Ci sono molti temi e idee che si intrecciano nel corso del (lungo) film di Todd Field, che è innanzitutto l’insuperabile prova di una magnifica Cate Blanchett. Narrativamente il film sceglie una strada non particolarmente originale: racconta la fase discendente della parabola di un personaggio geniale, la prima donna della storia a diventare direttrice di una delle più importanti orchestre al mondo. All’unicità dell’impresa – diventare direttrice d’orchestra in un ambiente culturale, quello della musica classica, fortemente dominato dalla tradizione maschilista – si associa la prevedibilità della dinamica di potere che quella impresa porta con sé: narcisismo, manipolazione e opaca sopraffazione sono alcune delle forme attraverso cui il potere si manifesta e si dispiega.
Alla vigilia di quella che per Lydia Tár è il coronamento di un sogno – l’incisione dal vivo della Quinta sinfonia di Mahler, l’unica che non aveva ancora inciso e la cui lavorazione era stata rimandata a causa della pandemia (che entra nel racconto come mero contesto), il mondo del Maestro – così lei si fa chiamare – comincia a sgretolarsi. Perderà gli affetti, la compagna (primo violino dell’orchestra) e la figlia, la fama e il prestigio, l’autorevolezza e la riconoscibilità, nonché l’opportunità di incidere la sinfonia di Mahler. Non si tratta di una frattura improvvisa, che irrompe nell’idillio di un mondo apparentemente senza zone d’ombra. Il merito del film è quello di mostrarci come nella prassi del potere stesso sia insito il suo epilogo, la sua perdita.
Quando infatti un gruppo di studenti monterà ad hoc il video di una lezione che Tár aveva tenuto, restituendo l’immagine di una donna senza scrupoli, omofoba e radicata essa stessa in quella cultura patriarcale e razzista che ha dominato la storia occidentale, quei lati oscuri noti ma taciuti emergeranno e non potranno essere più addomesticati nella narrativa della genialità. L’immagine gloriosa del Maestro è ormai ribaltata: il suicidio di una sua ex allieva con cui aveva avuto una relazione, l’abbandono della sua assistente, anch’essa irretita con una insostenibile dinamica di continua attrazione e allontanamento, momenti di massima tenerezza e spietata freddezza, sono gli esiti più evidenti di una radicata prassi della sopraffazione che si gioca con le armi della seduzione, del ricatto, innanzitutto emotivo, e dell’isolamento.
Ora, l’evento che accelera questo processo di disfacimento del potere è l’arrivo di Olga, una giovanissima violoncellista russa, che non sembra subire il fascino né del potere né del genio del Maestro. Non ha soggezione verso quella figura venerata e temuta dagli altri, non ha paura di suggerire soluzioni per la composizione a cui la direttrice sta lavorando, non ha vergogna quando Tár le chiede quale versione del Concerto di Elgar preferisca e lei cita i video YouTube. Olga sembra arrivare da un altro mondo, che Tar insegue senza riuscire ad afferrarlo, ad irretirlo, mettendo a rischio la sua stessa incolumità, come nella scena in cui, nel tentativo di restituirle un peluche dimenticato in macchina, vaga nei corridoi bui di una casa apparentemente abbandonata di Neukölln e cade ferendosi al volto.
Allora, come dicevamo all’inizio, Tàr tiene insieme tanti spunti. È un film sulle derive del potere declinate attraverso un discorso di genere; è la storia di una donna tormentata, che in fondo si è appropriata di un modello che non è riuscita a governare e che ha nella musica il suo unico spazio di verità; ed è sicuramente l’esercizio di messa in scena della musica come spazio dell’emozione pura, come le bellissime scene delle prove d’orchestra dimostrano. Ma oltre a tutto ciò, Tár sembra suggerire una riflessione sul potere attraverso le generazioni, che si definiscono e si riconoscono a partire da specifiche prassi dell’immagine e dei media.
Il film, infatti, può essere letto a partire da tre momenti mediali. Il primo è la scena con cui il racconto prende avvio: l’immagine dell’immagine di Tàr, ovvero una ripresa fatta da mobile, apparentemente tramite un’app simile a Twitch, che coglie il Maestro in un momento di debolezza, in dormiveglia su un aereo, mentre sulla diretta video avviene il dialogo tra due persone (più avanti scopriremo che a riprendere e a scrivere è Olga). Tutt’altro che auratica, l’immagine del Maestro diventa pura materia mediale, tra le altre, merce di scambio, elemento di un’esperienza di cui è protagonista, ma senza alcun controllo.
Il secondo momento è quello della creazione e condivisione online del video che sembrerebbe smascherare Tár. Se è vero che in quella lezione il Maestro aveva attaccato duramente un allievo, che in nome della cancel culture non si era mai cimentato con Bach, è altrettanto vero che il video è ben lontano dal restituire la verità e la complessità di quel momento, in cui due generazioni si confrontavano su cosa è il talento, su quanto e come il sesso, la religione o la condotta morale di un artista possano o debbano influenzare il giudizio sul suo lavoro (tema più che attuale). L’immagine è manipolazione.
E infine l’ultimo momento, decisivo, che tiene insieme tutti gli spunti di questa storia, quando Tàr torna nella casa della sua famiglia d’origine, dove ad attenderla c’è solo il fratello che è molto lontano da quel mondo alto-borghese in cui fino ad ora l’avevamo collocata, e rivede uno dei tanti VHS che contengono le registrazioni di importanti concerti per orchestra. Non soltanto l’educazione musicale, ma anche quella sentimentale di Tàr è avvenuta attraverso quel supporto mediale, ovvero quella esperienza che si traduce in una sorta di venerazione dell’immagine del direttore d’orchestra a cui si vuole somigliare. La lacrima che riga il volto di Cate Blanchett non scaturisce solo dal dover riconoscere che il proprio sogno si è frantumato, ma forse più radicalmente dal dover riconoscere la perdita di un mondo intero, che non esiste più. Qui l’immagine, pur nella sua analogica riproducibilità, è ancora un’immagine auratica e per questo è un’immagine del passato.
Tàr offre dunque una riflessione sulle contraddizioni del nostro presente, attraversato da spinte regressive e desiderio di rinnovamento, forze contraddittorie che a volte possono addirittura arrivare a toccarsi; ed è un’ulteriore riflessione su come oggi le immagini possano ridefinire gli spazi del potere: se le dinamiche sono simili quando si tratta di genere, sono invece profondamente diverse in termini di generazioni.
Tár. Regia: Todd Field; sceneggiatura: Todd Field; interpreti: Cate Blanchett, Noémie Merlant, Nina Hoss, Sophie Kauer, Julian Glover, Allan Corduner, Mark Strong; produzione: Todd Field, Alexandra Milchan, Scott Lambert; origine: Stati Uniti; durata: 158′; anno: 2022.