Tratti, l’ultimo libro del filosofo Paolo Godani, è senza dubbio un libro importante. Il sottotitolo del libro, pubblicato per Ponte alle grazie, lascia intendere l’ampiezza dell’impresa: Perché gli individui non esistono. La sua perentorietà non deve però ingannare. L’autore non vuole percorrere la strada, oggi molto popolare, di quelli che, parafrasando David Hume, mi piacerebbe chiamare i “filosofi facili”: mi riferisco a quegli autori di saggistica – se siano filosofi di professione (vale a dire docenti universitari, come lo stesso Godani) o “liberi pensatori” poco importa – i quali hanno la tendenza ad affrontare i temi più d’attualità, a volte a imporre un tema come attuale all’attenzione del pubblico, con lo spirito di chi ha una risposta da dare. A monte, o se si preferisce a valle, di questo movimento di pensiero (e d’opinione) va riconosciuta una trasformazione sostanziale nel modo di fare filosofia. Sembrerebbe che oggi la filosofia sia chiamata soprattutto a descrivere il mondo, o meglio singole porzioni di esso.
Fioriscono così realismi, nuovi oggettivismi, ontologie e metafisiche fondate sul “ritorno all’ordine”, vale a dire sulla riscoperta degli enti come terreno di partenza per il tentativo di dare una definizione dell’essere – laddove per Heidegger la filosofia moderna prendeva le mosse dal rovesciamento di questa prospettiva: dalla res extensa alla res cogitans, o dall’oggetto al soggetto, nella prima formulazione (segretamente metafisica) data da Cartesio, dai cartesiani e poi da Kant; ovvero, nella presa in carico da parte dello stesso Heidegger del significato ontologico di tale rivolgimento verso il soggetto, dalla definizione dell’ente in quanto tale alla scoperta del senso dell’essere per quell’ente (l’“esserci”, l’uomo) per il quale ne va dell’essere stesso.
Oggi invece la filosofia – spesso, anzi quasi sempre, con le migliori intenzioni – sembra essere più che altro il luogo di manifestazione di un disagio profondo verso il banale, il quotidiano, l’ovvio: abbiamo bisogno di riscoprire come sono fatte le cose che ci circondano, tanto gli enti naturali quanto gli oggetti artificiali. Fioriscono così le filosofie di questo o di quell’altro – con una sintomatica prevalenza delle piante e delle res naturalia in genere. Ed è qui che si annida un rischio particolarmente grande, perché, se nell’epoca del dominio della tecnica moderna Heidegger poteva ripetere il verso di Hölderlin: «Là, dov’è il pericolo, cresce anche ciò che salva”, oggi, di fronte al “ritorno all’ordine naturale”, la salvezza, cioè la riscoperta dell’orizzonte della natura, può nascondere un pericolo, quello che la nostalgia di una dimensione che presumiamo più autentica diventi un fatto normativo e non solo una bussola per orientarsi nel mondo.
Al polo opposto vediamo proliferare un vero e proprio ritorno alla metafisica, spesso sotto la definizione di «realismo speculativo», con lo sviluppo di “versioni di mondo” generate dalle ipotesi più disparate e controfattuali, quasi che la riflessione filosofica non fosse tenuta a doversi legittimare nei confronti dell’esperienza, non in modo sperimentale al pari delle scienze, ma comunque secondo un qualche criterio di adeguatezza empirica. L’anti-correlazionismo di fondo del realismo speculativo postula infatti la non-necessità di un testimone percipiente della realtà. Nel caso del ritorno alla natura penso agli ultimi libri di Emanuele Coccia, mentre in quest’ultimo caso penso al programma filosofico di Quentin Meillassoux. Pur nella vitalità che tradiscono, queste filosofie non possono non sollevare critiche per il loro carattere radicale e provocatorio.
