C’è-vita-oltre-Il-Politecnico-Mari-1

Ispirato al celebre titolo di Primo Levi, Sistema periodico è la denominazione scelta dal laboratorio di critica nato, circa un paio d’anni fa, dall’iniziativa di un gruppo di studenti della laurea magistrale in Italianistica dell’Università di Bologna, in collaborazione con Stefano Colangelo, docente di Letteratura italiana contemporanea del medesimo ateneo. A differenza di quegli studenti che, nel racconto “Zinco”, incluso in Sistema periodico, si ritrovano ad essere considerati «per definizione, pigri o sciocchi», gli animatori di questo laboratorio hanno invece lavorato alacremente all’organizzazione di un ricco calendario di seminari accademici, confluiti quest’anno in una preziosa antologia, pubblicata dalla casa editrice bolognese Pendragon.

L’oggetto della ricerca condivisa con i numerosi ospiti del laboratorio è stato il Novecento – secolo breve e al tempo stesso interminabile, come giustamente si ricorda nel sottotitolo – delle riviste culturali italiane. Un interesse, dunque, che potrebbe apparire canonico e canonizzante, se si considera la funzione tuttora riservata alle esperienze della Voce, di Solaria o del Politecnico nella formazione universitaria degli studenti di Lettere; in realtà, non è proprio così, se si considerano gli intenti espressi dai curatori nell’introduzione: il volume «vorrebbe altresì farsi passaggio: da un lungo lavoro compiuto a uno ancora da stabilire e svolgere, proiettato, noi speriamo, in un futuro prossimo» (p. 7). Di questo lavoro futuro ancora non ci sono tracce tangibili, per quanto è dato sapere; in ogni caso, già la curatela degli atti del seminario costituisce un punto di partenza senza dubbio positivo e fecondo.

Nel primo saggio, Luigi Weber traccia alcuni «percorsi tra le riviste del Novecento», come recita il titolo stesso del contributo, ritornando, come ormai spesso e fortunatamente si propone, alla geografia letteraria proposta per la prima volta, nell’italianistica del secondo Novecento, da Carlo Dionisotti in Geografia e storia della letteratura italiana (1967). Alla geografia letteraria, Weber, accosta altre parole giustamente ritenute “necessarie” nello studio delle riviste letterarie del Novecento – “accademia”, “politica”, “credito”, “strumenti” e “tecnica” – che ritorneranno con frequenza, come si può immaginare, nei contributi successivi.

Franco Baldasso si occupa poi dei rapporti tra Lacerba e il futurismo, mentre Filippo Milani offre una panoramica più generale delle riviste letterarie italiane del periodo fascista. Qui s’interrompe la pur doverosa e approfondita ricognizione del ruolo delle riviste nel primo Novecento – questione che, come già accennato, finisce per rinviare a una lunga e per certi versi pedante tradizione accademica, già ampiamente esplorata negli anni sessanta con i sei volumi Einaudi della Cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste o nell’intervento di Laura Mangoni del 1982, all’interno dei saggi sulla Letteratura Italiana curati da Asor Rosa.

All’eventualità di una discussione paludata e asfittica si sfugge, in primo luogo, dedicando la maggior parte del volume alle riviste del secondo Novecento. Apre questa sezione – audacemente intitolata “Ricostruire l’arte, ritrovare l’uomo” – un nuovo intervento panoramico di Luigi Weber, che ha anche il merito di menzionare esperienze sulle quali i restanti saggi non si soffermeranno, in vista dell’enorme quantità di riviste che sarebbe possibile censire e analizzare nel secondo Novecento italiano, come ad esempio i Quaderni milanesi, fondati e diretti da Oreste del Buono, o Tam tam, rivista-emblema del gruppo di Bazzano.

Assenza singolare, quest’ultima, se si considera la grande attenzione che gli animatori e curatori di Sistema periodico dedicano alla storia della poesia italiana e alla sua pubblicazione in rivista, arrivando anche a formulare alcune domande specifiche, a tal proposito, nel questionario finale, indirizzato ai redattori di alcune riviste online nostre contemporanee, considerate di particolare rilievo critico e letterario: Carmilla, Nazione Indiana, 404 file not found e L’ospite ingrato. Sono domande che talvolta rimangono inevase, segnalando così non soltanto le diverse inclinazioni di ciascuna redazione, ma anche la presenza stessa, appunto, di questioni irrisolte all’interno della stessa relazione tra critica letteraria e poesia, probabilmente sfilacciatasi se non perdutasi nel corso del tempo.

Tornando alle riviste analizzate, Edoardo Esposito dedica il proprio saggio alla rivista forse più nota e ancora “sorprendente”, per usare un suo aggettivo, ovvero il Politecnico, punto di riferimento che a tutt’oggi risulta inaggirabile per poter parlare del secondo dopoguerra italiano. Antonio Bagnoli si occupa invece di Officina, con una lunga citazione-omaggio all’opera di Roberto Roversi, che ha segnato il secondo Novecento bolognese e non solo come poeta (anche se le esperienze poetiche successive, specialmente se istituzionalmente legate all’Università di Bologna, hanno spesso trascurato questa eredità), ma anche come animatore di ciclostilati e riviste par excellence.

 

Un altro intellettuale legato a Officina, e fino a poco tempo fa altrettanto trascurato, come Francesco Leonetti viene ritratto nel suo passaggio alla redazione della rivista Menabò e nell’intrico dei suoi rapporti con Vittorini dalla ricognizione, notevole anche dal punto di vista stilistico, di Francesco Bortolotto, uno dei curatori del volume. Bortolotto è co-autore, insieme al co-curatore Davide Paone, anche del bel saggio che chiude la sezione e che approfondisce lo studio della prima “crepa nel sistema”, per seguire il titolo, e che porta “dalla crisi di Quindici alla ricostruzione di Alfabeta”. In ogni caso, non sono solo gli interventi dei curatori a impreziosire il volume: nella stessa sezione si trovano indagini, ormai necessarie per il dibattito critico, su Il verri (a firma di Niva Lorenzini) Botteghe Oscure e Paragone Letteratura (di Domenico Scarpa), su Marcatré (di Laura Iamurri) e sui Quaderni piacentini (di Emanuele Zinato).

