte a guardare il cielo, e non più, come sempre prima, la parete, e che dice per la prima volta “ma-mma”.
Il mattino della partenza, altre prime volte di Arturo – bere il latte senza sporcarsi – mostrano il suo progredire. A guardarlo per l’ultima volta ci sono la sua pecora, che fa ricordare Immacolatella, il cane inseparabile dell’Arturo orfano di Elsa Morante (L’isola di Arturo), e le mamme con occhi pieni di nostalgia. La macchina si sposta all’esterno, su una strada deserta e segue il movimento di un’auto chiamata MISERICORDIA – così è scritto sullo sportello –, che porta via Arturo e i suoi occhi illuminati di nostalgia e stupore, immaginando quello che sarà.
Misericordia è una fiaba in cui Emma Dante porta il suo amore per il racconto fiabesco (per tutti, Tre favole per un addio, La scortecata, Pupo di zucchero) e per il primo racconto dei racconti, l’Odissea, frequentata in teatro con Odissea A/R e Io, nessuno e Polifemo e la cui eco più evidente nel film è nel tragicomico ed eloquente nome d’arte del padre di Arturo: Polifemo, mostruoso Ciclope monocolo come monocolo e mostruoso è il padre-pappone. L’amore per la favola e l’importanza della favola per Dante hanno la voce e il corpo di Carmine Maringola – già in La scorticata e Pupo di zucchero –, che interpreta Enzo, personaggio opposto a Polifemo. L’antitesi si coglie bene nella scena in cui Enzo racconta una fiaba al figlio (Dimitri Maringola) e ad Arturo e crea con e per loro un mondo giocoso nonostante il finale da non tutti vissero felici e contenti.
Raccontare favole allontana dalle brutture del mondo e può salvare da mostri sempre in agguato. Come il mostro entrato nella vita di Arturo, delle bambine della baraccopoli che giocano a «fatine farfalline», di Anna: Polifemo è una minaccia anche per loro e per Anna, fata turchina per adulti – così nella scena con il lungo abito di tulle celeste secondo il volere dell’uomo che ha pagato per lei – ma in fondo fata anche per Anna, che è rimasta intimamente bambina, è a suo agio con quell’abito e, come i bambini, ha un talento speciale a inventare fiabe. In una scena di tosatura delle pecore, con Arturo e il pastore, un uomo-montone (Sandro Maria Campagna) vestito “alla Eracle” (Dante regista dell’Eracle di Euripide), Anna inventa una dolce fiaba-filastrocca: «Piccoli ciuffi di stelle, gioia grande sotto la pelle», dice alle pecore ma in fondo a se stessa e ad Arturo, «vivi senza dolore pecora splendore. Dormi senza rumore gioia del mio cuore».
Dai ciuffi nascono i fili di lana, che in Misericordia rappresentano una “materia” ricorrente con cui la regista tesse immagini e simboli potenti. I fili sono uno dei giochi preferiti di Arturo, nati da un dono di Nuccia che lavora spesso a maglia e spesso riannoda il filo al passato trascorso con sua mamma magliaia. Nuccia dà ad Arturo la sua eredità; molto più di un mestiere: la materia per creare sogni e il dono di creare dalle cose semplici. Dai fili di sua mamma Arturo fa nascere lo straordinario, qualcosa che è insieme reale e fantastico. Ai chiodi sulle mura di una tonnara abbandonata Arturo lega fili di lana colorati. In quella città invisibile agli occhi del mondo un giorno entra Anna e in quella ragnatela per anime simili, che non imprigiona ma fa muovere come in una danza, Anna e Arturo sono liberi e felici.
Arturo danza la vita non solo lì. Il suo ripetuto piroettare sprigiona gioia e uno stato di estasi da derviscio ma anche, nell’ossessiva reiterazione, il sentirsi nel vortice del disagio a stare nella vita, quasi una eredità dello sradicamento dal vivere tentato con violenza dal padre. E danza sul fondo del mare. Polifemo prende a calci Arturo, ripetendo la stessa brutalità con cui aveva massacrato la madre, ma stavolta viene bloccato, da Enzo. In una inquietante sincronia si staccano rocce dalla montagna che terrorizzano e interrompono anch’esse l’orrore. La natura ripete se stessa, in una ciclicità di dolore e misericordia, ed esplode di nuovo quando l’orco vuole uccidere ancora: reagisce alla violenza umana e mostra la sua sympatheia con i fragili.
In una parziale simmetria del destino anche Arturo si ritrova nel mare: qui il suo corpo continua a danzare girando su se stesso come sempre ma trova anche movimenti nuovi. Una danza nel mare è per Anna. Abbandonata ai margini della baraccopoli dall’uomo che aveva comperato il suo corpo, traballante, intorpidita, Anna si getta nel mare e per qualche istante viene da pensare a un suicidio. Il corpo si adagia sul fondo ma quella di Anna nel mare è un’altra danza: un abbandonarsi all’acqua che protegge, purifica, dà riposo.
Misericordia è un invito coraggioso ad entrare negli abissi del mare e nei cieli abitati dalla voce della luna, a conoscere la danza della morte, che è strappo violento, e quella dei fili di lana colorati, a non permettere alla morte di privare l’uomo dello stupore per la vita; è essere madri e figli, al di là. E ad accompagnare la visione di Misericordia è «lo stupore, quel senso di sgomento e di conforto, di minaccia e di protezione, di terra sconosciuta e familiare» (Fellini 1993) che, uscendo dal cinema, si ha il desiderio di provare ancora.
Riferimenti bibliografici
A. Barsotti, Odissea A/R di Emma Dante. Riattivazione del mito in due movimenti, in «Il castello di Elsinore», 76, 2017.
E. Dante, Bestiario teatrale, Rizzoli, Milano 2020.
F. Fellini, Fare un film. Con l’autobiografia di uno spettatore di Italo Calvino, Einaudi, Torino 1993.
S. Scattina, «Non tutti vissero felici e contenti». Emma Dante tra fiaba e teatro, Titivillus, Corazzano 2019.
Misericordia. Regia: Emma Dante; sceneggiatura: Emma Dante, Elena Stancanelli, Giorgio Vasta; fotografia: Clarissa Cappellani; montaggio: Benni Atria; scenografia: Emita Frigato; costumi: Vanessa Sannino; musiche: Gianluca Porcu; interpreti: Simone Zambelli, Simona Malato, Tiziana Cuticchio, Milena Catalano, Fabrizio Ferracane, Carmine Maringola, Sandro Maria Campagna, Marika Pugliatti, Georgia Lorusso, Rosaria Pandolfo; produttore: Marica Stocchi; produzione: Rosamont, Rai Cinema; distribuzione: Teodora Film; origine: Italia; durata: 95′; anno: 2023.