L’arte di Maria Callas ha avuto un impatto inedito sull’arte e sulla cultura contemporanea: nessuna cantante lirica ha suscitato una risonanza simile, che va ben oltre i confini dell’opera. Anzi, come è stato più volte ricordato, è la stessa percezione del melodramma che è radicalmente cambiata grazie a Callas: non più un genere destinato soprattutto all’esplicazione della tecnica vocale, e nei casi peggiori all’esibizione del virtuosismo, ma un’arte composita, in cui teatro e musica interagiscono sistematicamente e profondamente. Questa nuova interpretazione del melodramma sarà il presupposto per comprendere il suo valore storico e culturale: per capire che rappresenta una parte fondamentale della cultura europea, forse l’aspetto più vitale del romanticismo italiano, e nello stesso tempo il fulcro di un immaginario di lunga durata che si trasmetterà al cinema, come ha mostrato il saggio canonico di Peter Brooks, appena riproposto dal Saggiatore.

I musicologi tendono a ridimensionare questa immagine mitizzata, troppo polarizzata fra un prima e dopo Maria Callas, ma credo che il valore rivoluzionario delle sue interpretazioni sia innegabile; e derivi soprattutto dal suo essere allo stesso tempo cantante e attrice: una voce fuori dal comune, una e trina, che ha scompigliato le classificazioni della soprano; e un’interprete che è stata paragonata a grandi icone come Sarah Bernhardt.

La teatralità di Maria Callas è stata valorizzata dagli incontri con registi e registe, ripercorsi nel profilo scritto da Alberto Bentoglio per Carocci in occasione del centenario. In particolare il rapporto con Luchino Visconti è stato intenso e sfaccettato, e ha dato vita a quattro importanti produzioni, di cui una è sicuramente leggendaria. La Traviata diretta da Carlo Maria Giulini al Teatro alla Scala del 1955, con l’ambientazione spostata a fine Ottocento, fra Eleonora Duse e Zola, e con Violetta che lancia via le scarpe al momento di cantare “Sempre libera”, è forse lo spettacolo più iconico della storia dell’opera: quello che più segna un nuovo modo di concepirla.

L’effetto Callas si riverbera anche sulla letteratura: una serie di scrittrici e scrittori ne descrivono la voce, la presenza, l’aura magnetica, ricorrendo alla classica tecnica dell’ekphrasis musicale. Nella sua veste di critico musicale, Eugenio Montale analizza a fondo la sua vocalità, e affronta anche il delicato tema della sua «non privata privacy», che suscitava allora, e suscita ancora, un’attrazione morbosa; recensisce poi una delle sue interpretazioni più famose, la Medea di Cherubini (grazie al film di Pasolini Callas diventerà sempre più Medea nell’immaginario collettivo), ed in questa occasione riprende il termine più calzante per definire il suo canto, già usato a proposito della Sonnambula di Bernstein-Visconti: espressionistico. Un’altra grandissima voce della poesia novecentesca, Ingeborg Bachmann, scrive un Omaggio a Maria Callas, pubblicato ora da Laura Boella, dopo aver assistito a una replica della mitica Traviata: l’ingresso in scena della diva l’ha scossa dall’apatia con la sua espressività priva di ostentazione (assieme al suo amico compositore Hans Werner Henze, Bachmann progetta per lei un libretto per un’opera, Belinda, su una popolana che diventa una star internazionale del cinema).

Oltre ai poeti, anche i romanzieri si misurano con Callas: Marguerite Duras scrive della sua ultima Tosca, lo scrittore argentino naturalizzato francese Héctor Bianciotti dedica una sezione di La ricerca del giardino a un’altra interpretazione memorabile, Norma, esaltando, nella sua raffinata prosa proustiana, «la voce infinitamente plastica, che cerca sempre un’altra voce». Callas non poteva mancare nello scrittore più melomane della letteratura italiana, Alberto Arbasino, che, con un registro camp del tutto diverso, la evoca più volte nel suo romanzo epistolare L’anonimo lombardo, ricco di citazioni operistiche, in cui la definisce «tutta espressività»; mentre Goffredo Parise racconta il suo spossamento di fronte al prodigio canoro e alla fortissima tensione erotica, avvertiti assistendo al Barbiere di Siviglia, uno dei suoi rari ruoli comici. Tutti questi scrittori raccontano l’esperienza insostituibile della performance dal vivo; diverso è il caso di Pasolini, che non amava l’opera, almeno fino all’incontro con la diva: la sua poesia Timor di me? trasforma la descrizione in riflessione filosofica e autobiografica, in cui il canto di Callas promana dal «VUOTO DEL COSMO».