Alla “poesia nelle riviste del nuovo millennio” è dedicata la sezione successiva, con gli interventi – talora a carattere testimoniale, talora a carattere più spiccatamente critico – di alcuni tra gli autori più riconosciuti e riconoscibili della poesia contemporanea e delle cosiddette scritture di/in ricerca, come Vincenzo Frungillo, Marco Giovenale e Ivan Schiavone, insieme ad alcuni critici di estrazione accademica come Stefano Ghidinelli e Gianluca Rizzo. Tutti questi contributi hanno il merito di smarcarsi dall’impressionismo e dal dilettantismo (in senso non tanto saidiano, quanto deteriore) che non di rado caratterizzano il dibattito poetico italiano in rete – per non dire dei social network.

Per scegliere solo due delle sollecitazioni fornite dalla sezione, si può guardare al contributo di Frungillo e a quello di Rizzo. Oltre a ricordare un saggio fondamentale per affrontare l’analisi della produzione letteraria e critica in rete come Oltre il pubblico: la letteratura e il passaggio alla rete di Gherardo Bortolotti, Frungillo sottolinea quello che secondo lui è il rischio maggiore della virtualizzazione del dibattito letterario: «Ciò che sta svanendo non è il senso della parola semmai è il deteriorarsi dell’interpretazione umanistica della parola» (p. 251). A questo fa seguito un’annotazione che, però, ottiene l’effetto di retrodatare il problema: «La “composizione poetica” allude di per sé alla costruzione, e ogni edificio nasce dalla percezione del rischio» (p. 251). Se ogni pericolo di dispersione e perdita è già insito in ogni scrittura poetica e viene poi amplificato dalla sua pubblicazione e diffusione in rete, Frungillo ci consegna però una lettura che in poche, lucidissime pagine – da leggersi magari insieme al suo intervento all’interno del volume Teoria e poesia, sempre di quest’anno – restituisce un’analisi semplice e al tempo stesso feconda del panorama poetico online (ormai compiutamente 2.0, se non anche 3.0):

[…] Esiste uno iato tra uomo e mondo, una differenza originaria, che non può essere annullata e che è la sostanza e il portato della parola; la poesia, per dirsi tale, deve ricordare sempre questo luogo irriducibile. […] Bisogna tenere aperto il contatto, la relazione con l’esterno, è questo che motiva una sperimentazione sensata (p. 253).

 

A questa posizione fa da utile contrappunto pragmatico l’intervento di Gianluca Rizzo che si apre con una citazione dal manifesto poetico semiserio firmato dal grande poeta statunitense Frank O’ Hara, Personismo (1959): «Ma com’è possibile che uno si preoccupi seriamente che la gente capisca, che capisca di cosa si tratta, o che la poesia li renda migliori? Perché poi dovrebbe migliorarli? Per farli morire meglio? E perché mettergli fretta? […] A me per esempio piace andare al cinema». Una raccomandazione ironica e brillante che Rizzo esplora fino in fondo per poi giungere a una conclusione che riabilita la possibilità, per la poesia, di giungere a un pubblico più vasto (secondo quello che, in fondo, è uno degli obiettivi delle riviste letterarie):

Occorre una strategia mista! Un colpo al cerchio e uno alla botte: il percorso ideale per una rivista di poesia (ma anche di letteratura), l’unico percorso ancora praticabile, mi pare, corre su due binari, uno di carta, l’altro elettronico. Per rompere la camera dell’eco che ci circonda, per raggiungere il pubblico che ancora non sa di voler leggere poesia (di ricerca), per far parlare fra di loro le diverse fazioni del verso, occorre ritornare alla carta, all’oggetto nel quale ci si può imbattere per caso, sul quale si inciampa inavvertitamente e che può segnare una scoperta, l’inizio di un percorso (p. 267).

 

L’inizio di un nuovo percorso è poi compiutamente approfondito dagli interventi di Federica Parodi e Stefano Versace sulle Digital Humanities e dal focus sul “problema di politica culturale” sostenuto da Eleonora Fuochi insieme a Donata Meneghelli e Giuliana Benvenuti, a proposito dell’emersione sempre più netta e caratterizzata dei Cultural Studies. Tuttavia, è già nella conclusione del contributo di Emanuele Zinato, nel quale si cita l’editoriale del primo numero della rivista sia digitale che cartacea Figure, nata a Padova nel 2017, che si costruisce attivamente una speranza per il futuro:

Non è dimostrato che sia ancora preclusa per una rivista, come per ogni altra impresa collettiva, la verifica della “persona sociale” nell’”interiorità e nell’”esteriorità”, la possibilità di un rapporto con se stessi che non sfugga il confronto con gli altri, con la collettività, la durezza delle mediazioni, il conflitto, la costruzione, infine l’opera artistica come forza contraddittoria e la riflessione sull’arte (p. 188).

 

Riferimenti bibliografici
AA. VV., Cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste, 6 voll, Einaudi, Torino 1960-1963.

C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, Einaudi, Torino 1967.
P. Giovannetti e A. Inglese, a cura di, Teoria e poesia, Biblion, Milano 2018.
L. Mangoni, Le riviste del Novecento, in Alberto Asor Rosa, a cura di, Letteratura Italiana Einaudi, 1. Il letterato e le istituzioni, Einaudi, Torino 1982.

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