Vediamo qualcuno sbattere i piedi. Sembra un segno di protesta. La camera si alza sul viso sornione di un uomo, che guarda dritto in camera. “Questa è un’omelia per i contadini dell’Alfina”, ci dice. Così inizia il nuovo cortometraggio di Alice Rohrwacher. Una cinematic action, viene definita nei titoli di coda, che la regista pianifica con l’artista parigino JR (lanciato cinematograficamente da Agnes Varda con Visages, villages).

Le riprese, quasi tutte girate dall’alto con i droni, ci mostrano tre processioni parallele in un campo sterminato del viterbese. Tre gruppi di braccianti vestiti di nero portano delle enormi stampe in bianco e nero di tre corpi: un uomo barbuto, una ragazza, una donna più adulta. Vediamo le immagini per esteso, attraverso uno sguardo aereo che le sorvola e ce le fa apparire per dritto. Sembra quasi che siano vive, impercettibilmente mosse dal vento. Ci osservano. Le accompagna il canto funebre suonato da una banda (presente per tutti e dieci i minuti del film).

Le tre processioni si fermano ognuna davanti ad una buca scavata nella terra, pronta ad accogliere gli enormi corpi bidimensionali. La camera si avvicina per la prima volta ai contadini e, in tre di loro, riconosciamo i volti rappresentati nei cadaveri di carta. Cominciamo a capire chi è morto.

I contadini leggono alcuni brani di saluto a un’agricoltura che non esiste più – tra gli altri, alcuni di Pasolini. L’industria ha distrutto e sotterrato il legame genuino dell’uomo con la natura, il lavoro di braccia che hanno seminato per il piacere di veder sorgere la vita dalla terra, i frutti dal sudore di una dedizione costante. Non è defunta soltanto la pratica agricola, a non esserci più è il fare senza ricevere, il “do” privo di “des” di chi vive per riconsegnare all’uomo qualcosa che il mondo produce naturalmente, reinnestandosi sui suoi ritmi e sulle sue stagioni.

Tra gli agricoltori ci sono volti rugosi, visi di donne fiere che portano gli orecchini sotto il fazzoletto, sguardi consapevoli di adolescenti che vedono di fronte a sé una storia diversa, “finita”. Se Rohrwacher nei suoi film precedenti ha riprodotto dentro storie diverse la dialettica dell’abbandono e del costante ritorno alla natura – i suoi ricordi di bambina sono legati ad una famiglia di apicoltori toscani –, in Omelia contadina la narrazione viene trascesa dal simbolo, tagliato nella carta da JR e messo nelle mani e nelle voci reali di chi davvero piange una scomparsa.

Ne Le meraviglie una comunità che vive tra api e miele viene messa in discussione dall’arrivo di una trasmissione televisiva che cerca di capitalizzarne la gestualità chiudendola in una teca visiva (in Omelia contadina ritroviamo una delle due bambine cresciute, in prima fila, in un’ideale continuità di scenario); la famiglia del feudo in cui vive Lazzaro (Lazzaro felice) vive una seconda parte della vita da stracciona in un camper alla periferia di una grande città. La rappresentazione cinematografica si affida a racconti che ripercorrono narrativamente un sentimento di perdita mai davvero denunciato e piuttosto risolto nelle sfumature della sua evoluzione (dal naturale all’urbano). Sull’altopiano dell’Alfina viene messa in scena al contrario la cruda fine. Non si tratta più di narrazione, si tratta di di-mostrare un fatto concreto attraverso un’immagine – quella fotografata e ingigantita di JR, quella ripresa da Rohrwacher – che si mette in gioco sul campo (letteralmente) e viene sepolta da palate di terra sugli occhi, sulle bocche, sulle mani dei suoi personaggi.

È in un certo senso un meta-cinema, un’“azione” che riprende un tema urgente per l’autrice ad un livello più iconico e tuttavia messo in scena dagli sguardi e dal dialetto dei suoi diretti protagonisti. La realtà seppellisce la rappresentazione, la dimensione figurale svanisce portando con sé sotto terra l’umana volontà di rinascere.

Ci avete sepolti, “ma non sapevate che eravamo semi”. Non si tratta di un atto di protesta, ma di resistenza.

Omelia contadina. Regia: Alice Rohrwacher, JR; sceneggiatura: Ales Jusifovski; montaggio: Carlotta Cristiani; fotografia: Berto, Luca Bigazzi; montaggio: Banda G. Verdi di Castelgiorgio, Compagnia de la Panatella; interpreti: Luciano Vergaro, Dario Sforza, Iris Pulvano, Emanuele La Barbera, Elisa Cortese, i contadini dell’Altopiano dell’Alfina; produzione: Social Animals; origine: Italia; durata: 10′.

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