Virzì Notti Magiche

Il premio Solinas ha ormai più di trent’anni di storia ed ha assolto una funzione simbolica peculiare: un passaggio di testimone, un momento in cui una generazione di cineasti che ha consolidato la propria posizione nell’industria culturale apre le fila per accogliere nuovi talenti narrativi. La prima sceneggiatura a ricevere il Solinas fu, nel 1986, Sott’acqua di Francesca Archibugi (che ora firma Notti magiche con Paolo Virzì e Francesco Piccolo), due anni dopo autrice di Mignon è partita, uno dei film paradigmatici della generazione italiana dei baby boomers. Nel 1988 questo film fu l’apripista di un “nuovo cinema italiano”, etichetta che circolava nell’ambito della critica cinematografica (Sesti, D’Agostini) ed era sostanziata non soltanto da un’appartenenza generazionale. Si notava nella produzione d’autore un rinnovato interesse per la scrittura, e furono dunque gli sceneggiatori a tentare di dettare la linea, come rilevato da Gian Piero Brunetta:

Gli sceneggiatori, d’accordo con i registi, puntano a realizzare un cinema medio che intende raggiungere il pubblico, raccontargli storie nelle quali ci si possa riconoscere […]. Sono proprio gli sceneggiatori della nuova generazione a rivendicare, nei confronti di una produzione che sembra arrendersi sempre di più alle ragioni televisive, nuovamente un ruolo di intelligenza critica e di opposizione al processo apparentemente irreversibile (Brunetta 2001).

 

Negli stessi anni, dopo il diploma al Centro Sperimentale, Paolo Virzì collaborava alla stesura di sceneggiature molto caratterizzanti di quel nuovo corso del cinema nazionale: Turnè di Gabriele Salvatores e Condominio di Felice Farina. Nel 1990, anno in cui ha luogo la vicenda narrata in Notti magiche, il premio Solinas fu assegnato a La discesa di Aclà a Floristella di Aurelio Grimaldi, altra figura-chiave di quello che fu il “nuovo cinema italiano”; nello stesso anno usciva in sala Italia-Germania 4-3 di Andrea Barzini, tentativo di manifesto generazionale con l’evento calcistico come madeleine.

Il mondo narrativo di Notti magiche di Paolo Virzì è interamente generato da un’elaborazione drammaturgica di quel periodo, a partire dai protagonisti, tre giovani sceneggiatori che partecipano alla serata di premiazione del Solinas: un siciliano coltissimo, un toscano scanzonato, una romana introversa e di buona famiglia. L’azione si svolge durante l’estate dei mondiali di calcio del 1990 e la struttura è costituita da un cold open collocato nella notte del 3 luglio, durante la semifinale Italia-Argentina, quando un produttore cinematografico precipita con l’auto nel Tevere; l’interrogatorio di un carabiniere alle persone che hanno trascorso la serata con il produttore (i tre sceneggiatori) è la cornice entro la quale si inscrive il resoconto di quell’avvio di estate romana. In termini di matrice narrativa, Notti magiche rappresenta per Virzì l’ennesima esplorazione di una relazione disgiuntiva con lo spazio: il personaggio lascia l’ambiente d’origine, fa un percorso accidentato in un mondo straordinario, infine ritorna al punto di partenza.

Il narratore Virzì ha quasi sempre utilizzato questo schema, che ha molti pregi: la conflittualità drammaturgica (dunque il motore della storia) è garantita dalle differenze marcate tra il newcomer e il contesto; sia i caratteri sia gli ambienti sono esplorati da uno sguardo esterno e vivace, che li scopre per la prima volta; infine determina una dialettica negativa, che si sottrae alla sintesi, perché abbandonando il mondo straordinario il personaggio emette un giudizio definitivo sulla realtà sociale a cui non ha voluto appartenere. Quando la relazione disgiuntiva con l’ambiente originario interessa più personaggi, è possibile che uno dei due vada in fuga verso un luogo terzo: accade per esempio in Caterina va in città (Virzì, 2003), con la protagonista che da Roma torna a Montalto di Castro mentre suo padre si eclissa per girare il mondo in motocicletta (in Notti magiche il toscano torna a Piombino, il siciliano va a insegnare in Inghilterra).

La conflittualità qui interessa i tre nuovi arrivati (di fatto lo è anche, anagraficamente, la ragazza romana) e l’ambiente del cinema, popolato di figure che ne hanno fatto la storia: vi compaiono, alcuni trasfigurati altri no, Scarpelli, De Concini, Mastroianni, Fellini, Antonioni, ma anche corpi autentici, come quello di Ornella Muti, e poi produttori, politici, divi del piccolo schermo. Quella allestita da Virzì è una macchina del grottesco che trasforma la realtà storica: «Il presente sociale come deposito di mitologie accede ad immagine attraverso la costruzione di una galleria di maschere» (De Gaetano 2018).

In questa realtà trasfigurata, la relazione tra gli estranei e l’élite, seppur presentata come problematica, si presenta sotto l’egida di una continuità materiale, tecnologica e produttiva. I giovani sceneggiatori di Notti magiche telefonano dalle cabine a gettoni e battono sui tasti di macchine da scrivere portatili, proprio come i loro anziani maestri, e come loro hanno una fiducia assoluta nel cinema, ancora capace di fare da baluardo rispetto all’irruzione del grande nemico, la televisione. Si disegna dunque un secondo asse oppositivo che struttura una diversa partita di cui lo spettatore conosce già il risultato: come l’Argentina ha battuto l’Italia, così la televisione ha poi nel medio periodo ferito a morte (o ha gettato nel fiume) il cinema italiano. In questo senso Notti magiche si dispone fin dal principio sotto il segno della morte e della sconfitta, sebbene al premio Solinas i giovani sceneggiatori rincorrano una vittoria, per poi ritrovarsi in caserma, interrogati da un paterno tutore dell’ordine che sembra proprio estratto dalle tante fiction in divisa.

Rimane fortissima in Virzì la nostalgia per un cinema italiano che non c’è più, l’orgoglio non celato di essere artisticamente figlio di quei maestri, nell’ultimo passaggio di consegne avvenuto in un’epoca sentita molto più simile alla precedente che non a quella attuale. Virzì, considerato «uno dei pochi registi italiani che sia stato in grado di riprendere la tradizione della commedia all’italiana rileggendola in chiave contemporanea» (De Pascalis 2012), chiude il cerchio del proprio viaggio iniziatico tornando all’origine, al cospetto del mito-cinema. Nei grandi affreschi notturni di Virzì fotografati da Vladan Radovic c’è una Roma in cui ancora si muore per una specie d’amore, che non è quello per la forma cinematografica in sé, al netto del racconto come in Sorrentino; ma è quello per il cinema che sa raccontare storie: alla ricerca non di una grande bellezza, ma di una grande sceneggiatura.

Riferimenti bibliografici
G.P. Brunetta, Storia del cinema italiano. Dal miracolo economico agli anni novanta (1960-1993), vol. IV, Editori Riuniti, Roma 2001.
R. De Gaetano, Cinema italiano: forme, identità, stili di vita, Pellegrini, Cosenza 2018.
I. De Pascalis, Commedia nell’Italia contemporanea, Il Castoro, Milano 2012.
M. Sesti, Nuovo cinema italiano. Gli autori, i film, le idee, Theoria, Roma-Napoli 1994.
F. Zecca, a cura di, Lo spettacolo del reale. Il cinema di Paolo Virzì, Felici, Ghezzano 2011.

Share