Oltre la curva

di DAMIANO GAROFALO

Ultras di Francesco Lettieri.

Il primo lungometraggio di Francesco Lettieri inizia con un matrimonio. Un atto di fede, come il sacramento che ogni ultras sancisce con la propria squadra del cuore. Un legame, forse, ancora più inscindibile di qualsiasi relazione personale. Perché, come ricordava uno spot televisivo di metà anni novanta, puoi cambiare fidanzata, ma non puoi cambiare né mamma né squadra di calcio. All’inizio di Ultras, un gruppo di tifosi napoletani attendono fuori da una chiesa sul mare l’uscita di un loro compagno, assieme alla donna che è appena diventata sua moglie. Accendono un fumogeno e cantano Un giorno all’improvviso, coro originariamente ideato dai tifosi de L’Aquila sulle note de L’estate sta finendo dei Righeira, diventato poi tormentone di molte curve italiane grazie, soprattutto, all’adattamento degli ultras della Curva B del Napoli. L’incipit è quello di una canzone d’amore: “Un giorno all’improvviso mi innamorai di te / Il cuore mi batteva, non chiedermi perché”.

Un coro intonato ogni domenica, in casa e in trasferta, per la propria squadra del cuore, che finisce per essere dedicato, in modo quantomeno ambiguo, a una donna. Ed è proprio su questa costante ambivalenza tra affetti personali e dimensione comunitaria del tifo che è costruito l’ultimo film italiano originale Netflix, prodotto da Indigo con la partecipazione di Mediaset. Ultras è l’opera prima del regista di videoclip Francesco Lettieri, scritta assieme a Peppe Fiore (scrittore e story editor di serie di successo come Non uccidere e The Young Pope), e sarebbe dovuta uscire in sala come film-evento dal 9 all’11 marzo, per poi approdare nella library di Netflix (secondo una modalità di distribuzione già sperimentata dalla stessa piattaforma) a partire dalla settimana successiva. L’emergenza dovuta al covid-19 ne ha invece annullato l’uscita theatrical, garantendone la distribuzione in esclusiva sulla sola piattaforma OTT.

Il mondo degli ultras è sempre stato una realtà composita e sfaccettata. Se il termine sta a indicare, in modo generico, quell’universo di tifoserie organizzate che seguono le attività di una società sportiva, quella ultras è in realtà una vera e propria sottocultura, con i suoi codici di comportamento, attitudini politiche, linguaggi, stili di vita e abbigliamento, che cambiano di gruppo in gruppo (anche all’interno della stessa tifoseria). Lettieri decide di raccontarne uno immaginario, quello degli Apache, concentrandosi sulla figura di Sandro (Aniello Arena), detto Mohicano, tra i fondatori del gruppo napoletano. L’intenzione è quella di partire dalla figura di Mohicano per costruire attorno a lui un apparato di relazioni umane: ci sono i compagni di una vita (Barabba, Mcintosh, etc.), assieme a cui ha fondato il gruppo, oggi impossibilitati a recarsi allo stadio perché diffidati; c’è una nuova generazione di ragazzi di vita ultras (Pequeño, Gabbiano, ecc.), che avviano una secessione dagli Apache e fondano gli ancora più incendiari No Name Naples; infine c’è Angelo (Ciro Nacca), giovanissimo tifoso, fratello di un ultras napoletano morto durante una trasferta a Roma, che lo vede come un modello; e poi c’è Terry (Antonia Truppo), donna che Mohicano conosce in palestra e che lo costringe indirettamente a interrogarsi sui legami affettivi col proprio mondo.

