«Non gli importava nulla di ciò che sarebbe accaduto alle vittime, o voleva ignorare il fatto che erano vittime di un vecchio imperialista bianco. Preferiva credere al libero consenso dei suoi piccoli schiavi». È così che nel suo dizionario di bullshit (letteralmente di “cazzate”) – alla P di pedofilia – Guy Sormon ricorda il periodo tunisino di Michel Foucault. Noto per le sue nostalgie neoliberiste, l’autore rivela i nefandi rapporti fra le turpitudini dell’uomo e le idee del pensatore: nel lontano 1969, a Tunisi, Foucault avrebbe violentato dei bambini di appena otto anni. Il capo di imputazione viene poi ripreso dal Sunday Times e rilanciato da non poche testate giornalistiche (senza che siano mai state appurate le fonti).

A nulla sono valse testimonianze come quella di Moncef Ben Abbes, vera e propria memoria vivente di Tunisi, secondo il quale si sarebbe trattato di giovani di diciassette o diciotto anni che Foucault non avrebbe violentato, bensì soltanto incontrato, e per poco, nei boschi tunisini. Così, il processo in absentia prosegue: dopo aver ammesso a Die Zeit di non aver assistito agli stupri, Sorman viene invitato alla trasmissione Ce soir. Premesso che «non è irrilevante che l’autore sia o meno un porco», riferendosi alle presunte violenze da parte di Michel Foucault, dice: «Sono delle cose assolutamente ignobili […], cose di un’abiezione morale estrema. La questione del consenso non si poneva nemmeno». In una diabolica serie di rimandi, si va dall’omosessualità ai peccati di sodomia e di qui dritto alla pedofilia. Inutile dire che Sorman non ha mai addotto prove; inutile dire che nel 1969 Foucault aveva già abbandonato Tunisi; inutile dire che essendosi compromesso con le rivolte tunisine Foucault viveva sotto stretto controllo delle autorità; inutile dire, infine, che a essere in questione, è il pensiero – e non la vita – di Foucault e di quanti hanno avuto una qualche parte nei moti del Sessantotto.

Dalla pedofilia al suo (presunto) encomio. Fra le poche prove di Sorman appare immancabilmente la nota Lettre ouverte à la Commission de révision du code pénal per la revisione di alcuni testi che regolavano i rapporti con i minori. Preceduta da una petizione pubblicata nel gennaio 1977 su Le Monde, la Lettre è uno dei documenti più utili per comprendere a pieno le rivendicazioni post-sessantottine a cui Sorman allude e la firma di Foucault ne fa una testimonianza fondamentale. Nello specifico, si chiedeva l’equiparazione della maggiore età del consenso fra omosessuali ed eterosessuali (chiaramente in assenza di violenze di ogni genere): in quel momento, infatti, si ritenevano “indecenti e contro natura”, dunque perseguibili, tutti gli atti in cui avesse parte un minore di diciotto anni dello stesso sesso – quindici, se si fosse trattato del sesso opposto. Dopo aver sottoscritto la Lettre – promossa, tra i tanti, da Réné Schérer e Guy Hocquenghem – Foucault ne fu anche portavoce di fronte alla Commissione e ne difese le rivendicazioni insieme al noto militante e fondatore del FHAR in un’intervista del 1978, pubblicata un anno dopo su Recherches con il titolo La loi de la pudeur.

Di tutti questi testi – una parte dei quali a tutt’oggi inediti – Gervasi e Petrachi offrono una nuova traduzione. La legge del pudore, infatti, si propone di restituire il dibattito di quegli anni intorno alla questione del consenso e dei minori a partire dall’omonima intervista, una testimonianza fondamentale non solo del pensiero di ciascuno degli autori, bensì di questioni che a distanza di anni tornano a ossessionare il presente. Già in quegli anni, Hocquenghem aveva chiaro che si trattava della definizione di un soggetto giuridico-politico-sociale «così orribile a concepirsi che […] non ha neanche bisogno di vittime» – un po’ come Sorman, il quale, trattandosi di un “pedofilo”, è stato dispensato dall’addurre delle prove. «Un’offesa commessa senza violenza» (Gervasi, Petrachi 2023, p. 25) che però – essendo rivolta contro il pudore – non è con ciò meno perseguibile.

Anzi. Se leggi possono essere più insidiose è proprio in virtù del fatto che gestiscono una dimensione, quella sessuale, essenzialmente indefinita. A una minore repressione corrisponde un maggiore controllo, alla contravvenzione delle leggi – non un’espiazione, ma una promessa di sicurezza per i soggetti più vulnerabili della popolazione. Viene colpito il soggetto, non l’atto compiuto, non la violenza, ma gli istinti più o meno inconsci.

