La scomparsa di Marcel Detienne (Liegi 1935-Nemours 21 marzo 2019) priva le Scienze dell’Antichità di una figura di riferimento, capace per primo, a partire dagli anni sessanta quando apparve la sua prima opera (Homère, Hésiode et Pythagore: poésie et philosophie dans le pythagorisme ancien, 1962), di affiancare alla lettura tradizionale della storia antica – e di quella greca in particolare – un approccio religioso, antropologico e comparativistico. Detienne rompeva gli schemi classici fondati su un’analisi meticolosa dei fatti bellici, e apriva gli studi a strade per così dire “secondarie”, che privilegiavano la religione, ma soprattutto la vita quotidiana e le tradizioni.
Marcel Detienne fu professore e poi anche direttore fino al 1998 dell’École pratique des hautes études di Parigi, ricercatore presso il CNRS, quindi professore emerito dal 1992 anche della Johns Hopkins University. Influenzato dagli studi del noto antropologo Claude Lévi-Strauss, Detienne, unitamente a Jean-Pierre Vernant e Pierre Vidal-Naquet, vide nell’antropologia e nello strutturalismo due strumenti per dare una lettura nuova del mondo greco, del tutto differente da quelle apparse fino ad allora.
Invitato a parlare del maestro all’indomani della scomparsa, lo storico Christian Jacob ne ha sintetizzato in tre punti il magistero ritenendolo fondato su una grande conoscenza del mondo greco, un’antropologia mirata ad applicare e approfondire i metodi di indagine di Lévi-Strauss, il costante impiego di confronti tra culture differenti, da Atene alla lontana Arabia. Detienne fu “technicien de laboratoire qui a pratiqué un comparatisme expérimental”, secondo Jacob, che aggiunge: “Il me disait souvent, prenons quelques gouttes du Japon, d’Afrique, des cosaques d’Ukraine, mettons-les sur la Grèce et voyons ce qui se passe”. Che cosa ha rappresentato Marcel Detienne nel panorama degli studi sul mondo antico? Lo spiega in maniera chiarissima Maurizio Bettini sul Il Manifesto del 31 marzo scorso:
I suoi studi – rileva lo studioso, che riconosce l’influenza esercitata su di lui dal grande maestro belga – segnarono il progressivo ingresso dell’antropologia nello studio dell’antichità greca – salvo che, lungo il filo del tempo, l’antropologia tout court finirà per occupare quasi interamente la riflessione di Detienne, mentre il mondo greco assumerà il ruolo di un "comparabile" fra gli altri.
Anche se l’antropologia applicata alle scienze storiche aveva avuto degli antesignani in Germania con Heyne (1729-1812), in grado di combinare lo studio del mito con le teorie evoluzionistiche degli etnologi, e oltre un secolo dopo in Inghilterra prima con Frazer (1854-1941), autore de The Golden Bough: A Study in Magic and Religion, 1915, (Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione, 1925), poi con Dodds (1893-1979) autore de The Greeks and the Irrational 1951 (I Greci e l’Irrazionale, 1959 e recentemente, 2009, con introduzione di Maurizio Bettini), l’approccio di Detienne fu innovativo e non sempre accolto da applausi.
Non è certo un caso se i suoi studi – come del resto quelli di Vernant e Vidal-Naquet – pur suscitando discussioni e perplessità specie tra storici e filologi – siano stati tradotti in tante lingue, tra cui l’italiano, e sottoposti a continue ristampe. Di miti e fatti storici Detienne proponeva una narrazione che rompeva gli schemi e si opponeva tanto all’indagine filologica, quanto alla ricostruzione storica basata solo su ciò che era “realmente accaduto”. La sua era una visione che allargava gli orizzonti e volgeva l’indagine soprattutto verso eroi, divinità e personaggi mitici che con le loro storie rappresentavano la negazione di tradizioni consolidate legate al sacrificio, al matrimonio, all’alimentazione, all’eros.
Così la bellissima Atalanta diventava antitesi di un mondo che imponeva alla donna il matrimonio, dal momento che la ragazza preferiva mantenere il ruolo di cacciatrice invadendo un campo tradizionalmente appannaggio dei soli uomini, piuttosto che assumere quello di moglie e madre. Allo stesso modo il giovane e aitante Adone, accecato dall’amore e dalla passione verso Afrodite, finiva per perdere prima la virilità poi la stessa vita, trasformandosi in un anemone privo di profumo e incapace di dare frutti.
