Nell’ambito dei film e media studies contemporanei l’immagine animata riveste un ruolo rilevante e dirimente, tanto in chiave ontologica, quanto culturale. Il passaggio tecnologico ed estetico dall’analogico al digitale e le configurazioni convergenti e interdisciplinari del panorama mediale attuale hanno attivato un ritorno d’interesse nei confronti delle tecniche d’animazione, concepite come assioma teorico essenziale delle immagini in movimento e non più come mero disegno animato.
Fondata sul principio del passo-uno e sulla possibilità di sovrapporre e integrare simultaneamente diverse fonti audiovisive, l’immagine animata contemporanea riformula numerose acquisizioni che definiscono il concetto stesso di cinema, cortocircuitando le esperienze aurorali di fine Ottocento e inizio Novecento con le frontiere informatiche più avanzate del XXI secolo. È l’idea avanzata da Lev Manovic di un cinema digitale che ritorna alle «tecniche manuali» d’animazione e che non può più esserne nettamente distinto (Manovich 2002, p. 363). Christian Uva e Paul Wells propongono, del resto, di guardare all’animazione contemporanea come a una forma di «re-animation» che si estende tra cinema, televisione, videoarte e nuovi media (Uva, Wells 2017). Allo stesso modo, Suzanne Buchan parla di «pervasività» delle forme d’animazione all’interno della cultura visuale contemporanea, riconfigurandone gli immaginari, gli orizzonti culturali e i canoni stilistici e tecnici (Buchan 2013). Tali orientamenti conducono, d’altronde, Thomas Lamarre ad affermare che l’animazione è la «logica dominante delle immagini in movimento» intesa come tecnica «molteplice» (Lamarre 2009, p. 36).
È seguendo questo orientamento di analisi che l’animazione contemporanea riscopre anche le tecniche d’animazione alternative all’ortodossia industriale del disegno su acetato: pittura diretta su pellicola, schermo di spilli, découpage, stopmotion, pixillation, slow motion animation, morphing, animazione della sabbia, ecc. Pratiche tipiche dell’animazione sperimentale (dalle avanguardie storiche al cinema astratto, dal film d’artista all’underground, alla videoarte) che si muovono in un territorio di frontiera, libero da condizionamenti e votato alla più ardita ricerca tecnologica, e che contaminano in una forma ibrida e metamorfica linguaggi eterogenei, poetiche autoriali e di consumo, tecnologie artigianali e computerizzate.
Sorprendente ed emblematica per risultati e metodi è la figura dell’animatore italiano Donato Sansone (aka milkyeyes) che trova nella commistione e sperimentazione fra tecniche d’animazione tradizionali e informatiche la forma espressiva ideale del suo universo figurativo. In continuità con la caratteristica capillarità dell’animazione contemporanea le sue opere vivono oltretutto di un’assoluta eterogeneità di forme e formati: corti sperimentali, video musicali, spot promozionali, sigle, visual, video virali per il web. Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Napoli e presso il Centro Sperimentale di Animazione di Torino, Sansone lavora in un’ottica totalmente interdisciplinare e intermediale, combinando disegno, animazione su carta, computer grafica, elaborazione 3d, compositing.
Fin dai suoi primi lavori, la corporeità umana, il sesso e l’orizzonte grottesco della rappresentazione simboleggiano i motivi caratteristici ed evolutivi delle sue ricerche figurative e formali che ritraggono un universo caleidoscopico in continua metamorfosi biologica, abitato da figure umanoidi eccentriche e grottesche, pervase da una fisicità mutante, visionaria e delirante. Il corpo umano che si anima è, del resto, per Siegfried Zielinski, la figura motrice della sua ipotesi di “animazione espansa”: interpretata come un “fenomeno sensazionale” che, mediante una traiettoria media-archeologica, inserisce il principio dell’animazione nel novero delle macchine viventi o di quelle che simulano funzioni vitali (Zielinski 2013, p. 26).
Love Cube (2002) racconta la storia tragica dei tradimenti di una coppia sposata, nella quale i personaggi sono rappresentati come dei cubi animati, mentre Mutandina fina (2001) rappresenta un falso spot in cui viene pubblicizzata una bambolina che unisce tratti umani e disegnati. La fisicità è incongrua e perturbante, dal momento che, per esempio, le gambe della bambola sono costituite dalle dita delle mani, instaurando un rapporto di sproporzione deforme fra l’umano e l’oggettuale.
Nei video musicali La vedova bianca (Afterhours, 2005) e Red in my eyes (LN Ripley, 2007) invece i corpi sono sottoposti a un processo esplicito di mutazione ottico-grafica, che richiama le ricerche operate nell’ambito della tradizione del cinema d’avanguardia, sperimentale e underground. La ripresa della band che esegue la canzone in un spazio vuoto è tradotta fotograficamente da immagini deformate. Lo spazio profilmico acquista una natura liquida e i corpi diventano elastici, liquefacendosi come se fossero filmati attraverso degli specchi ricurvi o dei veli d’acqua: percorsi da figure fantasmatiche e da improvvisi lampi cromatici e di luce.
La trasformazione istantanea e reiterata dei corpi avviene anche attraverso una specifica tecnica che l’animatore realizza in lavori come Videogioco: a loop experiment (2009), Topo glassato al cioccolato (2012), Didomenica (music video Subsonica, 2014), X.Y.U. (2019), in cui combina disegno, liveaction, stop–motion e time-lapse. In questi lavori Sansone tratteggia uno spazio virtualmente continuo e stratificato, in cui intervengono mani, matite e gomme da cancellare per riprodurre un flusso di segni e figure su carta in continua evoluzione, attraverso un complesso e articolato speeddrawing, che, come in Videogioco, richiama anche la pratica del flip-book. La camera è posta verticalmente sui fogli e segue con un’inquadratura unica le trasformazioni dei disegni ribaltandone spesso l’orientamento prospettico. È così che un bosco diventa un’orbita planetaria, degli alberi si trasfigurano in sezioni del corpo umano, uccelli, fiori e piante formano supporti di strutture geometriche. In questo modo, Sansone concretizza una “performance animata”, percorrendo tecniche e territori inediti e inaspettati di sperimentazione nella raffigurazione dei corpi.
