Tra gli artisti viventi nessuno forse,
meglio di questo umorista, ha penetrato
la filosofia della rappresentazione.
E.H. Gombrich, L’arguzia di Saul Steinberg (1983)

29 marzo 1976. “The New Yorker” pubblica la copertina View of the World from 9th Avenue. Non è certo la prima illustrazione disegnata da Saul Steinberg (1914-1999) per lo storico magazine statunitense del quale era da tempo tra i principali collaboratori (sue vignette e reportages escono sul settimanale sin dal 1941). Ma è una delle sue immagini più celebri e imitate: un paesaggio urbano piatto con una street vista dall’alto – dalla finestra di un grattacielo o dalla cabina di un aereo in fase di atterraggio – che punta verso l’oceano Pacifico dritta come una linea. L’avamposto dal quale Steinberg osserva e descrive le società umane con acume e tratto inconfondibile è l’America: Paese nel quale si era rifugiato in seguito alle leggi antisemite. Restano alle spalle, escluse da questa vista, la sua patria d’origine, la Romania, e l’Italia, dove si trasferisce a 19 anni per studiare architettura al Politecnico di Milano, stringe le amicizie di una vita (Aldo Buzzi, Cesare Zavattini) ed esordisce sulle riviste umoristiche “Bertoldo” e “Settebello” (rispettivamente nel 1936 e nel 1938).

Lungo la direttrice Italia-States, ripercorsa di continuo dall’artista nella vita e nella produzione, si situa la mostra Saul Steinberg Milano New York (alla Triennale di Milano fino al 13 marzo 2022) a cura di Italo Lupi e Marco Belpoliti con Francesca Pellicciari. Un’esposizione ricca di materiali eterogenei che riesce a restituire spirito, ossessioni, ripiegamenti, fascinazioni, vezzi, rapporti personali e professionali di una figura difficile da definire. Per Harold Rosenberg, che ne ha curato una grande retrospettiva al Whitney Museum nel 1978: «Un pioniere dei generi, un artista che non è relegabile ad un unico ambito. […] Uno scrittore d’immagini, un architetto del linguaggio e dei suoni, un progettista di trame filosofiche». Nella stessa occasione, parlando di sé, Steinberg confessò: «Non appartengo propriamente né al mondo dell’arte, né ai fumetti, e nemmeno a quello delle riviste, perciò il mondo dell’arte non sa bene dove piazzarmi» (Belpoliti, Gimmelli, Ricuperati 2021, pp. 247-248).

Eppure, sono testimonianza dell’urgenza di un definitivo riconoscimento del suo ruolo nell’arte del Novecento i contributi di tanti tra i massimi intellettuali contemporanei che si sono espressi sul suo lavoro. Tra gli altri: filosofi (Hubert Damisch), saggisti (Roland Barthes), scrittori (Michael Butor, Buzzi, Italo Calvino, John Updike, Zavattini), poeti (Charles Simić), disegnatori (Art Spiegelman), storici e critici dell’arte (Arthur C. Danto, Gombrich, Robert Hughes, Rosenberg) e dell’architettura (Bernard Rudofsky). Di sezione in sezione, le loro voci – in parte raccolte nel catalogo quasi enciclopedico dell’esposizione e nel numero monografico di “Riga” uscito quest’anno anch’esso a cura di Belpoliti – accompagnano l’esperienza del visitatore.

All in line

Introdotto da testi curatoriali ben concepiti e guidato da un rigoroso allestimento, in Triennale, il pubblico procede tra disegni a matita, a inchiostro, a pastello, opere fatte di timbri, acquerelli, maschere di carta, oggetti di cartone, maquette e collage. Materiali originali accostati a libri, documenti, fotografie, riproduzioni digitali di cover e filmati dai quali emergono soggetti e temi prevalenti dell’universo steinberghiano: i ghirigori, le mappe, i diplomi, l’alfabeto, il labirinto, gli animali, i monumenti, le parate, gli interni; i riflessi e le ombre, il gioco dei falsi, la maschera dell’identità. Ha affermato Steinberg, nelle cui opere intrise di gusto pre-pop è possibile rintracciare echi del cubismo, del futurismo, della metafisica, del surrealismo, del neoplasticismo (che ristudiava continuamente addirittura copiandone i capolavori): «Mi ha influenzato l’intera storia dell’arte. Dipinti egiziani, graffiti nei gabinetti, arte primitiva e folle. Seurat, gli scarabocchi dei bambini, il ricamo, Paul Klee» (ivi, p. 44).

