The Lighthouse di Robert Eggers racconta la storia, ambientata nel 1890, di Ephraim Winslow. Inviato su un’isoletta a largo delle coste del New England, per fare da apprendista al vecchio guardiano del faro, Thomas Wake, Winslow si ritrova ben presto preda di una lenta discesa nell’abisso della follia. Con questo secondo lungometraggio, Eggers conferma la sua intenzione di dar vita a un cinema fantastico, che sia anche una riflessione sul processo di produzione dell’immagine filmica.

Il regista, prendendo spunto da un racconto incompiuto di Poe, rielabora le figure di Prometeo e Proteo (Winslow e Wake), per mettere in scena una vicenda che affonda le proprie radici nella cultura romantica ottocentesca. Egli estrapola, infatti, da La ballata del vecchio marinaio di Coleridge, la credenza che vede negli uccelli marini le reincarnazioni delle anime dei marinai defunti, per tematizzare la dicotomia immaginazione primaria/secondaria, intesa come categoria della percezione. L’immaginazione primaria, secondo Coleridge, è la facoltà di percepire il mondo, emanazione di un unico principio creatore, attraverso impressioni sensibili, elaborate dalla ragione in un contesto di meccanicismo biologico. L’immaginazione secondaria si presenta invece come la facoltà di percepire i legami spirituali che intercorrono fra tutte le cose del mondo e di ricondurle a quel principio creatore.

Così come La Ballata costituisce un’allegoria del contrasto tra le differenti modalità interpretative del reale, inerenti alle due immaginazioni – il razionalismo materialista del marinaio (primaria) e il misticismo neoplatonico veicolato dalle forze della natura (secondaria) – The Lighthouse ne inscena lo scontro, attraverso il conflitto fra i due protagonisti. Winslow è accomunabile al vecchio marinaio, nel negare le forze primordiali della natura. Il suo ruolo prometeico si esplica nella pretesa che l’essere umano possa autodeterminarsi come soggettività razionale in una società basata su principi economici non-trascendenti, attraverso la tecnica, ovvero, nel caso specifico, acquisendo la conoscenza del funzionamento della luce/fuoco mitico del faro. Wake/Proteo, custode di tale conoscenza, è anche il messaggero del mare e delle sue creature ibride, le quali, nella loro corporeità mutante di donne-pesce e uomini-cefalopodi, fungono da vettori delle forze libidiche della vita. Esse intrappolano Winslow in una gerarchia trascendentale, che vuole ogni manifestazione dell’esistenza come l’emanazione di una forza creatrice, capace di immergere le forme della natura in un processo costante di divenire.

Lo scontrarsi e il compenetrarsi di queste due interpretazioni della realtà viene filmato attraverso lenti degli anni trenta Baltar, su pellicola 35 mm, in bianco e nero e con un aspect ratio di 1.19:1. Lo scopo è quello di  raffigurare un universo visivo costituito da immagini che rimandino alla tradizione del cinema classico espressionista e naturalista. Infatti se l’espressionismo cinematografico, come spiega Deleuze, deriva da un gioco intensivo di luce e tenebre, che si fa segno allegorico della caduta di un personaggio nell’abisso, le immagini che mettono in scena la discesa di Winslow nella follia forniscono un’attenta figurazione di questo concetto. In esse lo spazio filmico viene costruito attraverso un uso della luce artificiale, diegeticamente generata dal faro, che richiama il caravaggismo del Murnau di Faust (1926). L’illuminazione degli interni e degli esterni notturni, in cui Winslow vive le sue allucinazioni, predilige campiture, controluce, tagli obliqui e linee rette, care al cinema di Lang. Eggers integra, poi, la scelta della mezza figura con l’utilizzo intensivo di primi e primissimi piani, ridisegnati dal contrasto luce/ombra.

I volti stessi dei personaggi subiscono un processo di astrazione tale da essere inseriti nella vita non-organica degli oggetti, secondo la definizione deleuziana di volto espressionista. Con questo tipo di scrittura fotografica il regista afferma le potenzialità plastiche della luce, riconoscendovi quel principio creatore di cui Wake è custode e che mette in relazione ogni forma – umana e non – dell’universo filmico. A una simile interpretazione della luce artificiale, fa da contrappunto un uso della luce naturale di matrice post-impressionista. Nelle immagini diurne la luce del sole scolpisce, con l’aiuto degli elementi (vento, pioggia e marea) un mondo naturale costituito da diverse gradazioni di grigio.