La collocazione del saggio di Godani in questo contesto è duplice. Da una parte, come recita il sottotitolo ricordato sopra, esso affronta uno dei temi centrali per l’ontologia contemporanea: lo statuto dell’individuo, da intendersi in senso ampio e non solo nell’accezione corrente, più prossima alla sociologia che alla filosofia. Dall’altra Godani, seguendo un autorevole corrente di pensatori che risale almeno a Gilbert Simondon e Gilles Deleuze, non riconosce il carattere ontologicamente primo dell’individualità. Non è la cosa (soggetto o oggetto) indivisibile il punto di partenza di ricostruzione dell’essere, bensì la cosa o il vivente che è in relazione con altro – il «dividuo», come lo chiama Mauro Carbone – e che trae sussistenza ontologica dal fatto stesso di essere in una relazione. Per dirlo in breve, è la relazione, non la sostanza (o il soggetto), la categoria fondamentale dell’ontologia.
In questa direzione la filosofia che Godani mutua da Deleuze e Simondon ha avuto buon gioco nel chiamare in causa altre correnti di pensiero, dall’epistemologia e dalla cosmologia di Alfred N. Whitehead fino al pragmatismo di William James, trovando in questo un punto di convergenza tanto con il vitalismo di Henri Bergson quanto con la fenomenologia di Maurice Merleau-Ponty. Non mancano nemmeno forti punti d’appoggio empirici a questo modo d’intendere la realtà: sembrerebbe che dalla fisica alla società, passando per la biologia, buona parte degli “oggetti” indagati dalle scienze naturali e sociali oggi si lascino inquadrare meglio all’interno di un paradigma “relazionale”.
La proposta filosofica di Godani si configura perciò come una terza via sia rispetto al “correlazionalismo” tipico della modernità sia rispetto all’“anti-correlazionalismo” contemporaneo. Il suo obiettivo non è comprendere le condizioni di possibilità del rapporto (cognitivo, emotivo o di altro genere) di un soggetto con il mondo, né le condizioni ontologiche assolute del reale prima o al di là di ogni sua possibile riferibilità ad altro, fosse anche una sua parte, com’è in fondo il soggetto che percepisce e comprende le cose di questo mondo.
In questo senso la filosofia di Godani è critica due volte: verso l’iper-soggettivismo della prima modernità e verso l’iper-oggettivismo della tarda modernità. Mi permetto tuttavia di avanzare due osservazioni, che riguardano entrambe la pars construens di questo nuovo pensiero critico. La prima riguarda la stessa architettura teoretica di tale pensiero. Fin dal titolo, il saggio individua nell’immagine una dimensione privilegiata di accesso al reale. È difficile infatti trovare una dimensione in cui, più dell’immagine, la percezione dei “tratti” non si configuri come l’accesso sensibile primario alla forma delle cose. È una dimensione talmente potente nel discorso di Godani da essere quasi identificata con quella dell’idea, finendo per eliminare ogni distinzione platonica tra eidos ed eidolon: «Così, con il “questo” si potrebbe indicare o l’occorrenza di ciò che è sempre identico a sé, l’eidos, il senso, oppure il momento del tempo che solo fa di una certa occorrenza un individuo unico e irripetibile. A differenza di Platone, crediamo che non vi sia ragione di distinguere tra divenire dei fenomeni e permanenza dell’eidos» (Godani 2021, p. 97).
Ma se le cose stanno così, allora resta da chiedersi cosa si manifesta nell’immagine, di cosa i suoi tratti sono un ritratto. Resta in altre parole da chiedersi se la questione della singolarità non resti ancora inevasa da una critica radicale dell’individualità. E infine, accanto a questa preoccupazione di carattere squisitamente speculativo, mi permetto di sollecitare l’autore a immaginare un seguito di questo bel libro in un saggio, magari più breve, in cui provocare anche il lettore meno avvezzo al linguaggio della filosofia a misurarsi con essa sul terreno delle possibili rivoluzioni che da essa possono provenire e che possono anche risolversi solo in un cambio di prospettiva. Che forse è la più grande rivoluzione che ci potremmo oggi augurare.
Riferimenti bibliografici
E. Coccia, La vita delle piante, il Mulino, Bologna 2018.
P. Godani, Tratti. Perché gli individui non esistono, Ponte alle Grazie, Milano 2020.
M. Heidegger, Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1971.
Q. Meillassoux, Dopo la finitude, Mimesis, Milano 212.
P. Godani, Tratti. Perché gli individui non esistono, Ponte alle Grazie, Milano 2020.