Per decenni la città di Taranto è stata attraversata dalle enormi nubi di polveri rosse provenienti dall’Ilva, la più grande acciaieria d’Europa, spettri di inquinamento e malattie ambientali. Dominato dalle impalcature arrugginite della fabbrica, il paesaggio meridiano del 1997, l’anno in cui Palazzina Laf è ambientato, è tinto di rosso: il colore della paura contagia le tessere del mosaico della chiesa durante i funerali degli operai morti sul lavoro, gli striscioni del sindacato, la pioggia che sporca le automobili, i forni incandescenti, anche i fiori piantati in un vaso della palazzina da Caterino Lamanna (Michele Riondino), operaio che, nella speranza di elevare la propria condizione, inizia a lavorare come spia per il capo del personale Giancarlo Basile (Elio Germano), denunciando le attività sindacali dei suoi colleghi.
Quando Caterino scopre, per caso, la sorvegliata Palazzina Laf (acronimo di “laminatoio a freddo”), un ufficio dove la gente trascorre le giornate a riposare lontano dai forni e dalle cokerie, egli si fa trasferire lì per sfuggire alla fatica e ai pericoli del lavoro agli impianti. La palazzina, in realtà, è la sede di un reparto-confino in cui gli impiegati, altamente qualificati ma scomodi, vengono laffizzati, ossia mobbizzati senza alcun incarico, spinti al declassamento o alla cassa integrazione.
Da qui in poi, la graduale presa di coscienza politica da parte di Caterino è un percorso costellato di epifanie sonore che generano imprevisti punti di fuga. Ogni scoperta corrisponde alla dissolvenza del suono ambientale, in favore di rumori violenti e rimbombanti: un respiro affannoso di polmoni sofferenti per la polvere, un ronzio nelle orecchie dopo il colpo che gli sferra un addetto alla sicurezza durante uno sciopero, un orologio con le lancette ferme che continua a ticchettare, una troccola nella processione religiosa. La presenza di tutti questi oggetti sonori evoca visioni simboliche, facendo precipitare il personaggio in un tempo sospeso e non controllato. Il ritorno al tempo ordinario, dopo la comprensione di ogni nuovo tassello, sradica Caterino dalle sue certezze: non può prolungare il tradimento, ma non riesce nemmeno immaginare sé stesso fuori dalla fabbrica.
Nonostante le scene epifaniche definiscano un tempo altro, lo spazio esterno resta sempre tinto di rosso: infatti, nelle scene dei luoghi fuori dai confini dell’Ilva, sono le ciminiere della fabbrica a sovrapporre una griglia al cielo di giorno e le luci della centrale a delimitare un orizzonte notturno da cui non è possibile scappare. Si costruisce così un borderscape (Brambilla 2015) come paesaggio di confine che genera circolarità e invade l’immaginazione: quando Caterino lascia la masseria in campagna a causa dell’inquinamento per trasferirsi in città, ci si rende conto di quanto ogni tentativo di fuga sia sempre un falso movimento.
Nel terzo segmento del film l’arrivo alla palazzina di una procuratrice, contattata dal sindacato, segna l’avvio delle indagini per fare luce sull’operato della società. La sequenza delle indagini alterna campi e controcampi dei colloqui della procuratrice con inquadrature del protagonista, caratterizzate da accelerazioni temporali e repentini movimenti di macchina: mentre l’uomo abbandona i privilegi acquisiti e tossisce con violenza, il conflitto ha invaso anche il suo corpo.
Al processo Caterino Lamanna, in opposizione alle forze che cercano di dominare l’ambiente e le vite di tutti coloro che lo popolano, urla grottescamente al giudice, ai lavoratori e ai dirigenti, il suo desiderio di autodeterminare il suo destino e le sue istanze soggettive. Nel suo ruolo di delatore, egli si sente l’unico vero lavoratore della Laf, animato da una forza che ha agito in maniera controversa, sottostando o sottraendosi alle pressioni, proteggendo la speranza di un avvenire personale dignitoso, mentre forze più grandi decidono di quello collettivo.
Michele Riondino, oltre che attore protagonista qui al suo esordio alla regia, si riappropria del conflitto della Taranto colonizzata da Italsider (poi Ilva, poi Acciaierie d’Italia) a partire dagli anni sessanta e ne offre un racconto problematizzato che tenta di ricostruire la genesi della ferita contemporanea del ricatto occupazionale. “Ci salvi dai Riva” è la preghiera degli impiegati della Palazzina Laf al vescovo di Taranto, in una lettera a lui mai consegnata a causa della soffiata dell’operaio: è proprio questa preghiera a riecheggiare nella scena del rito religioso, quando i santi in processione si fanno portatori del sacrificio di un’intera comunità. Il riferimento è ad alcuni dirigenti del Gruppo Riva, ex proprietari e amministratori del centro siderurgico, condannati per tentata violenza privata per i fatti della Laf, e, in seguito, al processo “Ambiente Svenduto” per reati legati all’inquinamento ambientale prodotto dallo stabilimento.
Michele Riondino ricerca l’essenza profonda di Taranto, sua città natale, dove dal 2013 organizza il festival l’Uno Maggio Libero e Pensante, cogliendone le vicende in modo partecipato e costruendo nuove possibilità immaginative: un pensiero meridiano sulla città per «restituire al sud l’antica dignità di soggetto del pensiero, interrompere una lunga sequenza in cui esso è stato pensato da altri» (Cassano 2005). Nel finale del film, le immagini di repertorio provenienti da programmi della televisione nazionale, in particolare quelle dell’inaugurazione, in cui lo stabilimento è presentato come simbolo di progresso e prosperità, evidenziano come il territorio sia stato pensato esclusivamente da altri. Come altri registi placetellers che hanno realizzato film sull’Ilva (tra i pugliesi Edoardo Winspeare, Paolo Pisanelli, Giacomo Abbruzzese, Giulio Mastromauro, Giuseppe Marco Albano e poi il romano Alessandro Celli, che ha diretto Mondocane) Riondino osserva i paesaggi periferici come insider, un atteggiamento che implica l’allontanamento da stereotipi e visioni semplificatorie e conduce alla scoperta di una bellezza tragica (Giordano 2021) che non smette di lottare per la sua esistenza.
Riferimenti bibliografici
C. Brambilla, Exploring the critical potential of the borderscapes concept, in “Geopolitics”, 20, 1, 2015.
F. Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari 1996.
F. Giordano, Il mattone sudato. Paesaggio, Mediterraneo, comunità locali dal cinema ai nuovi media, Città del Sole, Reggio Calabria 2021.
Palazzina Laf. Regia: Michele Riondino; sceneggiatura: Michele Riondino, Maurizio Braucci; fotografia: Claudio Cofrancesco; montaggio: Julian Panzarasa; interpreti: Michele Riondino, Elio Germano, Vanessa Scalera, Domenico Fortunato; produzione: Bravo, Palomar, Paprika Films, Rai Cinema; distribuzione: BiM Distribuzione; origine: Italia, Francia; durata: 99′; anno: 2023.