Quando Fabio De Luca mi disse, seduto al bar Mangini di Genova, al tavolo una volta riservato al “partigiano presidente” (grazie di tutto, Toto!) che voleva scrivere un libro sui Righeira, gli dissi of course, ottima idea, come non averci pensato prima, ma in realtà scettico che quella canzone, e quell’anno, il 1983, fossero in qualche modo significativi di qualcosa.
De Luca invece ha scritto l’unico lavoro di studi culturali la cui lettura è assolutamente necessaria. Non solo per la valanga di micro informazioni sull’Italietta del 1983, ma soprattutto per noi studiosi di media, per il metodo. Il volume è infatti un carotaggio sincronico di quell’anno, in cui la canzone tormentone dell’estate, Vamos a la playa dei Righeira (nella vita post-punk torinesi e senz’altro non fratelli), viene usata come lente di ingrandimento, gioiello prismatico per vedere, mettere in risalto, e capire da un punto di vista assolutamente non privilegiato (quello del pop euro-trash) un anno fondamentalmente di merda nella storia del paese. Insomma, per usare un termine in voga, il sottotitolo del volume potrebbe essere Vamos a la Playa as Method: la canzonaccia da spiaggia viene non solo analizzata in sé come sintomatica di un certo di tipo di cambio culturale tra i militanti e combattivi settanta, e la Milano da bere degli anni ’80 (tutto vero, tra l’altro, e De Luca si sbatte come un pazzo tra archivi cartacei e visivi per comprovare la sua tesi dell’83 come annus mirabilis), ma, e questo mi sembra il grande contributo di metodo del volume, ne scrive la geografia, o meglio ancora, la geopolitica culturale.
Aiutato dal suo passato e presente di DJ radiofonico e di sale da ballo, De Luca scrive una etnografia di Vamos a playa, intervistando protagonisti/e di quel periodo, rileggendo vecchie recensioni, riascoltando interviste televisive e radiofoniche, insomma ricostruisce il suono di quell’anno (ricordandoci che il numero 1 nella classifica dei dischi più venduti era Gazebo con I love Chopin), le immagini (comincia Pronto, Raffaella?, ottimo milestone per indicare la fine della militanza e l’inizio del theo-pedo-porno che culminerà con Non è la Rai dieci anni dopo), e l’atmosfera dell’Italia vagamente ancora inebriata dalla vittoria dei mondiali di calcio del 1982. Quando Martellini enuncia per tre volte, come per incantamento, «Italia campione del mondo» finisce, secondo De Luca, la lotta continua.
Questo volume è a mio parere fondamentale, come dicevo, per il metodo. Penso in particolare alle nuove generazioni di studiosi/e che non hanno mai vissuto l’estasi birminghamiana dei cultural studies “all’inglese,” snobbati in Italia all’epoca, e ora, forse a ragione, sorpassati da Industry Studies, da eco-critici dell’SSTI, e da una certa passione pseudoscientifica per i grafici (damn you, Lobato!). Questa geografia politica e etnografica degli anni ’80 insomma riproduce lo spirito tutto tondelliano (non a caso citatissimo nel volume) del “weekend postmoderno,” a metà foto ghirriana della pianura, e a metà Camerini che fa finta di essere arlecchino.
Dunque, mo’ che l’estate sta finendo, e anche i colleghi tedeschi devono finalmente togliere la risposta automatica alla posta elettronica, consiglio a tutte le colleghe e ai colleghi interessati al “metodo” (io comincio la prossima settimana un corso di Master che si chiama, appunto, “Methods,” metà promessa di futuri successi, metà lista del boia), se pensare alla geografia dei media, alla mappatura anche un po’ sgangherata di eventi culturali sparsi così da creare una“mediageography” del nostro ambito di studio, con Tondelli e Stuart Hall in tasca, possa servire a scardinare alcuni pregiudizi estetici e politici. Pensiamo a simili esperimenti, come Settanta (Einaudi, 2010), lo studio di Marco Belpoliti su quel decennio, naturalmente England’s Dreaming (1991) di Jon Savage (in cui si usano i Sex Pistols per leggere una nazione), Lipstick Traces (1989) di Greil Marcus, la storia dell’occidente attraverso la musica rock.
Ecco, il sampling di De Luca, rispetto a queste opere già pensate come “grosse”, ha 1. il vantaggio proprio di inserire l’orizzontalità dentro la storiografia, in un certo senso mettere i bastoni tra le ruote della teleologia storicista, della grande narrativa (goodbye Lyotard!), e 2. entrare dal basso dentro la storia dei media. Penso dunque a chi come me scrive S/storie un po’ storte di cinema italiano, da prospettive sbagliate (il sud del mondo, la critica postcoloniale, i film fallimentari, i registi picchiatelli) possa trovare in questo volumetto giallo nuova ispirazione.
Fabio De Luca, Oh, oh, oh, oh, oh. I Righeira, la playa e l’estate 1983, Nottetempo, Roma 2023.