Ma il suo universo sta tutto nella linea. Lo suggerisce nel titolo della sua prima raccolta di illustrazioni, All in line (1945), e lo ribadisce quando sottolinea: «La linea […] è la mia vera lingua» (ivi, p. 36). Le sue immagini, impossibili da contemplare, vanno lette seguendo l’evoluzione della linea che fa piroette e si contorce trasformandosi in lettere, cifre, icone pronte a prendere vita distinguendosi per un carattere personale (le A e le B, i punti interrogativi, litigano, viaggiano, prendono il caffè con personaggi e animali, diventano oggetti o architetture) o confondendosi in fitti stormi di segni che assumono la forma di nuvole, mostri, dedali. Sulle orme di Calvino e Barthes, Belpoliti individua l’importanza dell’opera di Steinberg «nel continuo spostamento dal piano linguistico a quello semantico, dal motto di spirito al paradosso percettivo» (ivi, p. 8). Nota Barthes: «Le immagini di Steinberg sono degli animali domestici»: sanno addomesticare le cose stesse (ivi, p. 218).

La linea della vita

Nella scelta del percorso espositivo, che segue un andamento cronologico spesso intervallato da approfondimenti tematici e da focus specifici (Disegni di donne, Interiors, Divagando, Amicizie), i curatori sembrano riprodurre un modello esistenziale proposto da Steinberg in un’intervista con Sergio Zavoli del 1967 proiettata in chiusura. Secondo l’artista: «La vita ideale sarebbe procedere col tiralinee, una linea perfetta da A a B; ma è evidente che ciò non può accadere». Così, l’esistenza poetica, la sua, «comincia sì da A, ma comincia al rovescio, andando a ritroso e annusando altre vite per la curiosità di capirle, di impersonarle» (ivi, pp. 58-59). Sembra siano i viaggi a ricondurlo dai vecchi amici, a farlo ritornare negli stessi luoghi. È, invece, la memoria che rincorre i fluidi andirivieni della sua penna.

Come il legame mai spezzato con l’Italia di cui si riconoscono i monumenti storici e le architetture fasciste ridicolizzate anche nei paesaggi americani. La Milano dei quartieri in cui aveva vissuto (il Bar del Grillo in via Pascoli, via Ampère, Città Studi) e le città che aveva visitato da militare nel 1944 e alla fine del conflitto (Venezia, Modena, Bergamo) ricompaiono ovunque. Poi, dopo mille giri, si fanno riferimenti palesi nella serie del 1970 From memory raccolta su “The New Yorker” con il titolo Italy-1938 (1974).

Forse, è proprio a Milano che Steinberg consegna il suo manifesto di poetica in forma di linea quando, nel 1954, firma i murales dell’installazione Labirinto dei ragazzi realizzata dai BBPR al Parco Sempione per la X Triennale, oggi, ricostruita in mostra (con plastico, disegni, fotografie e mobile di Alexander Calder). A sintetizzare le sue idee, i cosiddetti leporelli (lunghe strisce di carta ripiegabili a fisarmonica parte della recente donazione della Steinberg Foundation alla Biblioteca Braidense).

Concepiti per poter essere letti come libri, i quattro bozzetti dedicati a Types of Architecture, The Line, Shores of the Mediterranean e Cities of Italy attraversano lo spazio della sala presentandosi come una lunga linea spezzata (raggiungono fino a circa 10 m) destinata in origine a rinchiudere il visitatore tra le pareti ricurve del labirinto di cui costituivano la base per l’intervento a sgraffito. Quasi per gioco, come scrive Calvino in La penna in prima persona, «il mondo è trasformato in linea, un’unica linea spezzata, contorta, discontinua. L’uomo anche. E quest’uomo trasformato in linea è finalmente il padrone del mondo, pur non sfuggendo alla sua condizione di prigioniero, perché la linea tende dopo molte volute e ghirigori a richiudersi su se stessa prendendolo in trappola» (ivi, p. 236).

Riferimenti bibliografici
M. Belpoliti, a cura di, Steinberg A-Z, Electa, Milano 2021.
M. Belpoliti, G. Gimmelli, G. Ricuperati, a cura di, Saul Steinberg, in “Riga”, n. 43, 2021.

H. Rosenberg, Saul Steinberg, The Whitney Museum of American Art, New York 1978.
J. Smith, Steinberg at The New Yorker, Harry N. Abrams, New York 2005.
S. Steinberg, La scoperta dell’America, Mondadori, Milano 1992.
Id., Il labirinto, Feltrinelli, Milano 1961.
Id., All in Line, Duell, Sloan & Pearce, New York 1945.

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