Se cercate in internet il titolo Expanded Cinema di Gene Youngblood (scomparso recentemente a Santafè), lo trovate rubricato sotto la dicitura “Arti Minori” cioè quelle pubblicazioni che vengono situate alla periferia di quella che consideriamo Arte con la A maiuscola e cioè “arte elettronica, video-arte, arte olografica, prodotti di comunicazione massmediologica”. Ancora oggi il rapporto tra creatività e tecnologia è guardato con sospetto e non importa se questa tecnologia fa parte del nostro quotidiano, fino al gesto più intimo, anzi al pensiero più intimo come i nostri ricordi che rassomigliano più ad un ologramma che ad una foto.
Questo sospetto di passare per cultori interessati all’acqua calda, ha determinato il silenzio editoriale intorno a Expanded Cinema, pubblicato simultaneamente in USA e in Canada nel 1970 ma arrivato in libreria nella traduzione italiana soltanto nel 2013, come il relitto di un’epoca passata che non ci appartiene ma di cui bisogna tener conto visto che il suo autore, Gene Youngblood, continua ad essere citato ogni qual volta si parli del “futuro del cinema”.
Studioso di cinema e televisione, redattore della più importante pubblicazione underground “Los Angeles Free Press”, ricercatore tenace sui rapporti tra creatività e tecnologia, insegnante benemerito nelle più prestigiose università californiane di arte e tecnologia, conferenziere internazionale sul futuro dei media elettronici in Europa, Giappone e Australia, Gene Youngblood è segnalato come “filosofo” e deve questo appellativo e la sua fama alla pubblicazione essenzialmente di Expanded Cinema.
È vero, appartiene agli anni ’70, a quel momento eroico in cui pensavamo di poter accedere direttamente al mondo produttivo dell’atto creativo, senza permessi e ricatti di quel mondo chiuso che era “il Cinema” o “la Televisione”, con le maiuscole, né la sudditanza alla costruzione di una storia, una narrazione, il famoso plot forte. Volevamo visualizzare le nostre emozioni, i nostri mondi onirici direttamente, senza fatti e personaggi, e usavamo qualsiasi mezzo messoci a disposizione dall’elettronica popolare della televisione e dei primi computer.
Ho trovato Expanded Cinema in una libreria a New York nel 1976, ancora esposto sul banco delle novità, e all’epoca mi era sembrato d’incontrare un amico. Personalmente, ho iniziato con l’uso della pellicola fotografica scaduta che non garantiva il giusto rapporto colorimetrico: la usavo per gli scatti a soggetti di ripresa qualsiasi, preferibilmente in movimento, che poi, stampati su carta, riprendevo con la primordiale telecamera National e registratore a bobine aperte, montavo e ritrasmettevo su un televisore-monitor interferendo con il suo corretto funzionamento di riproduzione dell’immagine (waves distortion, beaming, noise distortion, ecc.), e riprendevo l’immagine distorta che compariva sullo schermo per poi intervenire ancora in fase di montaggio. In b/n sognando a colori. La chiamavamo “estetica a bassa definizione” ed eravamo orgogliosi di questi atti creativi primitivi, che ci rappresentavano come artisti molto più della sceneggiatura per un film o un programma televisivo, che rappresentava la realtà fisica riconoscibile. Appartenevamo alla cultura visiva psichedelica degli anni ’70.
Ecco! Quello che trovate nel libro di Gene Yougblood è questo: la descrizione di quella che lui chiama Era Paleocibernetica, il periodo culturale tra l’Era Industriale passata, quella del cinema d’intrattenimento, e l’Era Cibernetica, quella che sta per arrivare, dove dominerà il Cinema Espanso o meglio la Coscienza Espansa, quella spinta a manifestare la propria coscienza fuori dalla propria mente, difronte ai propri occhi. Di questa era che verrà ci regala anche un’immagine simbolica molto suggestiva del futuro artista: un fisico atomico irsuto, ricoperto di una pelle di daino, scalzo, ma con un cervello pieno di mescalina e di logaritmi, intento a elaborare l’euristica di un ologramma generato da un computer che gli permetterà di scoprire chi siamo veramente.
È il patto indissolubile che l’arte stringe con la scienza (la tecnologia) per fare diventare l’atto quotidiano un atto artistico, e così la vita diventa arte, eliminando la differenza tra ciò che siamo e ciò che facciamo.
