Regione del Donbas, Ucraina, l’ultima guerra ancora in corso sul suolo europeo. La macchina da presa di Loup Bureau presenta allo spettatore la quotidianità del conflitto, un avamposto in cui una decina di soldati, tra cui una donna, aspettano istruzioni. A differenza di film che mostrano operazioni militari come Restrepo (Tim Hetherington, Sebastian Junger, 2010) o Combat Obscura (Miles Lagoze, 2018), definiti paramilitarist war documentary da Alisa Lebow, lo sguardo embedded del regista francese non ricerca la spettacolarizzazione. La definizione di Lebow nasce dal fatto che secondo la studiosa nonostante si possano porre contro la lotta armata, focalizzando l’attenzione sugli imperativi militaristi, le questioni economiche o anche solo cercando una risposta emozionale e patemica da parte dello spettatore, questi documentari estendono e glorificano la guerra.

Nel film di Bureau al contrario il conflitto rimane fuori campo, così come il nemico, figure perse nel paesaggio. La guerra di posizione è una guerra di attesa, i soldati scavano delle trincee, costruiscono barricate con lamiere e sacchi di terra per proteggersi dalle bombe nemiche alle quali non possono rispondere per non violare il “cessate il fuoco” imposto da Minsk. L’utilizzo del bianco e nero accentua il distanziamento con la realtà, un archive effect che richiama un’era passata, lo scenario di un’altra guerra di trincea, la Grande Guerra. La musica classica che accompagna il film invece, alternata ai rumori delle bombe, delinea un ambiente onirico, sospeso, che ricorda, ad esempio, Spiritual Voices (Dukhovnye golosa. Iz dnevnikov voyny. Povestvovanie v pyati chastyakh, 1993) di Aleksander Sokurov.

Non c’è gloria e non c’è eroismo, la maggior parte dei soldati sono lì perché non hanno alcun tipo di prospettiva lavorativa nel proprio paese, come una madre di due figli di venti anni, arruolatasi volontariamente. Tranchées destabilizza il paradigma militarista dominante nel cinema documentario, de-familiarizza lo spazio, un contro-movimento e una contro-strategia rispetto all’assuefazione delle immagini palliative di guerra. Allontanando lo sguardo dal conflitto il film, piuttosto che cercare di restituire una prossimità viscerale all’azione, rende percettibile ciò che viene tralasciato convenzionalmente dalla narrazione.

Unfitting e Untimeliness, tornando al pensiero di Lebow e al concetto di unwar film. I giorni sembrano passare tutti uguali, giorni in attesa. “Pensano che siamo in guerra”, ironizza un soldato mentre gioca ai videogiochi sul computer insieme ad un altro commilitone. Lo scontro arriva nel finale ma ancora una volta si dissolve nel nero, come in apertura. Nonostante il grado di distanziamento, la morte continua ad essere uno spettro che si aggira nei cunicoli delle trincee, la terra trema in un paesaggio in continuo mutamento sopra i soldati. Il colore appare nel momento in cui i commilitoni lasciano l’avamposto per ritornare a casa.

La fine di un sogno/incubo e l’immersione in un un’altra quotidianità, a prima vista normale. Il tempo risulta essere ancora comunque sospeso, gli uomini e le donne in attesa di ri-entrare nella dimensione altra, della guerra, un altro tour, un’altra chiamata. Una realtà solo apparentemente distante, ai confini dell’Europa orientale, in cui si continuano a mietere vittime.

Riferimenti bibliografici
A. Lebow, The Unwar Film, in A Companion to Contemporary Documentary Film, a cura di A. Juhasz, A. Lebow, Wiley Blackwell, Oxford 2015.

Tranchées. Regia: Loup Bureau; sceneggiatura: Loup Bureau; montaggio: Léo Gatelier, Catherine Catella; musica: Gustave Rudman Rambali; produzione: Unité (Caroline Nataf); origine: Ucraina; durata: 85′; anno: 2021.

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