Di John Cage si è scritto tanto ma si ha come l’impressione che la sua figura, oggi, subisca un po’ troppo in silenzio il trattamento “monumento”, cioè l’incensamento pubblico dato per scontato, che molto spesso – come si sa – assomiglia sempre più a ciò che in teoria rappresenterebbe il suo contrario, ovvero la damnatio memoriae. Magari non da chi fa o si occupa di musica, ma sicuramente dall’opinione pubblica culturale (in generale). Per dire: si sa che un uomo di nome John Cage è nato da qualche parte negli USA, che è esistito, che ha rappresentato una figura dell’avanguardia etc. Ma poi? Si ascolta quello che ha creato? Si legge quello che ha scritto?

Cage dovrebbe essere riscoperto periodicamente, almeno in quello che ha fatto, perché è stato un “classico”, cioè uno di quei rari personaggi che hanno contribuito a rendere più ricca e affascinante la storia dell’uomo moderno, ben al di là della propria area di competenza specifica, suggerendo possibili deviazioni e quindi alternative ai percorsi creativi – ma anche intellettuali – più battuti e noti. Una prova di questa diversità dell’artista statunitense è senza dubbio la raccolta di scritti Un anno, a partire da lunedì. Dopo silenzio che Shake Edizioni ha recentemente pubblicato e che inaugura la collana Classici della Nuova Musica a cura di Massimiliano Viel (la traduzione è a firma di Giancarlo Carlotti ed Ermanno “Gomma” Guarneri). Il libro presenta un insieme di scritti di varia natura. Cage non si limita alla musica ma si sofferma anche sulle arti visive (diciamo: su alcuni artisti), fa considerazioni di carattere speculativo, mantenendo sempre il suo tono affabile, ma soprattutto tende sempre a mescolare tutti questi piani.

Fra i testi del libro di argomento più strettamente musicale, vale la pena segnalare Conferenza alla Julliard (1952). Si tratta di un intervento dell’autore alla Julliard School of Music di NY ma nella forma di una trascrizione “musicale”, perché concepita con ritmo tramite spazi-pause, e quindi in maniera simile a uno spartito da eseguire. Nel testo non mancano passaggi su altri compositori come Morton Feldman e Christian Wolff, ma ciò che risulta più interessante è il modo in cui Cage tratta questioni a lui care come, per esempio, la ricerca di una possibile comprensione asemantica del suono e di un “giusto” approccio all’atto di creazione. Il nostro non è mai banale, né mai troppo tecnico o vano (pur essendo stato un maestro di retorica e digressioni e qualcuno di profondamente influenzato dal “vuoto” del pensiero orientale). A questo proposito, val la pena citare un gran bel passaggio: «Se uno vuole avere la sensazione di quanto s’è dimostrato e-motivo il compositore, deve entrare in confusione ai livelli del compositore e immaginare che i suoni non siano affatto suoni ma siano Beethoven e gli uomini non siano uomini ma suoni» (Cage 2023, p. 96).

Quanto agli interventi sull’arte invece, c’è da segnalare un brevissimo testo su Nam June Paik, noto per essere stato uno dei pionieri della videoarte internazionale. In due paginette ma anche meno, mettendo da parte certi passaggi e riferimenti un poco astrusi (probabilmente legati a circostanze contingenti), l’autore distilla una visione del lavoro di Paik che è anche e soprattutto una sintesi lirica notevole del proprio pensiero sull’atto creativo. Di fronte all’apparecchio televisivo reinventato da Nam June Paik, Cage si chiede e ci chiede: «La domanda è se funziona. Non è un gioco: ci riporta in cerchio dalle tombe in cui ci troviamo (punti di luce e suono nell’aria che respiriamo)» (ivi, p. 88). E ancora: «La musica europea ha commesso un errore fondamentale: la separazione tra l’esecuzione e l’ascolto della performance. Idem la tv a colori: rosso, verde, blu. Ma entrambe devono essere rese reali (orientali): fatto di non separazione. Altrimenti quando l’accendi, non si accende» (ibidem).

