Guardiamo una mano imprimere su un foglio delle linee. La mano si interrompe. Un’altra mano tratteggia altre linee, ma anch’essa, nuovamente, si interrompe. E così via: altre mani, altre linee. Fino a quando la macchina da presa ci introduce nell’atelier di una pittrice che spiega alle sue giovani allieve come fare un ritratto. Solo adesso capiamo: il nostro è lo sguardo di quelle pittrici che, alla fine del Settecento, stanno per creare un’immagine. Ma noi, a differenza di quelle pittrici, abbiamo un divieto: non possiamo toccare l’immagine. Possiamo seguirla, vederla nascere con il nostro sguardo. Improvvisamente, la lezione a cui stiamo partecipando viene interrotta: chi sta spiegando come si fa l’immagine-ritratto, vede un dipinto che ritrae una giovane in fiamme, un segno che ci indica come il presente dell’immagine cinematografica stia per sprofondare nel passato.
L’apparizione inaspettata di un ritratto ci immerge in un episodio del passato di Marianne, protagonista di Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma, prix du scénario all’ultimo Festival di Cannes. La pittrice Marianne, costretta dalle logiche patriarcali del tempo storico in cui vive a firmare i suoi dipinti con il nome del padre, riceve da una nobildonna l’incarico di creare il ritratto di nozze della giovane figlia Héloise, richiamata dal convento per sposare un nobile milanese. Il matrimonio è un debito – contratto senza colpa, come sostiene la stessa Héloise – al quale la giovane deve adempire dopo che la sorella, promessa sposa del nobile milanese, ha deciso di mettere fine alla sua vita. Ma Héloise rifiuta di posare per i pittori che tentano di realizzare il suo ritratto di nozze, dunque Marianne si presenta alla giovane come una dama di compagnia. Marianne, durante le ore trascorse con la giovane, ne ruba i dettagli – lo sguardo, i movimenti delle mani – per realizzare il ritratto commissionatole. Da quelle ore e da quegli sguardi, nasce un amore tra Marianne e Héloise.
Ben lontano dall’essere la mera narrazione di un incontro lavorativo e amoroso del passato di una pittrice, il film di Sciamma è uno sguardo anacronistico sul femminile che converge con una riflessione sulla creazione dell’immagine. Marianne è, infatti, l’intercessore di Sciamma che si trova costantemente di fronte a un quesito: com’è possibile creare l’immagine? Se, come dice la madre di Héloise a Marianne, “l’immagine, la propria immagine, aspetta”, come si crea l’immagine di ciò che sfugge, dell’invisibile? Come insegna Paul Klee, rendere l’invisibile è il compito di chi crea le immagini: nel ritratto – spiega Marianne alle sue allieve in voice over, mentre l’immagine ottica ci presenta il volto di profilo di Héloise – è importante raffigurare l’orecchio anche se è nascosto dai capelli. Il pittore che crea l’immagine deve prestare attenzione all’invisibile e renderlo visibile, pur non violando la sua invisibilità. E chi guarda l’immagine può solo scrutarne delicatamente i dettagli, come Sciamma ci suggerisce attraverso la sua soggettiva.
È proprio nelle indicazioni riguardo la gestazione dell’immagine che Marianne si rivela l’intercessore di Sciamma: la regista fa convergere, nella memoria della sua protagonista, la sua immaginazione, per rendere visibili le immagini femminili che né la narrazione storica né la storia della pittura hanno saputo (e voluto) creare. Prima fra tutte: l’immagine dell’aborto. Dopo che le due giovani amanti accompagnano Sophie, la cameriera di Héloise, presso una donna per abortire – che Sciamma ritrae brillantemente in uno scenario quasi medievale, dove riabilita la storia di quelle streghe, condannate dalla storia, che liberavano le donne dal loro destino di madri con l’utilizzo di magici intrugli – ritornano in casa, dove Héloise riproduce con Sophie la scena dell’aborto e induce Marianne a ritrarre quell’evento, a sottrarlo all’oblio della storia. Così facendo, è Sciamma a permettere al cinema di rendere visibile un’immagine femminile che la storia narrante, la storia patriarcale, ha distrutto.
È nella cruciale creazione dell’immagine di un aborto che il fuoco, uno dei quattro elementi che compongono la materia e che, insieme all’acqua, è il segno fondamentale delle immagini di Sciamma, brucia la forma delle immagini sul femminile create da uno storicismo patriarcale, permettendo la creazione di una nuova immagine a partire da una nuova commistione degli elementi fondamentali: il fuoco, che brucia il vestito di Héloise, e l’acqua del mare, in cui Héloise sente il bisogno di immergersi proprio di fronte agli occhi di Marianne. È la materia, che adesso non è più quel femminile passivo che, secondo Aristotele, deve essere domato da una forma-maschio, a far scaturire da se stessa una nuova forma, mantenendo incandescente l’immagine senza incenerirla. Perché come Héloise dice a Marianne, quando questa rivela sua vera identità di pittrice, è il ritratto – l’immagine – che deve restituire l’emozione e il desiderio che animano la vita.
