La festa, ogni festa, è una corda tesa tra la seduzione e i pretesti per sedurre. C’è la partouze, dove i pretesti sono quasi assenti e si arriva velocemente al punto. E ci sono i ritrovi degli intellettuali, dove si succhia per delle mezz’ore dallo stesso bicchiere di champagne tiepido, raccontandosi i viaggi e le conferenze. Ma anche quando sembra che uno dei poli manchi, non è così. Nemmeno nella partouze ci si può comportare come animali, un minimo sindacale di conversazione va pur affrontato. Nessun ritrovo di poeti laureati è così pretestuoso da cancellare del tutto la prospettiva di quagliare, magari la prossima volta. Un movimento fluido e continuo tra un polo e l’altro – in progressione, oppure facendo la spola avanti e indietro – è la prova che la festa è riuscita. L’alcol è il bilanciere che permette di camminare sulla fune senza cadere. Le droghe, quando arrivano, hanno lo stesso effetto, ma più forte e imprevedibile, perché spingono di colpo da un lato e poi, con la stessa veemenza, da quello opposto: la fantasia galoppa, ma basta un attimo per innamorarsi dalla propria voce e, quando il tocco magico è svanito, siete ancora in salotto a distribuire freddure che sembrano irresistibili soltanto a voi.
Tutto questo a Milano si amplifica. È la città con la più alta concentrazione al mondo di belle ragazze e anche quella con più droga. Se poi a organizzare la festa è un late starter, uno che ha scoperto la vida loca dopo aver ampiamente superato l’età della ragione, l’effetto si moltiplica ulteriormente. Mordere le cose tardi è sempre un rischio. Succede il contrario del dannunziano habere, non haberi. Non importa se si tratta di automobilismo, cinema o deboscia: ci si affeziona con accanimento da adolescente e convinzione da adulto, e c’è una buona probabilità di finire immolati sull’altare del nuovo idolo. È ciò che è accaduto sulla Terrazza Sentimento, episodio di cronaca rosa-nero-bianca della brutta estate 2020 diventato una docuserie Netflix in tre puntate. Il protagonista è Alberto Genovese, golden boy delle startup che ha fatto una vita da galera fino ai 38 anni, per poi capire che – come dice Zio Paperone quando il buon senso ha la meglio sulla taccagneria – non c’è gusto a possedere dei fantastiliardi se non ci fai un po’ di chiasso attorno. A che serve una penthouse di due piani con piscina e vista sulle guglie del Duomo (ecco la Terrazza) se sei una personcina comme il faut?
Nel secolo scorso altri decenni erano stati siglati da feste finite male, dove l’eccesso diventava delitto. L’omicidio di Anna Fallarino in Casati Stampa (adesso anche un film di Andrea De Sica, Gli occhi degli altri) ha messo una pietra sopra i sessanta, gli anni dell’amore libero. Il rampantismo milanese degli ottanta culminò anzitempo nell’assassinio di un playboy per mano di una modella americana: i Pooh ci fecero una canzone, Terry B, e i fratelli Vanzina un film, Sotto il vestito niente. I crimini della Terrazza aggiornano quella storia, con tanto di hashtag “Milano da bere”, ma non senza alcune differenze decisive. La prima è che questa volta non c’è di mezzo un omicidio, bensì una violenza sessuale. Non meno riprovevole, ma tutt’altro scenario. La seconda è che il 25 giugno del 1984 l’assassinio di Francesco D’Alessio scoperchiò una pentola che nessuno immaginava bollisse: quando in tribunale sfilarono i testimoni raccontando di baccanali improvvisati alle prime luci del giorno, ci volle un po’ per far capire ai giudici che non era perché si svegliavano presto.
I milanesi, e il resto degli italiani con loro, credevano che i ragazzi di buona famiglia passassero il tempo libero tra circoli del tennis e maneggi, e che il cucchiaino d’oro appeso al collo fosse un simpatico monile, non il preludio di notti insonni trascorse in quattro o cinque dentro lo stesso letto. Ma anche per i diretti interessati l’intera situazione aveva il fascino di una terra incognita: la cocaina, fino a quel momento appannaggio di biscazzieri e rapinatori, era una cosa relativamente nuova, e non ci si era ancora abituati alle silfidi che, dalle lande dell’Ohio alle spiagge di Sydney, approdavano a frotte per le sfilate e che, dicitur, bastava trascinare nella più scalcagnata delle trattorie perché si sciogliessero davanti alle meraviglie gastronomiche del luogo. Nonostante l’evidente cialtroneria, l’ambiente non era privo di un certo spirito, anche se di patata: il Principessa Clotilde, residence dove era parcheggiata la maggior parte delle extraterrestri, divenne il “Principessa Clitoride”, per tirare tardi senza perdere smalto c’era “l’acqua bella frizzante”, certa gente aveva “più Armani che anima”. Così si presentava la cresta di quell’onda spumeggiante che fu la Milano-azienda dei roaring Eighties.
