Provate a guardare nella camera oscura dell’attuale civiltà delle immagini: è piena di ideologie nascoste, è piena di lezioni di stile con tanto di nomi e cognomiDa una parte Oliviero Toscani, milanese classe 1942, figlio d’arte (il padre Fedele, fondatore dell’agenzia Rotofoto, vende scatti al “Corriere della Sera” dell’epoca Montanelli), studente alla Kunstgewerbeschule di Zurigo diretta da Johannes Itten (l’autore di Arte del colore) e poi fotografo di moda che balza alla notorietà nel 1973 (trentun anni) quando immortala il lato b in hot pants della fidanzata modella Donna Jordan per la campagna dei Jesus jeans “Chi mi ama mi segua” (che è il seguito della famosa campagna Jesus “Non avrai altro jeans all’infuori di me”, di cui ha scritto Pasolini concentrandosi sul “folle slogan” citato ricorretto, senza parlare del visual e comunque senza citare i nomi dei creativi pubblicitari). Dall’altra Tano D’Amico, siciliano (di Filicudi) classe 1942, a sette anni a Milano al seguito dei genitori, studente di scienze politiche all’Università Cattolica e poi all’improvviso a Roma in tempo per il Sessantotto e tutte le sue conseguenze (la prima pubblicazione, del 1973, s’intitola Gli operai, le lotte, l’organizzazione e porta il marchio editoriale Lotta Continua).

La fama internazionale di Toscani è legata alle sue campagne per l’industria tessile dei fratelli Benetton, passata dal distretto veneto (nascita 1965, quando Luciano Benetton ha trent’anni) alla globalizzazione (certificata dalla nuova denominazione americanizzante “United Colors of Benetton”, introdotta nel 1985) e dunque bisognosa di una comunicazione delocalizzata e cosmopolita: negli anni ottanta il multicolorismo del prodotto (il maglificio si è sempre distinto per il procedimento del “tinto in capo”) si fonde con il multiculturalismo della convivenza razziale, sicché gli scatti di Toscani – sempre realizzati in studio su un fondo bianco alla Avedon – presentano accoppiate programmaticamente miste (la foto più premiata mostra un neonato bianco che si allatta al petto di una nurse nera, la quale indossa un golfino rosso che lascia scoperto il seno con relativo capezzolo); negli anni novanta il prodotto sparisce del tutto dal visual, a favore della riconoscibilità del marchio in quanto tale, e Toscani diventa il riciclatore concettuale di altrui immagini di attualità (compresi un paio di scatti di Steve McCurry).

La fama di D’Amico è legata alla sua attività di fotografo dei movimenti in lotta per i diritti, dai gruppuscoli studenteschi alle femministe agli zingari, dagli operai di Fiat Mirafiori al romano Movimento per il diritto all’abitare; la sua militanza si concretizza in libri e cartelle fotografiche che hanno titoli tipo Guerra ai poveri, Gli anni ribelli, Una storia di Pace, La lotta delle donne, Il Giubileo nero degli zingari o La dolce ala del dissenso. Il movimento-immagine per eccellenza è quello del Settantasette, di cui Tano D’Amico è il più scrupoloso documentatore (si veda il capitolo a lui dedicato da Christian Uva nel volume L’immagine politica, Mimesis 2015) e a cui continua a dedicare riflessioni anche in collaborazione (con Pablo Echaurren Il Piombo e le Rose, Postcart 2017; con Nanni Balestrini Ci abbiamo provato, Bompiani 2017).

Ovviamente nulla e nessuno autorizza ad accostare questi due professionisti – coetanei (dunque in qualche modo figli dello stesso clima economico-politico e socio-culturale della società italiana e del sistema-mondo) eppure dalle traiettorie divergenti (si pensi solo, sul piano delle scelte estetiche, alla fedeltà di Tano D’Amico al bianco e nero rispetto al creatore della rivista Colors, che pure ha realizzato in b/n I bambini ricordano, su quella strage di Sant’Anna di Stazzema che ha ispirato il film di Spike Lee Miracolo a Sant’Anna) – come se fossero i poli opposti della fotografia italiana contemporanea. Ma siccome caso vuole che dopo il lockdown siano arrivati contemporaneamente in libreria i loro ultimi scritti, può essere interessante confrontare l’idea di fotografia che i due esprimono mentre arrivano al traguardo dell’ottantesimo compleanno e dell’oltre mezzo secolo di attività.

