Il processo penale riveste un ruolo fondamentale nella rappresentazione cinematografica del diritto, offrendo uno scenario ideale per esplorare le tensioni psicologiche e morali che attraversano tanto gli individui quanto le società. Pochi, però, sono i film in grado di inscenare gli aspetti più rituali e formali della procedura giudiziaria e al contempo le dinamiche più umane, e, talvolta, persino abiette, di cui questa procedura è intrisa. Il caso Paradine (1947) di Alfred Hitchcock è certamente uno dei film maggiormente in grado di rendere questo rapporto tanto vibrante. Insomma, un super-classico.

Lo ricordiamo forse tutti: la vicenda ruota attorno a Maddalena Paradine, accusata dell’omicidio del marito cieco e ricchissimo, al centro di una complessa dinamica emotiva e professionale. Un giovane avvocato difensore si trova a fronteggiare non solo la difficoltà di difendere una cliente apparentemente innocente, ma anche il crescente fascino che prova per la donna, in contrasto con il dovere deontologico della sua professione.

Hitchcock esalta questa complessità attraverso l’uso sapiente delle inquadrature e della luce, che riflettono la fragilità delle convinzioni personali e l’instabilità dei ruoli istituzionali. Le inquadrature angolate e ristrette, nelle scene in tribunale, amplificano il senso di oppressione e la crescente pressione psicologica a cui i protagonisti sono sottoposti. L’intensità e l’uso dei chiaroscuri accentuano la tensione tra verità e menzogna, mentre il montaggio alternato tra gli interventi in tribunale e i flashback dei testimoni sottolinea la soggettività della narrazione degli eventi. La messa in scena consente in questa maniera di rappresentare il processo penale non solo come un rito formale, ma anche come il luogo dove colpa, innocenza e verità si intrecciano e confondono in modo indissolubile.

Questa stessa tensione tra forma e sostanza, tra rito e simbolo, è al centro di un lavoro recentemente in italiano di Antoine Garapon (direttore dell’Institut des Hautes Études sur la Justice a Parigi), Processo penale e forme di verità (Mimesis, Milano 2024). Partendo dal tema classico della funzione del processo penale nella ricerca della verità, Garapon esplora territori complessi e inaspettati rispetto agli studi giuridici tradizionali.

Il libro di Garapon, suddiviso in quattro saggi, affronta i temi della verità, del mito e del diritto con una prospettiva antropologica, esaminando il ruolo del processo penale come spazio simbolico e narrativo. Garapon ne analizza i fondamenti culturali e la capacità di riflettere la storia e il presente della società, interpretando il processo penale non solo come un luogo di amministrazione della giustizia, ma anche come un contesto in cui la verità emerge come un costrutto complesso e sfaccettato.

Uno dei temi principali del libro è il rapporto tra diritto, mito e simbolo, un interesse che Garapon sviluppa partendo dalle riflessioni di Paul Ricoeur. In particolare, Garapon si concentra sul concetto di generatività del diritto, ossia sulla dimensione rituale che sta alla base della formazione della giurisprudenza. Quanto i miti e i simboli contribuiscono a formare il diritto? Qual è il potenziale simbolico che alimenta la creazione del diritto? Per Ricoeur, notoriamente, è necessario articolare una grammatica simbolica abile a legare le norme giuridiche alla loro origine mitica, mantenendo in questa maniera il diritto in stretto contatto con i suoi fondamenti simbolici e rituali. Garapon si sofferma sulla difficoltà di formalizzare questa grammatica simbolica, che deve tradurre l’elemento mitico del diritto in categorie comprensibili e applicabili.

Una tensione cruciale del pensiero di Ricoeur, che Garapon sottolinea, è il concetto di una ‭‭«giustizia praticabile», vista come una pratica ‭«articolata e mediatizzata attraverso i simboli» (Garapon 2024, p. 34). In questo contesto, il tribunale diventa un luogo cosmico, dove la colpa, il destino individuale e la storia degli uomini si mettono in scena. Il processo penale emerge come il luogo paradigmatico dove si manifesta la coscienza collettiva del male. La metafora della colpa, che occupa le coscienze e riecheggia il giudizio universale religioso, assume un ruolo primario rispetto al diritto e alle leggi che lo istituiscono. La necessità di rendere la pena misurabile fornisce alla colpa il suo vocabolario originario, mentre il contesto processuale traccia i confini del male attraverso categorie giuridiche e termini processuali.

Il rito processuale, con le sue parole d’ordine – “testimonianza”, “testimone”, “verità” e “menzogna” – e i vari ruoli procedurali, concretizzano l’ingiustizia, dandole una collocazione nel tempo e nello spazio. Le riflessioni di Ricoeur sul diritto, che Garapon esplora, offrono una visione antropologica della giustizia, che non sfugge alla necessità di affrontare anche gli aspetti più inquietanti della pena.