Anche il mondo del teatro è stato, ovviamente, attratto dal fenomeno Callas: ne parlano un’attrice tragicomica, drammaturga e melomane, come Franca Valeri, e uno spericolato artista poliedrico come Paolo Poli; ma ne subisce il fascino anche il grande attore da cui promana l’avanguardia degli anni Settanta, Carmelo Bene. Se ci spostiamo agli antipodi della sperimentazione fonica di Bene, e andiamo a Broadway, troviamo un drammaturgo come Terrence McNally, che dedica due pièce a Callas: Master Class, che rievoca le celebri lezioni alla Juillard School di New York (portato sulla scena da Fanny Ardant con la regia di Roman Polanski); e Lisbon Traviata, dedicato al suo culto da parte della comunità gay, ben chiaro anche nel romanzo di Arbasino.

Callas è stata un’artista polimorfica, come lo è anche il suo equivalente nella musica leggera (un’altra icona gay fra l’altro), Mina: un parallelismo su cui hanno scritto un musicologo come Luigi Pestalozza e un musicista come Adriano Guarnieri, che vi ha dedicato la sua opera-video Medea. Mille e una Callas si intitola una ricca raccolta di saggi che ora viene riproposta dall’editore Quodlibet, e ricca, ricchissima è anche l’offerta di iniziative per il centenario:  il biopic di Pablo Larraín, in cui è interpretata da Angelina Jolie e affiancata da Valeria Golino; la mostra Fantasmagoria Callas del Teatro alla Scala, che ha affidato il progetto espositivo a cinque artisti di ambiti disparati: Giorgio Armani, Alvin Curran, Latifa Echakhch, Mario Martone e Francesco Vezzoli; il palinsesto di iniziative Icona Callas dell’Università di Torino, che include due mostre, la presentazione del Museo Callas di  Atene, e un convegno che affronterà innumerevoli momenti chiave del mito (il dimagrimento, l’Hologram Tour, la gastronomia, la fotografia); la ripresa della performance di Marina Abramović The Seven Deaths of Maria Callas al Teatro San Carlo a Napoli; la riproposta sul grande schermo di Callas-Parigi 1958 (il debutto all’Opéra Garnier); iniziative che confermano la rifrazione dell’effetto Callas su tutte le forme dell’immaginario, come sulle dinamiche culturali studiate dai Celebrity studies.

Credo ci sia però una cifra che possa, se non sintetizzare, almeno raccordare i mille volti di Callas: l’espressionismo. In questa prospettiva si può recuperare la fin troppo nota rivalità con Renata Tebaldi, che ha segnato l’Italia degli anni Sessanta come quella tra Fellini e Visconti a cui Francesco Piccolo ha dedicato La bella confusione. Da un lato una pura voce angelicata, dall’altro un canto scuro ed espressionista; da un lato una concentrazione assoluta sulla musica, dall’altro un’interpretazione che sollecita tutti i sensi e fa interagire teatro e musica.

A cent’anni dalla nascita le nuove tecnologie digitali, le ricerche d’archivio, le sperimentazioni visive e sonore (Christian Marclay) cercano di far rivivere la scossa sublime di una voce che aveva spaziato da Gluck a Wagner, dal belcanto a Verdi, da Puccini al verismo, sempre alla ricerca di un’espressività tesa fino ai limiti dell’umano.

Riferimenti bibliografici
L. Aversano, J. Pellegrini, a cura di, Mille e una Callas, Quodlibet, Macerata 2023.
A. Bentoglio, Maria Callas, Carocci, Roma 2023.
L. Boella, Con voce umana, Ponte alle Grazie, Milano 2023.
P. Brooks, L’immaginazione melodrammatica, Il Saggiatore, Milano 2023.
E. Montale, Prime alla Scala, Mondadori, Milano 1981.

Maria Callas, New York, 2 dicembre 1923 – Parigi, 16 settembre 1977.

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