La letteratura scritta in ebraico moderno ci ha abituato a traversate epiche, saghe familiari, epopee politiche, acuminate narrazioni psicologiche. Fra i molti, pensiamo a romanzi capitali come Appena ieri di Shmuel Yosef Agnon, Il signor Mani e L’amante di Abraham B. Yehoshua, Una storia di amore e di tenebra di Amos Oz e Vedi alla voce: amore di David Grossman, libri anche molto diversi fra loro, dove però la fondazione dello Stato di Israele va di pari passo con quella di una letteratura da scrivere in una lingua tutta nuova, nonostante le antichissime radici. L’intreccio tra fondazione politica e fondazione linguistico-letteraria è, in questa generazione di scrittori, indissolubile.

Diversa è l’aria che si respira nei libri delle generazioni successive, quella a cui appartiene anche Eshkol Nevo (classe 1971); il suo ultimo libro, Tre piani — da cui Nanni Moretti ha tratto il film ora in lavorazione — è un libro “senza pause”, “senza riposo”, come la città in cui si svolge, Tel Aviv. È un libro profondamente israeliano, per certi aspetti, e allo stesso tempo molto lontano dalla prospettiva narrativa da cui siamo abituati a leggere in italiano le narrazioni su Israele. È un libro che parla dei nostri tre piani e che a loro si rivolge, Es-Io-Super-Io, è un libro che mette in scena nel trittico di racconti proposti e collegati tra loro la conflittualità di questi tre piani, la loro implicita contraddizione e compresenza: mutevolezza e rigidità, fragilità e forza, vicinanza e lontananza.

Tre piani narra il potere d’impatto che queste forme dell’anima, questi costrutti teoretici, hanno sulle nostre vite di esseri umani quando si scontrano e, soprattutto, quando entrano in relazione con l’AltroTre piani indaga le forme desideranti e la loro auto-coercizione, confessa le pulsazioni del desiderio lì dove si è volutamente sordi e ciechi, s’inoltra nel terreno scivoloso della vergogna, del piacere nonostante il divieto, della purezza più assoluta che scorre vicino alla turpitudine. La forma narrativa scelta da Nevo è quella della confessione, dell’ammissione non solo del desiderio ma del suo percorso tortuoso a contatto con altre leggi dell’esistenza: l’etica, la fedeltà, l’innamoramento. I “tre piani” sono quelli della palazzina in cui si svolge la narrazione e sono quelli delle nostre anime. Non è tanto la messa in scena e centralità del desiderio, la sua irruzione, a rendere questo libro commovente, quanto la conflittualità vivificante di questo e ugualmente distruttiva.

Per desiderio qui non s’intende quello erotico, o almeno non solo, ma qualcosa di più profondo, la tensione irrinunciabile verso ciò che è più importante per ognuno — un figlio, un amore, un principio di giustizia — e il suo continuo smarrimento. Il desiderio non è mai vitalismo quanto vitalità, e può essere forza costruttiva come distruttiva, ma fa sempre rima con autenticità. E questa è ciò che a volte si perde per strada e questa perdita opacizza senza freni la vita; contattarla nuovamente è possibile, sembrano dire i personaggi delineati da Nevo, ma il prezzo è la confessione limpida della propria vergogna, dei propri errori, della propria debolezza.

Quanto amore e splendore, allora, quando i tre piani si intersecano senza prepotenza, quando si risolvono; quanta luce è possibile acquisire quando nell’esistenza, come dentro di noi, un piano non prevarica l’altro e ciò che è giusto si rivela non perché così dev’essere, ma perché così realmente è.

I personaggi di Tre piani confidano a un amico, a un’amica o al consorte deceduto l’incontro tra i diversi piani dell’esistenza e il nucleo del loro conflitto, il fattore scatenante. Nella confessione ognuno ha il proprio linguaggio — beffardo, composto, equilibrato, nostalgico, educato — ma la confessione monologante è sempre dolorosa e sempre liberatoria. La scrittura di Nevo, che in questo caso è particolarmente densa e in stato di grazia, anche per merito della traduzione a quattro mani di Ofra Bannet e Raffaella Scardi, restituisce la complessità, i sussulti, la fluidità illogica delle emozioni posta a confronto con la vigorosa operazione razionale.

E la scenografia di queste confessioni è Israele che esiste, resiste, con tutti i suoi errori, con i suoi sbagli, con la sua meraviglia, con le sue caratteristiche preziose, con il suo splendore, come un paese normale. Israele con le sue manifestazioni democratiche per il rincaro delle case, con la sua durissima leva obbligatoria ambosessi, Israele che pulsa, notte e giorno, tra check point, kibbutz e serre nel deserto, Israele con i suoi miracoli ingegneristici e i suoi servizi segreti. Israele, che in questo libro è un paese che vive, finalmente un paese unico e normale, come tutti gli altri, dove scorrono vite e conflitti unici e ugualmente universali.

In questa narrazione, la sola eco peculiare che risuona, e che non è certo di poco conto, è quella di essere l’unico paese al mondo nato e subito popolato esclusivamente da fragili, profughi, migranti, perseguitati, sopravvissuti, persone fisicamente torturate nei lager, persone povere; Israele si nutre da sempre — come ogni altro paese — anche del proprio inconscio collettivo, che nel suo caso affonda le radici nella multiculturalità e poliglossia, nell’utopia, nella Shoah e, ovviamente, anche nell’ebraismo.

Questo inconscio collettivo, che a sprazzi appare essere un quarto piano più potente degli altri, risuona forte nelle confessioni di queste tre anime, confessioni che sembrano mostrare quale sia la via della pacificazione tra i piani dell’essere e anche il prezzo da pagare per una vitale riconciliazione, da cui possa rinascere l’autenticità.

Riferimenti bibliografici
E. Nevo, La simmetria dei desideri, Neri Pozza, Milano 2010.
Id., Neuland, Neri Pozza, Milano 2012.
Id., Nostalgia, Neri Pozza, Milano 2014.
Id., Soli e perduti, Neri Pozza, Milano 2015.
Id., Tre piani, Neri Pozza, Milano 2017.

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