Nel secondo saggio, Garapon analizza l’articolo di Marcel Hénaff, che esplora la frattura tra cattolicesimo e protestantesimo attraverso una rilettura de L’etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber. Secondo Hénaff, la distinzione tra le due tradizioni religiose risiede in due visioni opposte dell’ordine e del diritto: mentre il cattolicesimo enfatizza la mediazione simbolica del clero e dello Stato, il protestantesimo privilegia un approccio funzionale e decentralizzato.

Questo dualismo si riflette anche nelle diverse tradizioni giuridiche: il diritto romano, dichiarativo e fondato su principi intangibili, si contrappone al common law, che si basa su precedenti e regole proceduralmente definite. Garapon suggerisce che questa predisposizione alla funzionalizzazione tipica della cultura protestante si collega direttamente all’ascesa della rivoluzione digitale e alla fiducia riposta nei codici e nelle macchine, segnando profondamente la globalizzazione contemporanea.

Secondo Hénaff, la cultura giuridica cattolica tende a vedere il diritto come un’emanazione dell’ordine divino, attribuendo un ruolo centrale al simbolismo e al rito. Al contrario, il protestantesimo separa nettamente idealità e materia, trasformando il diritto in uno strumento funzionale per garantire l’ordine sociale. Questa distinzione si riflette ancora nella concezione del processo penale: nei contesti cattolici il processo assume una dimensione quasi sacrale, mentre nella declinazione protestante è visto principalmente come un meccanismo tecnico.

Il terzo saggio affronta il tema delle ordalie, viste non solo come pratiche arcaiche di giudizio, ma come “forme di verità” che continuano a influenzare il diritto moderno. Garapon riprende la distinzione foucaultiana tra due storie della verità: quella interna, legata alla verità scientifica, e quella esterna, che si concentra sui processi di produzione della verità. Le ordalie, nella loro dimensione simbolica, forniscono una struttura mitica alla razionalità giuridica e sopravvivono nelle moderne procedure giudiziarie, ad esempio nel sistema della giuria nel common law. L’autore evidenzia come l’abolizione delle ordalie abbia portato a una razionalizzazione delle pratiche giudiziarie che non è stata priva di conseguenze: nei sistemi continentali, la ricerca di prove dirette ha reintrodotto pratiche come la tortura probatoria, che riflettono un tentativo di rendere la verità accessibile attraverso mezzi razionali.

Con l’introduzione della razionalità giuridica moderna le ordalie, originariamente basate sull’intervento divino per determinare la colpevolezza o l’innocenza, hanno subito una trasformazione simbolica. Nel contesto del common law, questa trasformazione si è concretizzata nella figura della giuria, che opera come un corpo collettivo chiamato a giudicare attraverso un processo deliberativo in cui passato e presente si intrecciano.

Il quarto saggio di Processo penale e forme di verità affronta l’originalità e l’influenza del sistema giuridico americano nello scenario globale. La chiave della sua preminenza risiederebbe nella capacità di esportare una tensione legata alla legge piuttosto che al potere. Il diritto americano si distingue, infatti, per una profonda diffidenza verso il potere centrale, che storicamente ha agevolato la frammentazione amministrativa e la costruzione di un sistema giuridico in cui il diritto è percepito come antecedente allo Stato. Questo principio fondamentale, espresso nel “rule of law”, impone che la politica stessa risponda a norme giuridiche considerate inviolabili.

Per gli americani, il diritto nasce dal basso, alimentato dalla combattività dei cittadini e dalla volontà popolare. La centralità della procedura ne rappresenta il fondamento: una decisione giuridica è valida solo se adeguatamente discussa. Questo decentramento affronta efficacemente le sfide della globalizzazione, plasmando la giustizia locale come una strategia per gestire un mondo senza sovranità centralizzata, dove il diritto non è razionalizzato dallo Stato, ma plasmato dalla comunità giuridica. A questo proposito Garapon evidenzia come nella cultura del common law, il focus sulla procedura offra un modello universale che enfatizza la negoziazione e la risoluzione dei conflitti. L’incertezza degli esiti processuali, lungi dall’essere un limite, incentiva la negoziazione tra le parti, garantendo che il destino di una disputa rimanga nelle mani dei contendenti.

Il diritto americano è uno strumento flessibile e pragmatico, concepito come un mezzo per gestire conflitti piuttosto che come un insieme di norme ideali. La sua capacità di adattarsi alle sfide globali lo rende un modello influente, benché non privo di tensioni e contraddizioni.

Pur radicato in tradizioni simboliche e narrative, il diritto si trova oggi a dover affrontare sfide profonde e variegate legate alla rivoluzione digitale. L’ascesa degli algoritmi predittivi e delle tecnologie avanzate sta ridefinendo il rapporto tra giustizia, verità e decisione, sollevando interrogativi cruciali. In un contesto in cui la giustizia rischia di ridursi a mera efficienza tecnica, il pericolo è che a venir meno sia appunto la sua essenziale e tradizionale dimensione simbolica e narrativa. Garapon, come dire, ci mette in guardia!

Antoine Garapon, Processo penale e forme di verità, Mimesis, Milano 2024.

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