Linosa, oggi. Un bambino, Ettore, dorme beato sul suo letto quando Giovannino, di poco più piccolo di questi, corre a svegliarlo: non c’è tempo per poltrire. Perché un’ultima estate di avventure attende i due amici. A settembre Ettore si trasferirà sulla terraferma per studiare; Giovanni, invece, resterà sull’isola siciliana e dovrà confrontarsi con l’infrangersi dell’illusione fanciulla di un’estate “che non finisce mai”. Ma è vero che, come cantava Fiorella Mannoia, “il tempo non torna più”? In Sciatunostro Leandro Picarella interroga l’ineluttabilità del divenire temporale e, mentre racconta il palpitare di un’amicizia destinata a durare, scartabella tra le immagini di estati passate, di una Linosa che è stata. Le risveglia, ne osserva il respiro.
Queste immagini appartengono all’archivio personale di Pino, che dalla fine degli anni 70’ cattura frammenti della sua quotidianità, ora catalogati nelle cartelle del suo computer. Quando Ettore parte, Giovanni trova nell’uomo una nuova figura amica: Pino gli insegna ad utilizzare una videocamera, ma soprattutto, a montare il girato. A far andare il tempo avanti e indietro, a plasmarlo, nell’attesa del ritorno di Ettore. Il videoamatore che, nel costruire il proprio archivio privato, si è fatto custode della memoria mediale di un’isola intera, tramanda la sua arte ad una nuova generazione affinché possa continuare a custodire il “fiato vitale” di Linosa.
Picarella diventa un altro polo di questo passaggio di testimone. Osserva Pino e Giovanni plasmare quegli strumenti del ricordo (Cati 2016) e, attraverso il riuso creativo, risveglia le immagini d’archivio: ne impedisce la cristallizzazione tassidermica, feticistica. Ridona vita a quegli atti e oggetti di memoria mediale, portandone ad espressione il potenziale di «creare e ricreare un senso di passato, presente e futuro di noi stessi in relazione agli altri» (Van Dijck 2007). Così, mentre Ettore e Giovanni vagano per le spiagge, le scogliere, le piazze e le case abbandonate di Linosa, mentre si immergono nei riti della vita estiva isolana, in controcampo i filmati amatoriali mostrano scene simili: le giornate al mare, i preparativi delle feste di paese, le danze di piazza di un passato che torna ad essere presente. Come la bella stagione che arriva dopo ogni inverno.
Non è la nostalgia a guidare la scrittura affettiva – di quello stesso affetto che lega Giovanni ad Ettore, Pino alla sua arte e alla sua isola – del regista, quanto piuttosto il desiderio di mettere in forma, nello spazio-tempo fluido e reversibile del film, le possibilità testimoniali delle immagini della memoria. Lasciando che sia il respiro stesso di questi frammenti di immaginario meridiano a tenere il tempo dell’atto mensico che si sostanzia nel remploi. Ecco che Sciatunostro si trasforma in una meditazione sulle forze opposte, centripete e centrifughe, che regolano le dimensioni temporali in cui sono immerse l’esistenza di un soggetto e quella di un’intera comunità: la ciclicità del rito (e del susseguirsi delle stagioni) e il divenire della vita, la conservazione e il mutamento, la volontà di restare e il desiderio di partire.
Se dall’intrecciarsi di passato e presente Linosa sembra emergere come un luogo fuori dal tempo, che pare dormire d’inverno, cullata dalle onde del mare che continuano ad infrangersi indisturbate sulle sue scogliere, e risvegliarsi d’estate, con l’arrivo dei turisti e il ripetersi delle sue tradizioni – come la processione della Madonna del mare –, in realtà, la vita dei suoi abitanti scalpita al di là della ciclicità. Sciatunostru, d’altronde, è anche il racconto di formazione, della perdita dell’innocenza, di Ettore e Giovanni che dovranno imparare a fare i conti con la distanza e a dare una forma nuova al loro legame: un’amicizia che, per durare, deve essere in grado di “attraversare il mare” e le pieghe del tempo che passa.
In fondo, come dice suo zio ad Ettore, “la terraferma non è New York”, ma il bambino deve trovare il coraggio di partire. Con la consapevolezza che partire non vuol dire tradire. E allora, in un ulteriore incastro dei piani di realtà e finzione, Sciautnostru ricorda, risignificandolo, un altro grande romanzo (meta)cinematografico di formazione squisitamente meridiano, quel Nuovo Cinema Paradiso (Tornatore, 1988) in cui il proiezionista interpretato da Noiret invitava il giovane Totò a lasciare la Sicilia e a non voltarsi, a non “lasciarsi fregare dalla nostalgia”. Ma, come detto, non c’è nostalgia, nel senso di rimpianto malinconico, nell’operazione di Picarella. Semmai sincera emozione, quella del respiro della memoria che solletica il cuore (il ricordo nel senso etimologico di “riportare al cuore”). Quella di Pino che si commuove guardando i filmati con protagonista di suo figlio Michele, ormai adulto e lontano dall’isola, ma a cui basta una telefonata col padre per tornare “vicino”.
Giovanni, quindi, resta a Linosa e scopre nel cinema un medium per colmare un’assenza. Ettore parte, ma nell’ultima scena, mentre il suo amico filma l’arrivo del traghetto, torna a Linosa e abbraccia Giovanni. In quell’abbraccio, ripreso tanto dalla videocamera del bambino, quanto da quella del regista, prende per un’ultima volta corpo l’intreccio tra il presente e il passato. La memoria risvegliata si fa fiato vitale proiettato nel futuro. Il futuro di due amici pronti a vivere un’altra estate “che non finisce mai”.
Riferimenti bibliografici
A. Cati, Gli strumenti del ricordo. I media e la memoria, La Scuola, Brescia 2016.
J. van Dijck , Mediated Memories in the Digital Age, Stanford University Press, Redwood 2007.
Sciatunostro. Regia: Leandro Picarella; sceneggiatura: Leandro Picarella; fotografia: Andrea Jose’ Di Pasquale; montaggio: Chiara Dainese; musiche: Leandro Picarella; interpreti: Ettore Pesaresi, Giovanni Cardamone, Teresa Randazzo, Pino Sorrentino; produzione: Qoomoon, Rai Cinema; origine: Italia; durata: 86′; anno: 2025.