L’autobiografia, la scrittura di sé, l’auto-narrazione della propria vita è qualcosa di pericoloso. Il rischio sta proprio nel fatto che spesso questa forma letteraria può creare una distanza rispetto alla vita stessa, la ricopre per così dire di una struttura narrativa che la trasforma in altro, in pura finzione. Accade nella letteratura e accade nel cinema, dove il biopic sembra avere negli ultimi anni un peso sempre maggiore. Nel suo testo-montaggio Fame di Realtà, composto da frammenti di testi di molti altri autori (scrittori, poeti, artisti, cineasti), David Shields afferma con forza la potenza della biografia e dell’autobiografia come forme contemporanee di narrazione: «In questo momento biografia e autobiografia sono la linfa vitale dell’arte. Le abbiamo rivendicate proprio come le generazioni passate hanno rivendicato il romanzo, la commedia “ben fatta” e l’arte astratta» (2010).

Biografia e autobiografia come «linfa vitale dell’arte», contrapposte alle forme tradizionali, o moderne, della narrazione e dell’arte. Ma, aggiunge Shields, questo avviene solo allorquando la scrittura della vita non si riduce ad una apologia pro vita sua, ad una agiografia mascherata, in cui l’indeterminazione della vita, la sua imponderabile dinamica, irriducibile ad ogni “sceneggiatura” codificata diventa in realtà una narrazione perfetta, senza scarti e senza residui. Si tratta allora di pensare l’autobiografia come una forma di scrittura di sé, certamente, ma di tipo particolare, che accetta cioè l’indeterminazione come punto di partenza per far sì che la scrittura sia anche altro. Ecco la questione.

Sono riflessioni queste che nascono dopo la lettura del libro di Werner Herzog, Ognuno per sé e Dio contro tutti, un testo che appunto mette in gioco il concetto stesso di autobiografia, secondo una modalità specifica, che vale la pena indagare. Per farlo, occorre prima disporre alcuni elementi, come stiamo già facendo, per comprendere meglio le questioni teoriche e poetiche che il testo di Herzog porta con sé. Nel settembre del 2023, Herzog è in Italia, ospite della Fondazione Prada, per presentare le anteprime italiane dei suoi ultimi due film, The Fire Within (2022) e Theatre of Thought (2022). Durante l’incontro con il pubblico, il regista dichiara esplicitamente di non essere molto interessato alla teoria del cinema, e di trovare molto più stimolante in questo momento la teoria e la pratica letterarie. A distanza di pochissimo tempo da questo incontro esce nel mercato italiano la sua autobiografia, appunto Ognuno per sé e Dio contro tutti, che altro non è se non il titolo originale del suo film L’enigma di Kaspar Hauser (Jeder für sich und Gott gegen alle, 1974). È forse questo il passaggio ad una nuova forma? Herzog smetterà di fare cinema e si dedicherà alla scrittura? Ovviamente no, non è questa la spiegazione della frase di Herzog. Ma l’affermazione necessita di un approfondimento.

Le parole del regista colpiscono e in un certo senso orientano l’esperienza di lettura di Ognuno per sé e Dio per tutti. Immergendosi in esso ci si rende conto ben presto che il libro è qualcosa di più di una autobiografia, così come Sentieri nel ghiaccio e La conquista dell’inutile sono molto di più, rispettivamente, di un diario di viaggio da Monaco a Parigi a piedi e del diario di lavorazione del film Fitzcarraldo (1982). Un di più che ha a che fare con l’idea letteraria che anima il cinema di Herzog e che in un certo senso costituisce una chiave di accesso possibile al suo lavoro.

Spieghiamoci meglio: nella prefazione al libro Herzog ricorda come il finale del film che lo ha fatto conoscere internazionalmente, Aguirre, furore di Dio (1972) fosse inizialmente un altro, e che per un caso non previsto diventa la scena famosissima dell’invasione delle scimmie all’interno della zattera dove giacciono moribondi i membri della spedizione di Aguirre. L’immagine prevista non vedrà la luce mentre una possibilità imprevista diventerà la forma definitiva del finale del film. È una delle chiavi d’ingresso all’idea di scrittura della vita che fonda il concetto stesso di biografia o autobiografia. Aggiunge infatti poco dopo Herzog: «Mi chiedo quante possibilità, quante alternative non vissute ho avuto io stesso a disposizione, non solo nell’invenzione di storie, ma nella vita stessa, senza che si traducessero mai in realtà, o solo molto più tardi». Possibilità è qui la parola chiave: ogni scrittura, cinematografica o letteraria è composta di possibilità, di linee aperte che non necessariamente si chiudono in una linea definitiva. La scrittura della vita, della propria vita deve in certo senso seguire le stesse regole, vale a dire accettare l’indeterminatezza a priori dell’esistenza e, al tempo stesso definirsi come forma. La forma – di un film o di un romanzo – non può seguire regole prefissate, ma aprirsi il più possibile al caos del mondo; raccontare, narrare è di fatto l’atto di seguire questo caos.