Appare così un’opposizione assoluta fra chi deve essere protetto e chi, al contrario, va controllato in quanto pericoloso, fra minori indifesi e pederasti-pedofili: in mezzo a loro, un istinto sessuale che diviene una «minaccia in tutti i rapporti tra individui di età differenti, in tutti i rapporti individuali» (ivi, p. 30). Quanto al consenso dei minori, «è un nonsenso», dice Hocquenghem, «una nozione contrattuale» del tutto insensata, chiarisce Foucault, poiché nessuno firma mai un contratto prima di un rapporto. Quando il consenso appare come una questione di legge o di età, insomma, è già divenuto un mezzo o un dispositivo di controllo. Esattamente in quegli anni, echi hocquenghemiani e schéreriani si ritrovano per esempio in Mario Mieli, secondo il quale: «I bambini desiderano “indifferenziatamente” finché non si vedono costretti a identificarsi col padre, […] adattandosi a un modello eterosessuale». Nati “transessuali”, anche per mezzo di dispositivi come quello del consenso, vengono essenzialmente castrati di quegli istinti sessuali che l’ordine ritiene “perversi” e restituiti al mondo come eterosessuali. È chiaro quindi se c’è qualcuno in condizione di salvarli questi sono gli omosessuali, i soli sopravvissuti all’“etero-repressione” e del tutto disinteressati a “convertirli”: «Noi, sì, possiamo amare i bambini».

Di notevole interesse nell’economia generale del dibattito sono i testi della petizione e della Lettre, opportunamente tradotti e riportati dai curatori e senza i quali si rischierebbe di non cogliere fino in fondo il senso dell’intervista su La legge del pudore. I minuziosi riferimenti giuridici presenti in questi atti ne fanno infatti delle testimonianze fondamentali e l’elenco delle firme apposte sotto ognuno di essi offre un’immagine dell’esatto posizionamento politico dell’intellighenzia del tempo. Chiudono poi l’opuscolo tre appendici – due di Idier, autore (fra le sue tante pubblicazioni) di Les vies de Guy Hocquenghem e una di Hekma, di cui viene riportato un breve estratto: tali interventi, estremamente utili, consentono di rilevare in modo più critico sia l’origine che gli echi più recenti del dibattito.

Decisivi in tal senso sono i testi di Antoine Idier e se nell’ultimo, Foucault devant la commission de révision du code pénal, l’enfasi è per lo più sulla “querelle Sorman” e sull’udienza foucaultiana di fronte alla Commissione del 1977, in Al rogo Hocquenghem? viene ripreso il filo “pudico” del discorso. Le lotte di quegli anni, è necessario insistervi, non chiedevano soltanto l’abrogazione dei testi di legge sulle differenze di età del consenso previste per gli omosessuali (abolite solo dopo l’elezione di François Mitterand), bensì la messa in crisi di un’economia di potere che di classe in classe investiva minori e minoranze.

È a partire da questo assunto hocquenghemiano-schérériano che nella Postfazione Gervasi e Petrachi ripensano ai minori (a questo punto, molto più che opposto dei “maggiori”) come soggetti a una vera e propria «appropriazione», una messa a profitto tanto sul piano produttivo che su quello riproduttivo. Che siano i genitori o lo Stato, la loro vulnerabilità e dipendenza materiali legittimano un dominio tanto più violento quanto più “naturalizzato”, di cui non possono liberarsi se non sovvertendo le disuguaglianze – e non nel senso di un’inversione di tipo dialettico, in cui chi deve ubbidire sarebbe il genitore: se ne va dell’ordine politico, economico e sociale, se ogni monello deve essere riportato al suo posto e essere più ubbidiente, è chiaro che è da qui che occorre ripartire. Ognuno di loro è «un potenziale disertore», «un transfugo di classe» (ivi, p. 143). Mocciosi di tutto il mondo, unitevi!

Riferimenti bibliografici
G. Hocquenghem, R. Schérer, Co-ire. Album systématique de l’enfance, in “Recherches”, n. 22, 1976.
A. Idier, Les vies de Guy Hocquenghem. Politique, sexualité, culture, Fayard, Paris 2017.
M. Mieli, Elementi di critica omosessuale, Einaudi, Torino 1977.
G. Sorman, Mon dictionnaire du Bullshit, Grasset, Paris 2021.

Michel Foucault, La legge del pudore, Orthotes, Napoli-Salerno 2023.

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