C’è un delitto all’origine dell’arco narrativo della miniserie HBO Mare of Easttown e lo sviluppo consiste prevedibilmente nella ricerca del colpevole da parte della detective Mare Sheehan, interpretata da Kate Winslet; in questo senso, il titolo italiano Omicidio a Easttown non fa altro che esplicitare la struttura di genere. La detection, però, è solo uno degli elementi dell’opera; e l’omicidio in questione (un femminicidio in verità) è solo uno degli oggetti della detection. Inoltre risulta evidente che tutto il complesso meccanismo dell’azione è finalizzato a risolvere un problema dell’essere e non del fare: c’è un lutto non elaborato nella vita di Mare che ha incagliato l’intera comunità nelle secche della ripetizione dell’identico.
Tale ripetizione si manifesta materialmente attraverso le sparizioni di giovani donne avvenute nel corso degli anni, sparizioni irrisolte di cui Mare si fa carico, aggiungendole ai propri fallimenti di madre, ai propri sensi di colpa di figlia. Il nodo da sciogliere non riguarda allora il delitto e forse neanche il lutto; il tentativo è quello di riavvicinarsi all’istante in cui tutto era sembrato possibile alle giovani donne di Easttown, al gruppo di amiche del liceo che vent’anni prima attraversarono la soglia della giovinezza su un campo di basket, regalando alla depressa cittadina di provincia della Pennsylvania una vittoria carica di speranze. Il portentoso tiro da tre punti che aveva segnato quella vittoria era stato scoccato proprio da Mare, e vent’anni dopo le appare come il suo primo e ultimo successo nella vita, che però non ha dato né a lei, né alle sue amiche, né a Easttown quel che ci si aspettava, la realizzazione dei sogni. Mare prende coscienza del fatto che deve muoversi più verso il passato che verso il presente, deve smettere di vivere alla giornata e cominciare invece a ricostruire i fattori che hanno prodotto i fatti, a partire da sé e dalla propria vita, in una parafrasi evangelica che si può leggere come “detective, indaga su te stesso”. Questa discesa negli abissi è il topos più riconoscibile di ciò che Maureen Murdock ha ricostruito come viaggio iniziatico femminile; una discesa che fa seguito a una perdita importante e che si compie quando «il ruolo di figlia, madre, amante o compagna viene meno».
Ancora una volta, la narrazione seriale conferma di avere ereditato la struttura del mythos dal cinema hollywoodiano classico. Showrunner della serie è Brad Ingelsby, sceneggiatore di numerosi film per gli studios cinematografici e ora sotto contratto con HBO. Il suo script compone un grande affresco della comunità, di cui cura ogni dettaglio e ogni personaggio, per fare in modo di poter avvicinare lo sguardo sino a scavare in profondità ma anche di allontanarsi rapidamente per tornare a contemplare l’insieme. La capacità di costruire il mondo di Easttown (toponimo finzionale assegnato a una cittadina qualunque dell’area di Philadelphia) si deve anche al vissuto di Ingelsby, nato e cresciuto in Pennsylvania. Ne viene fuori, come ha sottolineato Lucy Mangan su “The Guardian”, un’America poco vista sugli schermi, un’America marginale, «squattrinata, senza glamour, la sua salute e il suo benessere collettivi erosi dalla povertà, dalla crisi degli oppioidi e da altre questioni complicate che vanno al di là del potere di controllo di una persona».
Questa qualità di world building è solo una parte del valore di Omicidio a Easttown, nella misura in cui, come nota Angela Maiello nel suo Mondi in serie, «nelle serie si viene a creare una strettissima correlazione e reciprocità tra narrazione e creazione del mondo». In questo senso, il dispositivo dell’azione per Ingelsby è un campo di raffinatissime concatenazioni in cui causa ed effetto sono molto distanti tra loro, quasi a sfidare la memoria dello spettatore, ulteriormente sollecitato da false piste e storyline aperte (si veda il love affair di Mare con lo scrittore interpretato da Guy Pearce). Il senso di indefinitezza e di indecidibilità tipico del prodotto seriale è strutturato anche dalle splendide musiche di Lele Marchitelli (The Young Pope), programmaticamente atmosferiche e statiche, prive di sviluppo, tenui palpitazioni minimaliste concepite per empatizzare senza prevaricare.
A conferire ulteriore unitarietà anche stilistica, trattandosi di una miniserie da sette episodi, il progetto è stato seguito (ed eseguito, se pensiamo al concept di serie come a una partitura e agli episodi come alla sua esecuzione) da un unico regista, Craig Zobel, regista cinematografico e televisivo che ha partecipato a progetti di grande qualità come Westworld, The Leftovers e American Gods e al quale qui si chiede di lavorare sulla messa in scena della quotidianità più ordinaria. Il contributo di Kate Winslet è certamente decisivo per come riesce ad assumere su di sé tutte le colpe del piccolo mondo in cui vive, facendo sentire allo spettatore tutto quel peso nel passo faticoso, nel risentimento cronico che si legge nei suoi sguardi e nei suoi sottogesti.
Proprio Winslet ha recentemente aperto alla possibilità di tornare di nuovo a Easttown. Sebbene sia stata scritta da Ingelsby con un finale molto chiaro e motivato, il notevole successo di Omicidio a Easttown spinge infatti nella direzione di un rinnovo per una seconda, non prevista stagione, a riprova del fatto che la serialità (anche in versione “mini”) individua per statuto ontologico una classe di opere indipendenti dal finale.
Riferimenti bibliografici
A. Maiello, Mondi in serie. L’epoca postmediale delle serie tv, Pellegrini, Cosenza 2021.
L. Mangan, Mare of Easttown finale review – Kate Winslet drama is a stunning, harrowing success, in “The Guardian”, 31 maggio 2021.
M. Murdock, Il viaggio dell’Eroina, Dino Audino Editore, Roma 2010.
Omicidio a Easttown. Regia: Craig Zobel; sceneggiatura: Brad Ingelsby; fotografia: Ben Richardson; montaggio: Amy E. Duddleston; interpreti: Kate Winslet, Julianne Nicholson, Jean Smart, Guy Pearce; produzione: Zobot Projects, Mayhem Pictures, Juggle Productions, Low Dweller Productions; distribuzione: HBO; origine: Stati Uniti; anno: 2021.