Ribadendo questa centralità delle relazioni umane, il film non vuole mai adottare un sguardo sociologico sul mondo ultras, che rimane costantemente sullo sfondo. Il regista segue gli spostamenti di Mohicano in un continuo pedinamento a cerchi concentrici che, attraversando le periferie di Napoli fino ad approdare allo Stadio Olimpico di Roma, finiscono per condurlo al punto di partenza (da un matrimonio al suo funerale). Utilizzando con frequenza macchina a mano, campi lunghi e piani sequenza, assieme alla fotografia cupa e livida di Gianluca Palma che strizza l’occhio all’immaginario di Gomorra (sia il film di Matteo Garrone che la serie, dove il calcio è forse il grande rimosso), Lettieri si mette sulle tracce di un realismo con cui, però, non riesce a dialogare fino in fondo. È soprattutto l’estetica del videoclip, di cui il regista è tra i più geniali innovatori contemporanei, a rendersi visibile nelle sequenze collettive. In aggiunta, la colonna sonora firmata dal progetto anonimo Liberato (di cui Lettieri ha girato tutti i videoclip, elevando il genere in Italia per prestigio e innovazione), contribuisce alla creazione di un effetto intermediale a tratti straniante.

Questa specie di realismo interrotto si manifesta anche nel limitare a un mero scontro generazionale i dubbi di Mohicano su un passato che non passa. Il tema del “ricambio” che ha tradizionalmente attraversato le storie di tutti i movimenti ultras (spesso decretandone lo scioglimento) viene qui ingabbiato in una logica binaria dove i vecchi, che ascoltano Lucio Dalla/Pino Daniele, sono quasi tutti diffidati, e non comprendono più il mondo in cui sopravvivono, mentre i giovani, che ascoltano Speranza/Liberato, si fanno di coca e lanciano bombe-carta disobbedendo, per loro stessa natura, agli anziani.

Come hanno osservato Luca Peretti ed Alessandro Pes in un articolo pubblicato su Dinamo Press, nel film non vi è traccia della repressione istituzionale che, negli ultimi vent’anni, ha profondamente mutato codici e regole interne alla sottocultura ultras, e senza cui è impossibile comprendere le origini e la natura di questo scontro generazionale. Ciò che sembra mancare più di tutto allo sguardo di Lettieri è, però, un punto di vista politico. La portata sociale e sovversiva delle immagini di repertorio provenienti dal mondo ultras, efficacemente presentate col sottofondo dei Righeira durante i titoli di testa, viene disattesa e annacquata nel corso del film da una rappresentazione della conflittualità continuamente indorata da immagini a effetto che, grazie anche all’invadenza della colonna sonora, non riescono a scrollarsi di dosso proprio quell’estetica da videoclip.

In Ultras non c’è traccia del calcio giocato, perché gli ultras non sono i tifosi che guardano il campo, ma quelli che guardano la curva. Tuttavia, non viene mai inquadrata veramente la curva (nella messa in scena così come nel racconto), e il Napoli come squadra di calcio non è nominata per tutto il film. Questa costante ricerca di impersonalità entra da subito in conflitto con l’indagine di uno sguardo sul reale. Non ci sono i Ragazzi di stadio che raccontava uno storico documentario del 1980 di Daniele Segre sui giovani frequentatori della Curva Filadelfia dei tifosi della Juventus. Non c’è neanche l’umanità e il radicalismo di quegli ultras cui dà voce il documentario RAI del 1980 sulle origini del Commando Ultrà Curva Sud della Roma (o quello, per certi versi gemello, basato interamente sulle interviste ai tifosi in occasione della finale di Coppa Uefa tra Roma e Inter del 1991). E non c’è nemmeno quella realtà composita di storie personali, sacrifici di vita e difficoltà quotidiane vissute dai Fedayn del Napoli e raccontata dal bellissimo E.A.M – Estranei alla massa, documentario del 2001 di Vincenzo Marra.