Non più la produzione dall’esterno di linguaggi massmediatici che favoriscono l’acculturazione e assecondano il gusto del pubblico per fare profitto, ma la produzione dall’interno di linguaggi emozionali individuali che danno valore d’uso alla tecnologia, per visualizzare realtà interne da scambiare. Nell’Era Cibernetica, ognuno di noi, davanti ad un terminale, immette in rete l’espressione della propria realtà interna più profonda e scambia con l’espressione immessa in rete da altri simili, fino a creare una sorta di flusso di coscienza che costituisce quella che Youngblood chiama «Noosfera»: una sorta di pellicola sovrapposta alla biosfera e alla litosfera costituita dall’intelligenza umana organizzata che circonda tutto il pianeta.
È la fine del dramma, cioè della rappresentazione dell’azione umana oggettiva e soggettiva ed è l’inizio del cinema sinestetico che rappresenta l’extra-oggettivo, lo psichedelico. È l’immagine-scambio nell’epoca del pubblico post massa. È la possibilità che la tecnologia elettronica e digitale mette a disposizione di tutti, di decentralizzare la comunicazione, ponendo fine alla comunicazione ufficiale: è la democratizzazione dell’atto creativo che si sostanzia con i video amatoriali, l’underground, l’olografia, la computer grafica.
Più della metà delle pagine di Expanded Cinema è dedicata alla presentazione di artisti paleo-cibernetici, e delle loro opere, che hanno sostanziato il cinema sinestetico seguendo la logica inclusiva del sia/sia, della percezione simultanea e sovrapposta, che fa del montaggio un collage per layer sovrapposti, un accavallamento di impressioni che mette a nudo il sistema nervoso della creatura umana-artista. L’uso del fermo-immagine o del rallenty che immobilizza il passato e crea malinconia, una zoomata di 45′ accompagnata da rumori di scontri e musica elettronica che crea uno stato onirico, la simulazione di ambienti futuri in computer grafica, presentazioni intermediali (videoistallazioni) per esperienze multisensoriali… la convergenza tra arte, scienza e metafisica.
Sono i filmmaker dell’undeground americano: Jordan Belson, Stan Brakhage, Michael Snow, Aldo Tambellini, Will Hindle, Stan Vanderbeek, Pat O’Neill, Carolee Schnemann, ecc. Ma ritrovate anche Stanley Kubrick di 2001: Odissea nello spazio, sostanzialmente per la visualizzazione del viaggio nel corridoio intergalattico realizzato dagli effetti speciali di Douglas Trumbull: presenza convalidata dalle dichiarazioni di Kubrick che all’epoca lasciava alla libera interpretazione di ognuno il significato filosofico di un film che, sottolineava, voleva principalmente rappresentare un’esperienza visiva capace di penetrare direttamente nell’inconscio.
Youngblood è il cantore della manipolazione del segnale video analogico e del suo incontro con la neonata computer grafica nella direzione opposta alla ricerca della perfezione riproduttiva del reale. Poi siamo arrivati a Bill Viola o ai fratelli Vasulka, per citazione d’obbligo.
Se ripensiamo agli esperimenti avanguardistici degli anni ’20, quando gli intellettuali e gli artisti scoprono il nuovo mezzo cinematografico come possibilità espressiva e parlano di sinfonie visive o di linguaggio concettuale opposto a quello narrativo, scopriamo un fil-rouge che, passando dal paleocibernetico della video-arte e dribblando il cibernetico preconizzato da Youngblood, ci fa arrivare al meticciato di oggi, tra narrazione e psichedelico, riscontrabile in rete, dove lo scambio tra le creazioni pop dei suoi utenti non solo ha risolto il tempo libero, ma ha palesato come «la televisione è il software della terra»: sono le parole di Youngblood, discepolo di Marshall McLuhan certo, ma per dire in più che abbiamo coscienza del nostro comportamento individuale osservando quello collettivo «così come si manifesta nella videosfera globale». È un processo implosivo ed espansivo della coscienza ormai irreversibile: il nostro habitat naturale.
«The world’s not a stage, it’s a TV documentary» (Youngblood 1970, p. 78).
Riferimenti bibliografici
S. Ball, D. Curtis, A.L. Rees, D. White, a cura di, Expanded Cinema: Art, Performance, Film, Tate Gallery Pubn, Mustang 2011.
S. Lord e J. Marchessault, a cura di, Fluid Screens, Expanded Cinema, University of Toronto, Toronto 2008.
G. Youngblood, Expanded Cinema, a cura di P.L. Capucci e S. Fadda, CLUEB, Bologna 2013.
Gene Youngblood, Little Rock, 30 maggio 1942 – Santa Fe, 6 aprile 2021.