La capacità dei Beatles di spiegare gli anni sessanta è fuori discussione. Ma vale la pena prendere in considerazione la possibilità che essi spieghino anche il presente in cui viviamo e il futuro che ci si para davanti. L’occasione ce la offre la pubblicazione in queste ore di Now and Then, quella che viene annunciata come l’ultima canzone dei Beatles, un’opera a metà fra il testamento e l’happy ending.

Il punto di partenza è il fatto che dentro la canzone s’intrecciano strati temporali disparati: cori e campionamenti che ci riportano a canzoni del gruppo fra il 1966 e il 1969, la voce di John Lennon che proviene dagli ultimi anni settanta, parti di musica registrate nel 1995 e nel 2023. La cosa non è così inedita: gli stessi Paul, George e Ringo a metà degli anni novanta avevano realizzato due canzoni lavorando su delle tracce registrate da John prima di morire – Free as a Bird, Real Love. Il fatto è che in quelle canzoni, che già avevano inquietato e suscitato polemiche, la distanza temporale fra le parti riunite si manteneva evidente. Proprio Now and Then, con quella voce di John così incollata ad un piano che più che imperfetto suonava troppo distante, era rimasta fuori dal progetto Anthology e dalla possibilità di un completamento.

Oggi invece, grazie alla potenza dell’innovazione tecnologica, Now and Then suona come una canzone del presente, una canzone in cui ogni parte sonora è pienamente contemporanea, con le altre parti e con noi che la ascoltiamo. Non è un caso che davanti a questo lavoro che fa collassare sul presente brandelli di vita e tempo così diversi più che l’accusa già sentita a metà anni novanta di un “frankenstein” musicale, risuona più forte quella del “miracolo”. Quasi a tradire un’evoluzione incrociata della tecnica e della sensibilità che ci porta verso un’epoca in cui la contemporaneità del non contemporaneo non sarà più così difficile da accettare, digerire, apprezzare.

Questo aspetto così centrale e sfuggente fa di Now and Then un monumento di quello che potremmo chiamare il contemporaneismo dei nostri vissuti odierni, segnati così profondamente dalle possibilità offerte dalla tecnologia. Come fosse un acceleratore di particelle attraverso cui condurre un grande esperimento sui nostri vissuti per meglio coglierne la trama, la canzone dei Beatles ci rivela la testura della nostra vita digitale, della nostra vita quotidiana ai tempi dei social media, luogo di tensione e convivenza di temporalità profondamente diverse.

Già oggi, e sempre più per i nativi digitali, i social media rendono infatti costantemente contemporaneo tutto il passato di un vissuto individuale. Il now e il then dei nostri vissuti, ogni now e ogni then, convivono in quell’eterna contemporaneità che è la rete. Finora questo aspetto ci si era parato davanti criticamente, reso palese da casi disforici come quelli legati agli eccessi del politicamente corretto e della cancel culture: «I social media – ha scritto il linguista Steven Pinker, finito stritolato dal meccanismo contemporaneista della rete – risputano vecchie immagini, commenti dimenticati, battute infelici».

Con Now and Then questo contemporaneismo disturbante, straniante, obliquo perviene (forse) al suo aspetto felice, consapevolmente produttivo. Siamo dentro, o stiamo entrando, in un tempo capace di fare di ogni porzione del vissuto archiviato un frammento contemporaneo, o perlomeno a disposizione di una efficace, credibile, contemporaneizzazione. Diciamo “forse” perché la felicità del caso in oggetto, al di là delle valutazioni di gusto, apre su problemi etici resi tanto più delicati dal fatto che la potenzialità contemporaneista va di pari passo con quella della trasformabilità dei materiali su cui si esercita.

Se nel nostro caso la dicitura «Per Paul» sulla cassetta di John basta non solo a legittimare l’operazione ma a renderla ancor più toccante, in tanti altri casi il discrimine su chi abbia titolo a rendere contemporanei vissuti passati, immersi ed agganciati ad altri contesti e relazioni, si fa davvero labile e contestabile. Girano già da tempo in rete, per stare sempre ai Beatles, canzoni completate o inventate dall’intelligenza artificiale (che appaiono temporaneamente in rete e poi vengono rese inaccessibili a causa di reclami sul copyright); proprio come si pone il problema di prodotti audiovisivi (film, pubblicità ma anche telegiornali) che hanno per protagonisti campionamenti di voci e immagini di attori (vivi o morti) o personaggi (avatar che sembrano reali) creati di sana pianta dall’intelligenza artificiale. Detto in poche parole, il passo dall’attualizzazione dell’archivio al deep fake è breve.

