Una ragazza guida di notte un’automobile, ascoltando musica. Si ferma vedendo un corpo a terra. Scende, è quello dello zio. Siamo nello Zambia, la ragazza, Shula, è mascherata, sta tornando da una festa. Rimane lì in attesa che qualcuno si presenti. Arriverà solo una cugina ubriaca, si siederà vicino a lei in automobile. La polizia arriverà solo la mattina dopo.

Da qui si apre un film bello e originale, On Becoming a Guinea Fowl di Rungano Nyoni, visto alla Festa di Roma (e presentato a Cannes, Un certain regard), che intorno alla figura dello zio Fred e del suo funerale riconsegnerà uno spaccato antropologico duro sui rapporti familiari e sul ruolo della donna nello Zambia.

Lo zio aveva abusato di Shula e di altre due cugine, fin da piccole. Abusi messi a tacere, non solo dalle figure maschili delle famiglie coinvolte (quella di origine dell’uomo e quella acquisita con il matrimonio con una giovanissima ragazza), ma anche dalle donne più anziane. Che inscenano un teatrino rituale di pianti e lamentele, senza cedere minimamente alle istanze di verità reclamate silenziosamente dalle tre ragazze, attraverso il dolore che le segna: mutismo, alcolismo, profondo malessere fisico da richiedere il ricovero in ospedale.

La tradizione impone che il rispetto per l’uomo arrivi perfino a riconoscergli il diritto di abuso. E le donne adulte avvicinano tutte insieme le ragazze, per sottrarre la loro posizione ad una mera imposizione psicologica, facendola valere come posizione sociale.

Ciò che colpisce fin dall’inizio è il mutismo di Shula, il suo attraversare le situazioni con sentimento apparentemente distaccato, come arresa alla estraneità e alla distanza delle persone. Ma il rispetto verso gli adulti non può venire meno. Per sottrarsi al loro potere c’è semmai l’elusione, come quando riceve ordini da uomini adulti durante il funeral party su come combinare loro un piatto, e Shula si sfila, affidando il compito ad un’altra ragazza. All’elusione sociale corrisponde la rimozione psicologica, i sogni che affollano la mente di Shula, le sue visioni che alternano l’essere bambina al presente. Il tutto accompagnato da una colonna sonora e musicale che trasfigura la percezione in visione.

Il culmine del predominio antropologico maschile si manifesta quando la moglie di zio Fred viene accusata di non essersi saputa curare del marito. A questa accusa fa seguito la minaccia di sottrarle tutto, casa e beni, e di lasciare perfino i suoi figli senza dimora. Pianto rituale della nonna che si getta a terra davanti a Shula. E poi, in un dispositivo teatrale esplicito, le due numerose famiglie sono disposte frontalmente a discutere di torti e ragioni. Vediamo una sorta di negoziazione rituale di ciò che è opportuno fare, dove il potere maschile si associa a quello esercitato dalle donne mature, a scapito di giovinezza ed infanzia.

Salvaguardare la tradizione, mantenere il potere dei vecchi, stabilizzare l’ordine attraverso dispositivi teatrali e rituali, ridurre i giovani al silenzio. Nessuna risposta diretta è immaginabile. Il cambiamento possibile dovrà passare per la maschera e il suo tratto rituale.

Così nel finale, mentre le famiglie esercitano il loro potere discutendo e trattando, Shula e le sue due cugine vanno a casa della moglie di Fred, prendono tutti i bambini, e le vediamo avviarsi verso le due famiglie, emettendo il verso della Guinea Fowl, che abbiamo appreso in un documentario che le ragazze vedono in televisione, essere il verso che tale famiglia di gallinacei emette quando in giro c’è un predatore.

È solo attraverso un mascheramento, questa volta animale, che nelle ragazze emerge il coraggio di rispondere in maniera rituale agli abusi e alle violenze subite dall’intera comunità. Incidere direttamente con l’azione in quella situazione era impossibile. L’unica vera trasformazione può passare solo attraverso il carattere mediato del rito.

La maschera che Shula indossava ad inizio film serviva a nascondere e a rimuovere il dolore e i traumi subiti, creando con funzione protettiva una distanza dalla realtà. Il suo divenire ora Guinea Fowl, assumendone il verso, significa invece l’acquisizione di una posizione reattiva. Non più solo gesti di sottrazione ed elusione, ma una postura di reazione, collettiva, di ragazze e bambini. Tra le due maschere si gioca un passaggio, una conversione, una presa di coscienza.

E il film mette tutto questo in scena nel modo migliore, mostrando la costruzione teatrale della personalità. Ma alla ritualità codificante e immobilizzante ereditata dalla tradizione, lo scarto sarà compiuto nel gesto di rivolta del “divenire animale” – direbbe Deleuze – delle ragazze.

On Becoming a Guinea Fowl. Regia: Rungano Nyoni; sceneggiatura: Rungano Nyoni; fotografia: David Gallego; montaggio: Nathan Nugent; interpreti: Elizabeth Chisela, Henry B.J. Phiri, Susan Chardy; produzione: Element Pictures, BBC Film, Fremantle, A24; origine: Zambia, Regno Unito, Irlanda; durata: 95′: anno: 2024.

Tags     animale, rito, Zambia
Share