Abel Gance aveva la vocazione del titano. Per tutta la vita cercò forsennatamente di superare i limiti imposti, cambiare le abitudini più inveterate, inventare un cinema nuovo anche al costo di rovinare i propri film. Prima di Gance la macchina da presa era fissa, tutto il movimento lo facevano gli attori andando e venendo su una scena che manteneva sempre le stesse proporzioni. L’attore agiva e la cinepresa restava a guardare. La decima sinfonia (1918) è il primo film in cui la cinepresa si muove. Il risultato è che lo spettatore tende a diventare uguale all’attore: “Finora lo spettatore è stato passivo, io voglio trasformarlo in attore. Non deve più guardare, ma partecipare all’azione, le sue emozioni devono prevalere sulle sue facoltà critiche”.
Per il suo Napoleone (1927) il regista polymechanos mette a punto una serie di congegni che servono ad esplorare tutte le possibilità del movimento: togliendo la cinepresa dal treppiede e mettendola sopra una piattaforma che si sposta in alto e in basso, Gance inventa il dolly; per le panoramiche durante le scene di massa viene fatta scorrere su un binario agganciato al soffitto, ma viene anche montata sopra slitte, cavalli, automobili, biciclette, barche, palloni sonda, e stretta con cinghie al petto degli operatori come si fa oggi con la steadycam. Lo sguardo dello spettatore avanza, arretra, scivola, ruota, oscilla, trema, striscia, vola, salta, precipita, conquista lo spazio consumandone interamente l’estensione. Per moltiplicare i punti di vista e creare uno sguardo totale Gance inventa il formato Polyvision: non uno ma tre schermi cinematografici sui quali proiettare più sequenze contemporaneamente.
Più che un film, Napoleone è un laboratorio al quale Gance lavorò fino alla fine dei suoi giorni, rimaneggiando la sceneggiatura e rifacendo il montaggio anche a molti anni di distanza. Quanti Napoleone esistono? A quanto pare furono girate circa dieci ore di film, ma nell’aprile del 1927 il pubblico della prima all’Opéra di Parigi vide una versione di tre ore e quaranta minuti. C’erano, tra gli altri, il presidente Gaston Doumergue, l’autore delle musiche Arthur Honegger, André Malraux e, ironia della sorte, il vecchio maresciallo Pétain seduto a poca distanza dal giovane capitano de Gaulle che finita la proiezione scattò in piedi abbandonandosi a scomposte manifestazioni di entusiasmo. Un mese dopo, al Teatro Apollo di Ginevra venne mostrata in due giornate una versione di nove ore, ma Gance non ne fu contento e pensò subito di accorciarla. Il film che vide il pubblico tedesco durava meno di tre ore, quello che arrivò negli Stati Uniti aveva una durata diversa a seconda delle scelte del distributore e dei proprietari di sala che spesso non capivano l’ordine delle bobine e tagliavano le scene a loro talento. Le manipolazioni che il film subì oltreoceano, ne fecero un clamoroso insuccesso e chiusero le porte dell’America a Gance che fortissimamente aveva voluto conquistare quel mercato. Nel 1935 Gance si mise in testa che doveva trasformare il suo capolavoro in un film sonoro, si richiamarono gli attori per registrare i dialoghi e vennero girate delle nuove sequenze. Il titolo diventa Napoléon Bonaparte vu et entendu par Abel Gance e il risultato è disastroso, però Gance non se ne accorse mai: incapace di lasciare le cose così come stanno e desideroso di riprenderle ogni volta da capo, con la sonorizzazione gli sembrava di aver fatto un passo avanti.
Nel frattempo, le pellicole delle prime visioni parigina e ginevrina erano scomparse e si dovette aspettare il 1970 per vedere al National Film Theater di Londra una versione di quasi cinque ore ricostruita da Kevin Brownlow, studioso e regista inglese che dedicò buona parte della sua vita al cinema di Gance. Questa versione di Napoleone è la prima di tre alle quali Brownlow lavorò fino agli anni Duemila facendo ricerche d’archivio nelle cineteche di mezzo mondo. Nello stesso periodo Gance stava lavorando a un rifacimento del film sonorizzato, che sarebbe diventato Bonaparte et la Révolution. Ancora una volta vennero girate nuove sequenze tra le quali una in cui Gance attore, sprezzante del ridicolo, riprende, quarantacinque anni dopo, il ruolo di Saint-Just. Nel 1981 Francis Ford Coppola editò una versione di quattro ore e mezza, aggiungendo la musica sinfonica del padre Carmine e facendola eseguire dal vivo. Da New York telefonarono a Gance nonagenario per fargli ascoltare gli applausi scroscianti del pubblico a fine proiezione, una piccola e tardiva consolazione per il fiasco americano di tanti anni prima.