Lettieri rifugge volutamente qualsiasi intento documentaristico, ma intitolando il film Ultras tradisce l’ambizione di voler universalizzare dentro la galassia del reale un’esperienza peculiare, quella di Mohicano, che non riesce a emergere, drammaturgicamente, fino in fondo. Il titolo, inoltre, manifesta l’ambizione di ingaggiare un dialogo a distanza con il film di finzione che più di altri ha definito un immaginario di quel mondo, ovvero Ultrà di Ricky Tognazzi. Nel film del 1991, il protagonista è il Principe (Claudio Amendola), giovane a capo della Brigata Veleno, gruppo immaginario di “cani sciolti” fuoriusciti dalla dissoluzione, avviata alla fine degli anni ottanta, del già citato Commando Ultrà Curva Sud (la cui effigie tradizionale raffigura un nativo americano, esattamente come per gli immaginari Apache di Ultras).

Se il film di Tognazzi partiva dalle vicende del Principe per fornire uno spaccato crudo e violento sul mondo degli ultras giallorossi, quello di Lettieri finisce invece per fare il contrario: sfruttare l’immaginario suggestivo di un contesto apparentemente cool per raccontare la vicenda umana di Mohicano. Forse anche per questo, come accaduto trent’anni prima per il film precedente, Ultras è stato accusato dagli ultras di raccontare soltanto il lato violento della loro realtà, di estrometterne le componenti sociali, politiche, pacifiche, perfino ludiche e goliardiche.

Ciò che invece sembra riuscire meglio a Lettieri (e questo è un paradosso per un film intitolato, appunto, Ultras) è il racconto di tutto ciò che sta al di fuori del mondo ultras. Nella prima parte del film, le sequenze che raccontano il rapporto di Mohicano con Angelo (la partita ai videogiochi, lo spaghetto aglio e olio, la “scoperta” del vecchio striscione degli Apache) riconfigurano un rapporto spontaneo padre-figlio che procede ben al di là dalle dinamiche di curva. Ancora di più, la relazione tra Mohicano e Terry, che invade la parte centrale, pone in discussione il ruolo ancillare cui sono destinati i personaggi femminili nel resto del film (quasi sempre mamme/mogli, mai ammesse nella famiglia allargata degli ultras maschi).

La sequenza del viaggio a Ischia, forse tra le più belle di tutto il film, richiama poi Capri Rendez-Vous, la video-serie diretta da Lettieri e composta da cinque videoclip di Liberato. Non si tratta tanto di analogie stilistiche o formali, quanto di quell’effetto di sospensione temporale e narrativa proprio di un certo cinema estivo. E se dobbiamo cercare, da qualche parte, la sincerità perturbante di questa esperienza umana va forse rintracciata proprio nella tenerezza di un istante: nell’abbraccio tra Terry e Sandro, finalmente spogliato dai panni del Mohicano, di fronte a una finestra sul mare di una struttura dismessa. Quella stessa finestra che tornerà, vuota, nell’inquadratura finale del film, dopo aver assistito al primo, inconsapevole incontro tra Angelo e Terry, uniche tracce reali di un Mohicano migrato verso altri mondi.

Riferimenti bibliografici
N. Balestrini, I furiosi, Bompiani, Milano 1994.
T. Cagnucci, Il mare di Roma, Limina, Roma 2009.
A. Dal Lago, Descrizione di una battaglia. I rituali del calcio, Il Mulino, Bologna 1990.
V. Marchi, Ultrà. Le sottoculture giovanili negli stadi d’Europa, Koinè, Roma 1994.
L. Peretti, A. Pes, “Ultras” di Francesco Lettier: la curva, Napoli e il confronto fra generazioni, “Dinamo Press”, 26 marzo 2020.

Ultras. Regia: Francesco Lettieri; sceneggiatura: Peppe Fiore; fotografia: Gianluca Palma; montaggio: Mauro Rodella; musiche: Liberato; interpreti: Aniello Arena, Ciro Nacca, Simone Borrelli, Daniele Vicorito, Salvatore Pelliccia; produzione: Indigo Film; distribuzione: Netflix, Mediaset; origine: Italia; durata: 108′.

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