In tutta questa discussione sulla cosiddetta “didattica a distanza” c’è un punto che forse merita ancora di essere ripreso, quello apparentemente così ovvio da essere infatti dimenticato, la distanza. In che senso la didattica che si realizza mediante la mediazione di strumenti telematici come Skype o Zoom è una forma di didattica a distanza? L’uso disattento di questo modo di dire può generare un equivoco: in realtà la cosiddetta didattica non a distanza, quella che si svolge (o svolgeva) nelle aule scolastiche o universitarie, non è meno “distante” di quella che si svolge fra un professore che parla da Oakland ed uno studente che lo ascolta da Montalto Uffugo. Basta pensare al modo in cui Fellini, in Amarcord, mostrava cosa poteva essere la didattica liceale negli anni del fascismo per rendersi conto che la vicinanza fisica fra docente e studente non garantisce in alcun modo la maggiore efficacia dell’azione didattica.

Se l’esempio di Fellini può sembrare fuorviante, è allora sufficiente tornare con la memoria alla propria esperienza scolastica: chi non ricorda noiosissimi insegnanti “in presenza” singolarmente incapaci di motivare allo studio quelli che lui stesso chiamava “i miei ragazzi” (come tutti noi siamo stati chiamati), e al contrario qualche figura di insegnante straordinariamente capace di coinvolgere nella lezione anche gli studenti meno interessati?

Inoltre c’è da dire, come ha recentemente messo in luce un libro di Carlo Ginzburg (Occhiacci di legno: nove riflessioni sulla distanza), che la conoscenza è sempre a distanza. Come il pittore che deve fare qualche passo indietro rispetto alla tela per vedere se la pennellata che ha appena steso è efficace, così chiunque sia impegnato in un processo conoscitivo non può essere troppo a ridosso dell’oggetto che sta studiando. Altrimenti letteralmente è troppo vicino per vederlo e comprenderlo. In questo senso il problema della didattica a distanza non è mai la distanza di per sé. Anche perché possiamo essere sicuri che un buon insegnante sarà in grado, benché in modi diversi e probabilmente con maggiore fatica, di coinvolgere gli studenti anche attraverso un monitor.

In realtà tutta questa discussione mostra semmai una singolare mancanza di conoscenza rispetto a quello che effettivamente succede in un’aula scolastica o universitaria. La posta in gioco della scuola, come a maggiore ragione dell’università, non è mai la semplice “trasmissione del sapere”.

Se davvero fosse questo il problema, allora per apprendere i cosiddetti “contenuti” disciplinari basterebbe affidarsi ai manuali o agli stessi testi in cui viene analizzato un dato problema “scientifico”, di qualunque natura sia il problema in questione. Senza contare che ormai da anni circolano in rete le registrazioni delle lezioni di alcuni fra i più grandi scienziati, filosofi, letterati, storici, economisti e così via del mondo. Se è di questo che stiamo parlando, allora scuola e università non servono più.

In realtà (si ribadisce quello che già sappiamo) quello che succede fra i “banchi” di una scuola o di un’aula universitaria non ha luogo fra docente e studente, bensì fra studente e studente. È lì che accade qualcosa che non accade altrove.

Il caso dell’università è un caso felice (ma questo vale ovviamente, pur se in forme diverse, anche per le aule scolastiche), e forse proprio per questo pochi sembrano volerlo difendere (e quei pochi sono stati spesso attaccati con particolare accanimento). In quella relazione orizzontale fra studente e studente si fa esperienza di una vita non segnata dalla schiavitù del lavoro e dalla necessità. Si discute per amore della discussione, si incontrano persone che altrimenti non si sarebbero mai incrociate, finalmente si lascia lo spazio chiuso della famiglia, ci si innamora, si perde tempo, si stabiliscono amicizie che segnano una vita, si leggono libri che non verranno mai più letti da adulti, qualcuno addirittura scrive poesie.

È tutto questo che nella didattica a distanza, nel senso puramente metrico di questa espressione, viene perso. E si tratta di qualcosa di assolutamente essenziale. Si perde, in una parola esagerata ma precisa, la vita del sapere. Per questa ragione è davvero incredibile che scuole e università siano ancora chiuse agli studenti. In questo caso è evidente che le ragioni mediche che suggeriscono cautela non valgono quanto quelle che spingono alla riapertura.

Ma tutto questo già lo sapevamo. È verissimo. Rimane però la domanda: perché allora tutta questa indifferenza se non vero e proprio fastidio per la scuola e l’università?

Riferimenti bibliografici
C. Ginzburg, Occhiacci di legno: nove riflessioni sulla distanza, Quodlibet, Macerata 2019.

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