La “Terrazza Sentimento” appartiene invece alla Milano-piattaforma del Ventunesimo secolo, dove anche le sorprese sono programmate e precotte. Gli ingredienti base della Terrazza sono gli stessi degli ottanta, solo invecchiati di quarant’anni, e mescolati nel modo sbagliato. È come il brutto remake di un bel film: tanti effetti speciali e nessun mistero, La Dolce Vita girato con gli influencer e, al posto del languore del desiderio, la magra soddisfazione di essere gli ultimi a restare in piedi. Il tormentone del documentario è: tutti sapevano quello che succedeva. Per forza: più o meno “acchittate”, alcoliche e psicotropiche, in Terrazza c’erano le attrazioni ampiamente rodate di qualunque festa danarosa in qualunque parte del mondo. Un lettore di Dagospia avrebbe potuto immaginare senza troppi sforzi la scaletta di una serata chez Genovese. Ecco perché, prima di Netflix, ce ne eravamo scordati tutti. Non c’era la sperimentazione libertina e l’esibizione mondana di un Camillino Casati Stampa: nella stanza del padrone di casa facevano mostra di sé i soliti dildo e frustini d’ordinanza. Né quegli incontri accompagnavano la scoperta di un mondo nuovo, come invece era stato per i giovani leoni e le gazzelle della reaganomics meneghina.
In Terrazza c’è spazio solo per il cortocircuito chimico dell’eccitazione, una performance privata registrata dalle telecamere (che hanno finito per inguaiare il protagonista), la festa nell’epoca della sua riproducibilità farmacologica. Se negli anni ottanta la droga funzionava ancora come un acceleratore del passo sulla fune tra i pretesti e il sesso, oggi è la fune. Ed è il sesso, con i suoi pretesti, a essere diventato un alibi per drogarsi. Una ragazza racconta che, arrivata da Genovese alle sei del mattino, si aspettava di trovare un sacco di gente, e invece c’erano due coboldi che si dimenavano davanti a un piatto da Scarface. Segno inequivocabile che quella sera nessuno aveva concluso. Gli intellettuali sono turbati dall’ossessione di questi tempi scellerati per il “godimento”. È vero l’esatto contrario: noi e il piacere seguiamo traiettorie parallele, destinate a non incontrarsi. Gli asceti dell’alba, quelli che ne vedono due o tre di fila senza dormire, sono i peggiori festaioli. Ma anche gli unici che ancora ci provano.
La “Terrazza Sentimento” non è stata un tempio della trasgressione ma una sua messinscena sotto il controllo dell’algoritmo-droga, che si prolungava per giorni, nell’appartamento e su Instagram. Non tanto grazie alla cocaina, di per sé già abbastanza autistica (“quando l’ho presa, ascoltavo Wagner da solo”, dice Filippo Facci intervistato in veste di bon vivant, comunque provvidenziale per ricordarci che esiste un lessico diverso da “amò”, “assolutamente”, “ti giuro”), quanto per la ketamina, utilizzata come anestetico nella chirurgia di guerra e sui cavalli, una droga da bestie che trasforma lo spazio in una tela cubista e il corpo in un sacco di patate: è l’esperienza del k-hole, l’intossicazione da keta, di cui nel documentario si favoleggia come di un nuovo Graal. Invece è un buco nero autoinflitto, il mondo che diventa una poltiglia grigia. Non solo il sesso, anche la morte viene simulata, talmente fa paura, e la violenza diventa l’unico mezzo per recuperare il senso della realtà. Se i picchi delle feste degli anni sessanta e ottanta toccavano un’intensità imprevista che poteva sfiorare la tragedia, i festini alla Genovese, archivi infiniti di video, stories, post, file, programmano anche i guai.
Terrazza Sentimento. Regia: Nicola Prosatore; fotografia: Edoardo Carlo Bolli; montaggio: Simone Mele, Daria Di Mauro; musiche: Glauco Di Mambro; produzione: FremantleMedia Italia; origine: Italia; anno: 2025.