Quella che ho visto il 4 e il 5 luglio in un auditorium sulle rive della Senna è ufficialmente la ventiduesima versione del film, è stata ricostruita da Georges Mourier che ci lavorato per più di dieci anni e dura sette ore, ma c’è da scommettere che non sarà l’ultima perché la storia di Napoleone è un po’ come la fiera dell’Est, potrebbe non finire mai.
I film di Gance tendono ad avere dimensioni eccessive: Per la patria (1919) tre ore e cinquanta minuti, La rosa sulle rotaie (1923) nove ore di girato ridotte a quattro ore e mezza, Un grande amore di Beethoven (1936) tredici bobine. Ma Napoleone è un caso a parte, basti pensare che è soltanto il primo di un ciclo di sei film che dovevano coprire l’intera la vita dell’eroe, dal collegio militare di Brienne fino a Sant’Elena. I costi sproporzionati della realizzazione, l’arrivo del sonoro (l’unica tecnica che Gance non riuscì a padroneggiare, forse perché non l’aveva inventata lui), la sfiducia dei produttori verso i progetti troppo ambiziosi, risultarono fatali e il primo film – che si chiude all’inizio della campagna d’Italia – divenne anche l’ultimo.
Gli aneddoti sulla lavorazione di Napoleone si sprecano e sono tutti nel segno della catastrofe sfiorata. Una foga da lavoro ai limiti del fanatismo ebbe come conseguenza decine di feriti – soprattutto nei due mesi delle riprese in Corsica, dove l’attore che faceva Napoleone rischiò di affogare – e anche un morto. Una volta negli studi di Billancourt scoppiò un barilotto di magnesio e le fiamme investirono nove persone tra cui Gance che rimase gravemente ustionato. Gance girava i film come si fanno le campagne militari e l’eccentricità di Napoleone rispetto a qualsiasi buon senso cinematografico si capisce anche dal modo in cui si rivolgeva alla troupe: “Dovete trovare in voi stessi la passione, la follia, l’esperienza e l’abnegazione dei soldati dell’anno II. Io chiedo, anzi esigo da voi che dimentichiate ogni meschinità e tornaconto personale e manifestiate la dedizione più assoluta”. Il limite inaggirabile del cinema è essere un lavoro collettivo che costringe il regista a fare continui compromessi, raccomandarsi, negoziare, brigare, e troppe cose rischiano di sfuggire alle sue decisioni, soprattutto quando, come in questo caso, sono coinvolte migliaia di comparse, duecento tecnici, più di cento attori, diciotto cineprese, otto operatori e sei produttori di sei paesi differenti. La volontà di controllo totale di cui Gance diede prova in questa occasione, fa di Napoleone qualcosa di più e diverso da un film.
Il fluido di Abel Gance, ammirabile conduttore d’uomini – scrive un testimone – elettrizzava queste masse. Il regista sapeva fare musica con i loro nervi come il direttore con la sua orchestra. Se il giorno della Rivoluzione, Abel Gance avesse avuto ai suoi ordini queste diecimila comparse inebriate di storia e con l’animo stordito dall’ebrezza di obbedire, avrebbe potuto benissimo scagliarle all’assalto di qualsiasi ostacolo, far loro invadere Palazzo Bourbon o l’Eliseo e farsi proclamare dittatore.
Per capire cosa vuol dire sfondare i limiti del cinema, bisogna guardare la scena ambientata dentro il convento dei Cordiglieri che i rivoluzionari hanno trasformato in assemblea permanente, dove arriva Rouget de Lisle che consegna a Danton lo spartito della Marsigliese. Rouget de Lisle e Danton dal pulpito, a turno, fanno imparare ai francesi i versi del futuro inno nazionale. A poco a poco dalle immagini nasce un’onda musicale che cresce cresce cresce fino a travolgere tutto; quando l’assemblea intona il canto per seconda volta, la musica inaudibile esplode in un montaggio contrappuntistico che sovrappone i volti della folla frenetizzata, i pilastri del convento fatti vibrare dalla luce delle vetrate, le fiamme della rivoluzione, una Marianna-Valchiria che brandisce il gladio, e Danton trasfigurato nel Cristo ligneo nascosto sotto un drappo tricolore che il vento del parossismo ha sollevato. Il cinema sfonda i propri limiti quando cava il sangue dalle rape e riesce a far cantare le immagini mute. Anche la vita, ogni tanto, è capace di questi autosuperamenti: una conversazione al calor bianco non è più una conversazione ma una rissa oppure un bacio. Però succede così di rado, che ogni tanto chiediamo aiuto al cinema. Se nemmeno il cinema è abbastanza, per fortuna esiste il Napoleone di Abel Gance.