Caro Avedon si presenta come una raccolta di lettere mai spedite che Oliviero Toscani ha indirizzato ai suoi maestri di fotografia, distribuiti fra i classici del passato (l’etnologo Edward S. Curtis, 1868-1952, che dilapidò i suoi averi e la sua vita nel tentativo di documentare gli ultimi bagliori dei nativi americani) e i più quotati contemporanei (McCurry, Witkin, Gursky); per correttezza politica c’è una quota rosa (Arbus, Leibovitz ma anche la sorella Marirosa sposata Ballo), una quota tricolore (Franco Fontana, che da giovanissimo si occupava di tinte nel suo negozio di parrucchiere, e il milanese Basilico – ma non Luigi Ghirri!), una quota Magnum (Robert Capa ma non Cartier-Bresson!) e anche lettere collettive ai fotografi di matrimoni (viva la posa!), ai dilettanti e a tutti i selfisti. Richard Avedon (1923-2004), il fotografo preferito di Roland Barthes (che invece escluse Cartier-Bresson dalla Camera chiara), è «il più bravo di tutti, il più completo, il Maestro dei Maestri» (Toscani 2020, p. 15, corsivo di Toscani) non solo perché «il primo capace di interpretare contemporaneamente tutti i ruoli che servono a un fotografo moderno: autore, sceneggiatore, scenografo, regista, direttore della fotografia e infine operatore alla macchina» (ibidem) ma anche in quanto frontaliere tra fotografia libera (il libro del 1985 In the American West è il risultato di un viaggio di cinque anni in cui il ritrattista coglie il volto della classe operaia americana) e su commissione (moda!).

Fotografia e destino, montaggio parallelo di immagini dal sapore antologico (ontologico? Per D’Amico 2020, p. 82, «le fotografie belle non possono essere progettate a tavolino. È la realtà a suggerirle») e di appunti estetico-politici che hanno richiesto l’editing di Francesca Di Renzo, sembra concludere una trilogia iniziata coi volumi Postcart Di cosa sono fatti i ricordi (2011) e Anima e memoria (2012). Per il reporter embedded nel movimento-immagine, l’esistenza di “fotografie ruffiane” (“fotografie concepite per la parte peggiore di noi” cioè la parte che aspira alla buona borghesia internazionale) deve far diffidare dei pretesi maestri occidentali, compreso l’innominato che nel 1933 si mise a fotografare impietosamente le prostitute di Alicante: «Nel nostro Paese gli imitatori del più celebrato maestro francese sono stati tanti. Stesso cinismo feroce, ma molto meno stile» (D’Amico 2020, p. 18). Il vero maestro della fotografia è il movimento-immagine: «I movimenti hanno sempre prodotto immagini belle. A loro volta le immagini belle hanno sempre prodotto i movimenti» (ivi, p. 26).

I due si ritrovano solo nell’elogio di August Sander, che qualche lettore ricorderà per la foto Tre contadini che vanno a ballare che ha ispirato il romanzo di Richard Powers appena ripubblicato da La nave di Teseo. «Le immagini di August Sander, i suoi ritratti, dicono che gli esseri umani esistono e che i ruoli ne negano l’esistenza» (D’Amico 2020, p. 58). Toscani gli scrive: «Insieme ad Avedon ti considero il mio primo e più grande Maestro» (ivi, p. 47) presentando il proprio progetto Razza Umana come un ampliamento del famoso Uomini del Ventesimo secolo già citato da Walter Benjamin nella Piccola storia della fotografia.

Per il resto, occhi non conciliabili, sguardi non traducibili: quello che si definisce un mendicante di immagini sentenzia che «bellezza e perfezione senza verità sono, della bellezza e della perfezione, la buccia senza il frutto» (D’Amico 2020, p. 10); quello che si definisce un creativo sovversivo ribatte senza saperlo che «la fotografia in bianco e nero è triste come chi la fa…» (Toscani 2020, p. 71). Ma forse, nel centenario della morte di Max Weber, bisogna rassegnarsi ad accettare – anche per la fotografia, soprattutto per la fotografia – il politeismo dei valori.

Riferimenti bibliografici
T. D’Amico, Fotografia e destino. Appunti sull’immagine, Mimesis, Milano 2020.
O. Toscani, Caro Avedon. La fotografia in 25 lettere ai grandi maestri, Solferino, Milano 2020.

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