Ed ecco che allora le pagine del libro diventano la trama di una costellazione di storie e narrazioni. Herzog parla della sua infanzia e ogni dettaglio può diventare il punto di partenza di un’altra storia, di atre esistenze. Prendono corpo le storie degli altri abitanti di Sachrang, la piccola cittadina della Baviera dove la madre si trasferisce da Monaco per via della guerra. Ma anche storie legate agli innumerevoli viaggi intorno al mondo compiuti dal regista nel corso della sua carriera.

Ogni viaggio, ogni incontro può aver dato vita ad un film, certo. Ma ogni film non è che la punta dell’iceberg di innumerevoli altre storie, che non hanno mai visto la luce – come il Viaggio intorno alla Germania, di cui Herzog pubblica alcune pagine del diario. Innumerevoli storie, a volte di poche righe, o che possono dispiegarsi lungo diverse pagine. Racconti che si collegano ad altri che accadranno più tardi, attraverso minimi dettagli, come l’abilità nel mungere le mucche che diventerà fondamentale per ottenere la fiducia degli astronauti che appariranno in L’ignoto spazio profondo (2005). Herzog non ha paura di saltare avanti e indietro nel tempo, di creare collegamenti tra eventi che sono accaduti a distanza di decenni. Soprattutto, Herzog non ha paura della divagazione, della scrittura che crea continuamente sentieri, non importa di quale lunghezza essi siano. La vita non è né può essere cronologicamente ordinata, equilibrata e controllata, così come non possono esserlo la scrittura o il cinema.

Il montaggio in cammino, che si pone come una delle forme che caratterizzano il cinema di Herzog (soprattutto la produzione documentaria, per quanto il confine tra fiction e non fiction sia senza senso per il regista), è fatto di connessioni e collegamenti, di passaggi tra spazi, tempi e storie differenti, unificati solo dal fatto che c’è un Io che indaga, che attraversa queste storie e ne ritrova i legami segreti. Il montaggio in cammino herzoghiano si fonda su uno spazio necessario, sulla individuazione di intervalli tra narrazioni e soggetti diversi, che letteralmente slittano l’uno sull’altro. È questo tipo particolare di montaggio ad operare in Ognuno per sé e Dio contro tutti, a rivelarlo come esempio di un’idea potente di narrazione che attraversa tutta l’opera del regista.

La narrazione procede nel tempo, ma la linea cronologica è tutt’altro che omogenea: ogni viaggio compiuto per girare un film entra in rapporto con altri percorsi, legati ad altri film. Ogni sensazione, pensiero permette di aprire nuove connessioni. La processione delle formiche che Herzog vorrebbe filmare per inserirle in Cobra verde (1987) diventa il punto di partenza per parlare de La ballata del piccolo soldato (Ballade von kleinen soldaten, 1984); a partire dal film, Herzog ripubblica anche dei frammenti del diario tenuto durante la lavorazione. Collegamenti, frammenti, connessioni, salti avanti e indietro nel tempo.

Ci si inoltra allora tra le storie, le digressioni, i tanti personaggi che abitano il libro come entrando all’interno di un film multiforme; soprattutto, lo si attraversa con la consapevolezza crescente che la dimensione letteraria sia profondamente connessa all’opera cinematografica di Herzog. Un’analogia potente le permea entrambe, quella secondo cui la scrittura – sia essa testuale o per immagini – risponde sempre alla stessa esigenza, alla stessa necessità: quella di porsi come forma aperta, indeterminabile a priori, perché essa va sempre inevitabilmente incontro allo scacco di non poter tener conto di tutte le storie possibili, della vita come del cinema.

Riferimenti bibliografici
W. Herzog, La conquista dell’inutile, Mondadori, Milano 2007.
Id., Sentieri nel ghiaccio, Guanda, Parma 2014.
D. Shields, Fame di realtà. Un manifesto, Fazi editore, Roma 2010.

Werner Herzog, Ognuno per sé e Dio contro tutti, Feltrinelli, Milano 2023.

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