Procedendo all’analisi del mito, Detienne si disinteressava tanto della ricerca dell’archetipo cara ai filologi, quanto dell’individuazione di un preciso contesto di riferimento verso cui si appuntavano gli interessi degli storici. Riconoscendo come autonoma la tradizione mitica e, sul modello di Lévi-Strauss, ponendo ciascuna narrazione in rapporto a strutture più ampie che travalicavano il mondo greco, Detienne sapeva offrire del mito significati del tutto nuovi. Lo studioso non mancava a più riprese di esprimere questo concetto. Lo faceva, ad esempio, a chiusura della prefazione a una delle sue opere più fortunate, Dionysos mis à mort (Dioniso e la pantera profumata), nella quale rilevava che:
I veri problemi, nell’analisi dei miti, non si concentrano intorno alle illusioni del reale, di cui si pascono le pratiche di una storia tradizionale; essi riguardano la leggibilità di un testo, le relazioni tra ciò che un racconto mitico esplicitamente formula e i differenti gradi di sapere implicito che l’analista può e deve evocare a seconda che egli decida di ricondurre l’interpretazione entro i confini delimitati di un racconto privilegiato o, al contrario, di allargarla verso l’orizzonte, più o meno esteso, dell’insieme dei miti di cui una cultura dispone.
Alla base della propria indagine Detienne poneva sostanzialmente tre parole chiave: la prima era “confronto“, inteso come accostamento tra miti analoghi per la tematica trattata sia pur distanti per genesi; la seconda era “decifrazione” riferita ai contenuti semantici del mito stesso; la terza – strettamente legata alla precedente – era “contesto culturale“, vale a dire la piena comprensione delle tradizioni del popolo che aveva elaborato il mito. Sottoposto a questa lettura il mito perdeva il suo carattere di semplice narrazione per assumere quella di specchio di un orizzonte culturale più ampio.
Così ai già citati Atalanta e Adone, si potrebbero aggiungere Dioniso e Mirra, quest’ultima protagonista di un mito, nella cui analisi Detienne, superando la semplice storia di metamorfosi, prendeva in considerazione, lungo un orizzonte culturale più ampio che andava ben al di là del semplice uso della mirra nelle cerimonie religiose o nei banchetti, le conoscenze dei Greci nel campo della botanica e la rappresentazione che essi seppero dare di una pianta esotica a loro sostanzialmente ignota.
La capacità dello studioso belga di combinare l’uso delle piante e degli aromi a miti e rituali (questa lettura emerge soprattutto ne Les Jardins d’Adonis, 1972, I giardini di Adone, 1975) e di togliere alla Grecia e alla cultura della quale fu espressione il carattere di unicità ed esclusività – emblematica è l’idea di democrazia che lo studioso rintracciava in diverse altre culture oltre a quella greca – fa ancora oggi delle sue ricerche un punto di partenza ineludibile. Una lettura che, se per un verso demitizza il mondo greco, per un altro invita a porlo in un contesto culturale più ampio, nel quale esso appare come tessera di un mosaico ben più complesso e affascinante meritevole di essere preso in considerazione nella sua interezza.
Lasciando da parte l’idea che Grecia e cultura greca rimanessero primi, insuperati e insuperabili, Detienne ha saputo applicare ai miti numerosi filtri liberandoli dalle gabbie di interpretazioni settoriali che impedivano di “rilasciare” pienamente messaggi e informazioni. Presentandoli così nelle loro diverse stratificazioni semantiche in grado di valicare confini territoriali e cronologici, lo studioso ha suggerito per essi nuovi percorsi interpretativi aprendo orizzonti di ricerca nuovi e inimmaginabili e lasciandoci una lezione e un’eredità per molti versi ineludibile.
Riferimenti bibliografici
M. Bettini, Connettere culture, gli orizzonti di un maestro amico: Marcel Detienne, Il Manifesto, marzo 2019 (https://ilmanifesto.it/edizione/il-manifesto-del-31-03-2019/).
M. Detienne, Homère, Hésiode et Pythagore: poésie et philosophie dans le pythagorisme ancien, Latomus, Bruxelles 1962.
Id., Dioniso e la pantera profumata, Laterza, Bari-Roma 1983.
Id., I giardini di Adone, Cortina, Milano 2009.