Nord-Est della Siria, 2017. Nel Rojava, una regione autonoma formata da un governo democratico e laico basato su un socialismo libertario che promuove l’uguaglianza di genere, continua la resistenza curda contro l’ISIS. Sara (Jasmine Trinca), una reporter italiana inviata in Medio Oriente, intervista una giovane combattente curda che sottolinea il ruolo decisivo delle donne nella lotta armata: “Combatto per i curdi, per la libertà e per le donne. In Medio Oriente se sei una donna devi imparare a difenderti il prima possibile. Qui, la maggior parte dei regimi è basata sulla sottomissione, sull’oppressione delle donne. È per questo che le uniche persone che possono cambiare questa mentalità sono le donne”. Nell’attraversare il territorio in mano al califfato, la giornalista viene rapita da un gruppo dell’ISIS insieme all’interprete e all’operatore di macchina.

Dal momento che, secondo la religione islamica, una donna non può vivere sola con un uomo a meno che questo non sia un familiare, la custodia della prigioniera verrà affidata a Nur (Isabella Nefar), foreign fighter radicalizzatasi a Londra e adesso sposata con un mujahidin. Se Sulla mia pelle (2018) è stato girato prevalentemente nella cella di una prigione e in una camera di ospedale, entrambi luoghi detentivi per Stefano Cucchi, Profeti porta maggiormente all’estremo l’unità di luogo coercitivo dal momento che la storia si svolge quasi esclusivamente all’interno delle mura di un’abitazione, situata all’interno di un campo di addestramento.

Il regista, dopo Private (2004) e Border (2013), diretto da Saverio Costanzo ma di cui Cremonini co-firma la sceneggiatura, torna a raccontare il Medio Oriente la cui moltitudine di incroci, pluralismi e incontri religiosi porta spesso a conflitti. Se Private è ambientato in una casa palestinese occupata illegalmente dall’esercito israeliano, che diventa inevitabilmente luogo di scontro, in Profeti, Nur sembra cercare un confronto con la donna italiana. Nello scambio tra le due, il film tende ad evidenziare lo stato di prigionia oltre che della giornalista italiana anche della donna musulmana, sottomessa al fondamentalismo religioso del califfato che annulla l’identità e l’autodeterminazione femminile.

Appena catturata dai miliziani, a Sara viene chiesto di coprirsi interamente con una coperta per non mostrare il proprio volto agli uomini. Il gesto annienta e umilia completamente la donna facendola sparire all’interno del paesaggio di macerie dello stabilimento in cui è detenuta inizialmente. La macchina da presa inquadra la giornalista dall’alto mentre il colore del tessuto la fa quasi confondere con il grigio del pavimento. Nonostante il cinismo e il fondamentalismo che muove le sue intenzioni, Nur avrà un momento di cedimento, quando le verrà imposto di ri-sposarsi con un miliziano, dopo che il marito è morto in un attacco contro l’esercito iracheno pochi giorni prima. Una lacrima scende dal suo viso, come se si dovesse rassegnare alla propria condizione di prigionia.

Le due donne condividono gli spazi della casa, dormono nello stesso letto, mangiano alla stessa tavola. Una scena del film mostra efficacemente questa condivisione che sembra quasi trasformarsi in comprensione nel momento in cui la macchina da presa inquadra dall’alto le mani delle donne lavarsi contemporaneamente nello stesso lavabo. La religione sembrerebbe riunire i due opposti. Sara, se prima si professa atea, decide di avvicinarsi all’Islam, che sembrerebbe essere la sua unica possibilità di salvezza. Nur invece vorrebbe che la donna non solo pregasse e studiasse il Corano ma si assoggettasse completamente all’ideologia del califfato andando in sposa ad un mujahidin. Più che una conciliazione tra due estremi opposti, Profeti mostra come il dialogo e il confronto in uno stato costrittivo come questo sia fallace.

Il punto centrale è anche il grado di percezione nell’osservare e commentare gli eventi. Sara sostiene che lei si impegna a riportare i fatti di guerra senza giudizi, aspetto impossibile nel momento in cui diamo vita e forma ad un racconto che può essere giornalistico o cinematografico. La percezione di Sara, così come quella occidentale, vede in Nur una prigioniera, accecata da un bieco fondamentalismo, dall’altra parte, invece, la donna musulmana reputa inconcepibile una vita non guidata dalla fede. La percezione è sempre parziale. Sara osserva il mondo esterno dal luogo di prigionia attraverso delle fessure, delle inferriate, la sua vista in soggettiva è ostacolata dalla coperta che le copre il volto. La prigione diventa dunque quella dell’ideologia ma anche quella del preconcetto, il dialogo, così come il cinema in questo caso, serve anche per ri-mettere in discussione le nostre certezze e i costrutti culturali, sociali e religiosi.

Profeti. Regia: Alessio Cremonini; sceneggiatura: Alessio Cremonini, Monica Zapelli; fotografia: Ramiro Civita; montaggio: Marco Spoletini; interpreti: Jasmine Trinca, Isabella Nefar, Ziyad Bakri, Omar El-Saeidi, Mehdi Meskar, Marco Horanieh, Orwa Kulthoum; produzione: Cinema Undici, Lucky Red, Rai Cinema; distribuzione: Lucky Red; origine: Italia; durata: 109′; anno: 2023.

Share