Nel complesso, la lettura di Un anno, a partire da lunedì. Dopo silenzio è una esperienza certamente raccomandabile a tutti e tutte. In primo luogo – per chi ne è a digiuno – può funzionare come una sorta di introduzione a Cage. In questo caso pochi pezzi basterebbero per far capire come l’avanguardismo dell’artista possa essere tutto tranne che una forma di snobismo intellettuale. Per chi invece ha già domestichezza con il lavoro e il pensiero dello statunitense, questo libro può funzionare come una strumento per, diciamo così, amplificare la propria comprensione su quanto fatto, detto e pensato dallo statunitense. A questo proposito, forse, può aiutare la riflessione di un filosofo contemporaneo come Alfonso Cariolato, fine conoscitore del lavoro di Cage da una prospettiva non specialistica ma paradossalmente più “cageana” di tanti addetti ai lavori (se non altro, per la sua familiarità con certi temi riconducibili al pensiero orientale). Nel suo ultimo libro, Uscire da nulla, Cariolato dedica uno dei quattro ritratti d’artisti che costituiscono la seconda parte della sua riflessione speculativa proprio alla figura dello statunitense, esaminandone l’opera da un punto di vista filosofico. Fra i ragionamenti, vale la pena segnalarne uno per come coglie in modo mirabile la radicalità insita nel fare artistico dell’artista:

La questione potrebbe essere formulata con l’aiuto delle seguenti domande: com’è possibile un approccio alla musica che non faccia dei suoni un insieme di dati, ossia di elementi misurabili, prevedibili, manipolabili? Come permettere ai suoni di mantenere la sorpresa del loro avvento? Non c’è nessuna essenza dei suoni che non sia il loro semplice esserci, dove “semplice” qui significa povero di quelle determinazioni concettuali che ne duplicano la figura rendendo il suono effettivo quasi un pallido fantasma contingente e transitorio. Diventa urgente il pensare, il comporre, l’eseguire e l’ascoltare musica fuori dal pensiero, perché solo così c’è qualche possibilità che l’idea non si sostituisca al reale. Non si tratta soltanto di andare verso il mondo; occorre innanzitutto far sì che il mondo, e non un’immagine del mondo, canti, rumoreggi, viva. (Cariolato 2023, pp. 192-93)  

Quanto scritto da Cariolato può servire come una specie di linea-guida essenziale per capire dove collocare la rivoluzione copernicana incarnata dall’incursione di Cage nella musica, cioè su quale piano del discorso critico. Il filosofo italiano lo indica senza esitazioni: in uno scarto prospettico, nel cambio di verso del rapporto tra soggetto e mondo, con tutte le conseguenze che ne possono derivare. Ma far sì che il mondo «canti, rumoreggi, viva» è un intendimento che non può che sapere di sfida, dal momento che metterebbe l’artista o sedicente tale di fronte a due necessità: quella di non fare arte per garantire la possibilità che il mondo esista; quella di farla a partire dall’impossibilità di farla esistere come rappresentazione. In questa sorta di sovrapposizione c’è, se vogliamo, tutto il fascino chiaramente oscuro dell’opera di Cage, il suo essere ancora “per nessuno” (e nessuna). E cioè: il suo essere tesa a modificare il rapporto tra creazione e fruizione, al punto tale da non presupporre più una separazione tra le parti ma una interpenetrazione, con annessa la fine di qualsiasi idea di pubblico “puro”. E quindi: di qualsiasi destinazione univoca di eventuali comunicazioni (che possono sempre esistere, ma sarebbero – per così dire – incidentali). Negli scritti di Un anno, a partire da lunedì. Dopo silenzio questo approccio non è mai esposto come tesi ma è sempre qualcosa di evocato per vie traverse. Per questa ragione – forse – il libro può essere letto un po’ alla volta, con pause, in modo anche volutamente irregolare. Se si vuole, come qualcosa di simile a un manoscritto da decifrare che alla fine si rivela essere, probabilmente, un prontuario di un modo di pensare alla musica (e non solo) tanto contemporaneo quanto – ancora – al di là da venire.

Riferimenti bibliografici
A. Cariolato, Uscire da nulla. Le arti, l’opera: con quattro letture (Pollock, Cage, Rauschenberg, Bacon), Mimesis, Milano-Udine 2023.

John Cage, Un anno a partire da lunedì. Dopo silenzio, Shake Edizioni, Milano 2023.

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