Un’altra modalità figurativa ricorrente con la quale Sansone si approccia alla corporeità umana è l’assemblaggio anatomico incongruo e irriverente. In opere come Grotesque Photo Booth – Visual Improvisation (2012), negli innumerevoli frammenti e cataloghi di Untitled – drafts videos, tests and experiments e di Mix-up (2002-2016) o nei video virali come Christmasmilky (2002), l’artista ricorre al compositing digitale a partire da riprese realizzate in set greenscreen, dove, in maniera assolutamente sbalorditiva, ottiene delle figurazioni corporee mostruose e sconcertanti conseguite simulando l’assoluta trasparenza e continuità delle forme: donne che togliendosi gli occhiali si privano anche degli occhi; frammenti anatomici che vivono di vita propria; volti che presentano falli come nasi; teste che ruotano completamente; schiene da cui emergono visi spaventosi; nasi, bocche, sessi, seni, orifizi che configurano, attraverso la loro combinazione orrorifica, una parvenza di figuratività umana. La scomposizione e ricomposizione anatomica illogica e surreale del corpo richiamano le tecniche classiche del collage e del fotomontaggio aggiornate con le possibilità manipolatorie digitali, esasperando in scala iperbolica i processi rappresentativi di simulazione e moltiplicazione della corporeità contemporanea.
In anni recenti l’artista approfondisce, in particolar modo, le ricerche sulla tecnologia d’animazione 3d, legandola alla metamorfosi delle forme corporee a partire da riprese filmate. Portrait (2014) è una serie video-fotografica che ben esemplifica tale orientamento estetico, mettendo in scena personaggi surreali e grotteschi che sembrano liquefarsi o dissolversi nella loro staticità. Il video e le fotografie ritraggono, infatti, visi che presentano simultaneamente porzioni anatomiche ritratte da prospettive multiple coesistenti. I riferimenti culturali sono la pittura di Francis Bacon e quella di Glenn Brown, così come la scultura e la fotografia dinamica futurista, ripensate tramite le potenzialità tecnologiche delle immagini di sintesi. La sovrapposizione sincronica e deformante delle varie superfici plastiche dei volti restituisce una corporeità anomala e disturbante nata dalla contaminazione figurativa tra arti pittoriche e plastiche, ma riletta principalmente attraverso una rinnovata cultura tecnologica che assomma immaginari mutuati dai videogiochi, dai fumetti, dalla grafica editoriale e dal web.
Il riferimento ai modi della pittura e della storia dell’arte ritorna anche nel corto Bavure (2018) in cui un semplice pennello agendo sul colore anima in morphing un corpo umano che viene rappresentano nelle sue sezioni e lacerazioni anatomiche, ibridando l’immaginario medico-scientifico con quello artistico. Anche nel video musicale per i Subsonica Respirare (2018), Sansone riutilizza la tecnica impiegata in Portrait ritraendo i componenti della band come se fossero dei corpi dipinti inseriti in dei “quadri animati” che richiamano, con evidenza, motivi e figurazioni tipiche del surrealismo pittorico (Magritte, Dalì, Mirò). Nel video ritroviamo le scomposizioni multiple del corpo che creano dei labirinti grafico-spaziali e i sezionamenti che dischiudono le fisicità mostrandone i sistemi circolatori e vitali interni. Le linee di forza e di costruzione del disegno, così come gli andamenti delle pennellate, esplodono graficamente e inscrivono la corporeità in un orizzonte dinamico, in continua metamorfosi e dalle conformazioni altamente spettacolari.
Nelle opere recenti sono, infine, gli stessi dispositivi di visione (digitali e analogici) ad attivare una trasformazione insistente dei corpi: lo schermo di un cellulare nel video musicale Bottiglierotte (2018) sempre per i Subsonica e un libro fotografico utilizzato come flip-book nello spot Soundframes (2018). Nel primo caso un cellulare riprende la band mentre esegue il brano in studio e attraverso il touch-screen interviene in tempo reale sulle riprese: ingrandisce, deforma, allunga, altera lo scorrimento temporale, varia la scala prospettica, intarsia sfondi differenti, moltiplica, rovescia i corpi e gli ambienti. Nel secondo caso, invece, un flip-book mette in movimento statue, corpi ed edifici urbani ripresi nella città di Torino. In questi casi, Sansone stabilisce una reciprocità biunivoca fra modificazione corporea e linguaggio digitale, legando le possibilità di alterazione delle logiche spazio-temporali delle immagini alla raffigurazione corporea. Lo schermo diviene così una “scatola magica”: la tavola mediale sulla quale fondare nuovi ordini e modelli rappresentativi della corporeità animata.
Riferimenti bibliografici
S. Buchan, a cura di, Pervasive Animation, Routledge, New York 2013.
T. Lamarre, The Anime Machine: A Media Theory of Animation, University of Minnesota Press, Minneapolis 2009.
L. Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, Olivares, Milano 2002.
C. Uva; P. Wells, a cura di, Re-Animation. L’animazione contemporanea tra cinema, televisione, videoarte, nuovi media, «Imago. Studi di cinema e media», a. viii,n. 16, secondo semestre 2017.
S. Zielinski, Expanded Animation: A Short Genealogyin Words and Images, in Buchan 2013.