Intorno alla creazione dell’immagine aleggia, però, un divieto: è il divieto di toccare l’immagine, al quale Sciamma rinvia dall’inizio del film. Il ritratto, infatti, è la resa visibile di una ritrazione, dove chi è ritratto si ritrae mentre si mostra: è l’enigma che sottende l’immagine, dove il corpo raffigurato è contemporaneamente respinto in un altrove, dove l’altro in quanto altro dello stesso sfugge alla sua identificazione ri-traendosi. Dunque Marianne, per creare il ritratto della sua amata deve rappresentare l’irrappresentabile: la tensione verso la sua donna, un puro desiderio che non può possedere, che non può voler toccare, ma solamente guardare la fugace apparizione dell’immagine. L’immagine ri-tratta è, dunque, pura apparizione, come Héloise vestita di bianco che appare, per un momento, di fronte agli occhi di Marianne.
Nel film di Sciamma, l’immagine scopre il suo fondamento senza fondo: il suo incessante ritrarsi, in cui la posta in gioco è ritrattare (ri-traendo), attraverso una nuova composizione della materia, la forma delle immagini femminili distrutte dallo storicismo patriarcale.
L’interdizione del tatto e del possesso nella creazione dell’immagine è messo in scena da Sciamma attraverso la metafora del mito Orfeo e Euridice, fondamentale nella riflessione occidentale sulla visione. Nel momento in cui Héloise, Marianne e la cameriera Sophie si trovano, una sera, a leggere il mito di Orfeo e Euridice, sorge una questione importante: perché Orfeo, nonostante il patto stretto con gli dèi, secondo cui può riportare in vita Euridice solo se non si volta verso di lei durante il tragitto per uscire fuori dall’Ade, decide di voltarsi e di scegliere lo sguardo, perdendo per sempre la sua sposa? Secondo Marianne e Sophie, Orfeo sceglie la poesia e non l’amore; secondo Héloise, forse è la stessa Euridice a dire a Orfeo di voltarsi. Resta il fatto che lo sguardo, il puro ricordo dell’amata e la sua immagine, hanno la meglio. Ed è Héloise l’Euridice che, a ritratto concluso, pronta a sposare il nobile milanese, invita Marianne-Orfeo a voltarsi e a ricordare, scegliendo la memoria per riprodurre le sue “infinite immagini”.
Se Marianne perde Héloise per l’immagine, come Orfeo perde Euridice per il bisogno di guardare, Sciamma è l’Orfeo che riesce a voltarsi nella storia per inventare le immagini femminili distrutte dalla narrazione storica occidentale. Lo sguardo di Sciamma-Orfeo, intriso di memoria e immaginazione, è autorizzato dal cinema a “voltarsi senza far morire Euridice”, come sosteneva Godard nelle sue Histoire(s). E se oggi Godard ritratta la sua sentenza, dal momento che il cinema non può autorizzare Orfeo a voltarsi senza perdere Euridice, perché quell’Orfeo “deve pagare”, Sciamma sembra creare un’altra sentenza: Orfeo, dopo la morte di Euridice, ha ancora una possibilità: inventare nuove immagini che rivelino nuove possibilità di vita.
Il film di Sciamma è, infine, la messa in opera di “quei film fatti dalle donne” di cui lo stesso Godard, nelle sue lezioni tenute a Montreal nel 1978, sottolineava l’importanza per mostrare come è possibile fare cinema al di là dei rapporti di potere, liberando le relazioni amorose e lavorative dalle gerarchie che si ergono su una storia narrante scritta unicamente dalla mano degli uomini.
Riferimenti bibliografici
R. De Gaetano, La potenza delle immagini. Il cinema, la forma, le forze, Edizioni ETS, Pisa 2012.
G. Deleuze, Immagine-tempo. Cinema 2, Einaudi, Torino 2017.
G. Didi-Huberman, L’immagine brucia, in A. Somaini, A. Pinotti, a cura di, Teorie dell’immagine. Il dibattito contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Torino 2009.
J-L. Godard, Introduzione alla vera storia del cinema, Pgreco, Milano 2012.
J-L. Nancy, L’altro ritratto, Castelvecchi, Roma 2014.
Ritratto della giovane in fiamme. Regia: Céline Sciamma; sceneggiatura: Céline Sciamma; fotografia: Claire Mathon; montaggio: Julien Lacheray; musiche: Jean-Baptiste de Laubier e Arthur Simonini; interpreti: Noémie Merlant, Adèle Haenel, Valeria Golino, Luàna Bajrami, Armande Boulanger, Michèle Clément, Cécile Morel; produzione: Arte France Cinéma, Hold Up Films, Lilies Films; distribuzione: Lucky Red; origine: Francia; durata: 119’.