Si dirà che ogni opera che ci perviene dal passato si proietta anti-storicisticamente dentro il nostro presente e questo non ci fa scandalo. Il punto è che il ritmo e la portata di questa dinamica faceva sì che essa ci arrivasse diluita nel tempo e apparentemente fuori dalla portata del nostro intervento. E ci pareva che questo non avesse più di tanto effetto sulla nostra vita personale con le sue intime evoluzioni temporali, con la possibilità – decisiva – di poter cancellare, nascondere, dimenticare parte di “ciò che è stato”. Si trattava forse di illusioni. In ogni caso, queste illusioni sono ormai perdute. Non a caso, in rete, l’oblio si configura come un diritto e un’azione esplicitamente richiesta invece che non come una possibilità “naturale”, intrinsecamente legata allo scorrere del tempo.

Si capisce quanto questa trasformazione della temporalità impatti sul nostro senso dell’identità. Nella generazione di una “reputazione” personale, ad esempio, non diventa significativa la successione di una identità in divenire, in aggiornamento, in evoluzione, ma la convivenza contraddittoria di tutti gli strati temporali di un vissuto. Rispetto all’identità individuale la rete produce una sorta di monumento cubista, che espone su uno stesso piano tutte le sfaccettature di un vissuto diacronico e multicontestuale. Sarà interessante vedere come questa contemporaneità social del non-contemporaneo scuoterà nel prossimo futuro la nostra percezione dell’identità pubblica: è facile ipotizzare che essa produrrà nuovi monumenti identitari e che inizialmente saremo portati (soprattutto i più anziani) a percepire questo nuovo tipo di monumenti come profondamente anti-monumentali. Proprio come le opere cubiste ai loro esordi erano percepite come anti-estetiche e anti-artistiche.

Anche su questo Now and Then ci porta un passo avanti. Il videoclip prodotto dal Premio Oscar nonché beatlemaniaco Peter Jackson rende visivamente tanto l’aspetto autobiografico-celebrativo, animando vecchie immagini e foto del gruppo, quanto la non contemporaneità del non contemporaneo, facendo interagire i Beatles di ieri e di oggi come se fossero tutti insieme ora sullo stesso palco, sulla stessa scena. L’aspetto della memoria (then), giocato sul registro nostalgico, e quello dei vissuti contemporanei e contemporaneizzati (now), giocato sul registro ironico, convivono, generando un’opera potentemente spaesante e cacofonica. Ciò che eravamo abituati a tenere separato, o a vivere in momenti diversi, a legare a funzioni diverse, ci si presenta esplicitamente mischiato e congiunto (and) mettendo sotto stress i nostri tradizionali schemi percettivi, cognitivi, estetici, pragmatici.

Come se tutto ciò non bastasse Now and Then rinforza, ma in modo significativamente originale, una delle grandi mitologie della contemporaneità: quella dell’imprevisto, dell’inatteso, in particolare di quell’imprevedibilità custodita, prodotta e promossa dall’innovazione tecnologica. La descrizione ufficiale della canzone su YouTube rende perfettamente questa dimensione, ricorrendo al tratto della serendipità:

For years it looked like the song could never be completed. But in 2022 there was a stroke of serendipity. A software system developed by Peter Jackson and his team, used throughout the production of the documentary series Get Back, finally opened the way for the uncoupling of John’s vocal from his piano part.

Serendipità beatlesiana: non è la tecnologia in sé che ha prodotto l’innovazione ma è il fatto che Peter Jackson stesse lavorando sul progetto Get Back che ha portato all’innovazione. È la creatività portata al limite che genera altra creatività. Attenzione, non è una riaffermazione del primato dell’umano sulla macchina. È piuttosto un’apologia della creatività in tutta la sua ibrida e complessa natura.

E soprattutto, ancora una volta, è una serendipità felice. È un’imprevedibilità che libera potenzialità creative piuttosto che distruttive. E in un mondo, in una contemporaneità, come quella in cui siamo immersi, fatta di crisi, pandemie, guerre, conflitti tanto imprevisti quanto assurdi, non è un fatto ed un messaggio da poco. Al di là di quello che si può pensare della canzone, ancora una volta i Beatles ci ricordano che alla fine – anzi, allora come ora, ora più che mai – conta ciò che è capace di creare, conta la creatività.

Now and Then. Artista: The Beatles; etichetta: Calderstone Productions; produttore: Paul McCartney, Giles Martin; registrazione: 1966, 1969, 1977, 1995, 2022-2023; durata: 4:08; anno: 2023.

Tags     Beatles, Now and Then
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