Eppure, nonostante il richiamo al concetto di grigio luminoso della scuola francese, in particolare al Gardiens de phare (1929) di Grémillon, queste immagini monocromatiche sono più affini a quel cinema naturalista che Deleuze ritiene possa far scaturire dalla descrizione di un ambiente reale, immagini/pulsioni di un mondo originario. Proprio come nel naturalismo, infatti, anche nel film di Eggers, in un ambiente determinato geograficamente, storicamente e socialmente, i protagonisti soccombono alle pulsioni di una natura sempre più violenta e animale, in una evidente negazione del razionalismo materialista.

Se si tiene presente, poi, che le immagini impresse sulla pellicola rappresentano sempre un principio temporale, catturato e restituito dalla luce, in quelle espressioniste di The Lighthouse si può leggere una temporalità lineare, dipanata secondo traiettorie discendenti e ascendenti, entro la quale gli oggetti/ombre del mondo si generano dalla luce. Le immagini mutuate dal naturalismo invece privilegiano la messa in scena di uno spazio caratterizzato da una temporalità ciclica. Dal momento in cui Winslow uccide l’uccello marino, queste si presentano come un ripetersi meccanico di situazioni, in cui le azioni non portano ad alcun cambiamento o progressione. Esse si pongono al di fuori del tempo produttivo inserito nel divenire storico, per rimandare alla circolarità di un racconto mitico.

Il sommarsi di queste due temporalità parziali, per mezzo di un montaggio che privilegia i falsi raccordi, restituisce una temporalità filmica totale che si snoda su se stessa in un movimento a spirale, diretto da e verso l’immagine primeva del bianco abbacinante, simbolica origine della luce. Effettivamente la forma della spirale – raffigurata nella scala a chiocciola e nella mostruosità tentacolare – si palesa come processo plastico di trasformazione di un tempo mitico/circolare che ingloba la progressione lineare dell’ontogenesi luministica e organizza immagini che hanno come referente principale il patrimonio estetico del cinema.

In questa prospettiva il precipitare di Winslow nella follia può essere letto come il precipitare dello spettatore da un’immagine a un’altra, in un ripetersi infinito del mito prometeico, alla ricerca del segreto della luce che crea l’immagine filmica. Segreto custodito dalle lenti riflettenti del faro, il quale, in quanto dispositivo fotogenètico, è l’origine di quel potere, postulato dalla dicotomia immaginazione primaria/secondaria in grado di dare forma a nuove realtà dalle ombre (il cinema espressionista) e di svelare i rapporti spirituali che si nascondono dietro l’apparente meccanicismo biologico della natura (il cinema naturalista).

In altre parole Eggers mette in scena una vicenda allegorica, che vede nel processo di produzione dell’immagine filmica la capacità di generare diverse realtà a partire non dalla mimesis di un modello naturale, ma da un patrimonio figurativo, attualizzato da un procedimento tecnico di creazione luministica in cui l’uomo è solo un attore incidentale (il faro/cinema continua a funzionare indipendentemente dalla presenza umana). Con un rimando all’ontologia baziniana dell’immagine cinematografica, il cinema appare un «processo genetico attraverso cui l’oggetto produce da sé la propria immagine attraverso un altro oggetto» (Grosoli 2016, p.56). Così The Lighthouse si rivela una potente messa in scena del valore autopoietico del dispositivo cinematografico stesso.

Riferimenti bibliografici
A. Bazin, Che cosa è il cinema?, Garzanti, Milano 1999.
M.B. Carbone, Tentacle Erotica, Mimesis, Milano 2013.
S. Coleridge, La ballata del vecchio marinaio, Feltrinelli, Milano 2010.
G. Deleuze, L’immagine-movimento. Cinema 1, Ubulibri, Milano 2006.
M. Grosoli, André Bazin: il cinema come compimento e inversione del mito, in “Fata Morgana”, n. 29, Mito, 2016.
F. Jesi, Letteratura e mito, Einaudi, Torino 2002.
J. Loiseleux, La luce nel cinema, Lindau, Torino 2007.
E. Rohmer, L’organizzazione dello spazio nel «Faust» di Murnau, Marsilio, Venezia 1985.
P. Vernant, L’universo, gli dei, gli uomini, Einaudi, Torino 2014.

The Lighthouse. Regia: Robert Eggers; sceneggiatura: Robert Eggers, Max Eggers; fotografia: Jarin Blaschke; montaggio: Louise Ford; musiche: Mark Korven; interpreti: Robert Pattinson, Willem Dafoe, Valeria Karamän, Logan Hawke; produzione: RT Features, Parts & Labour; distribuzione: Focus Features; distribuzione (in italiano): Universal Pictures Home Entertainment; origine: USA, Canada; anno di produzione: 2019; durata: 109′.

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