La politica è un serial o i serial aiutano a entrare in politica? Nella serie Amazon Vita da Carlo (2021) il comico romano Carlo Verdone si ritrova in una strana situazione: dopo un incidente stradale causato da una buca, arringa un capannello di persone sfogandosi contro lo stato di degrado in cui versa la capitale; il video registrato da un passante finisce in rete, diventa virale e ben presto Carlo riceve la proposta di candidarsi a sindaco di Roma. Una storia dell’epoca del populismo mediatico, che però non è originale: Verdone la prende dall’Ucraina, dove la serie Sluha Narodu – per gli spettatori Netflix Servant of the People – ha spopolato in tre stagioni (2015-2019), col risultato di far diventare una star il già celebre comico televisivo Volodymyr Zelensky (fra l’altro vincitore di un’edizione ucraina del format Ballando con le stelle) per poi proiettarlo direttamente nel mondo politico reale, dove attualmente ricopre lo scomodo ruolo di Presidente dell’Ucraina invasa dall’esercito russo.
In Sluha Narodu Zelensky interpreta il ruolo di Vasil Petrovitch Goloborodko, un insegnante di storia squattrinato e divorziato che a causa del salario misero è costretto a tornare a vivere a casa dei genitori. Vasil è disordinato, dorme con il busto di Napoleone alla testa del letto, si addormenta leggendo Plutarco e sogna dialoghi tra questi ed Erodoto; i due storiografi descrivono l’Ucraina come una finta democrazia, un paese ricco di grano e petrolio che però è sempre a rischio default a causa della casta e degli oligarchi, anche se già i comunisti rubavano come i politici della desovietizzazione. L’identikit dell’insegnante è quello di un anonimo giovane qualunque che non è mai stato iscritto a un partito politico né mai ha partecipato a manifestazioni di piazza (“nemmeno quelle finte” dirà il detective addetto al suo dossier). Stanco per i piccoli soprusi quotidiani, un giorno viene ripreso di nascosto da uno studente mentre si lamenta per lo stato in cui versa l’Ucraina. Lo sfogo, espresso con un linguaggio molto colorito (imparentato con quello dei militanti del Vaffanculo-Day), riguarda gli errori sempre identici commessi dai politici, la prassi di non considerare utile lo studio delle materie umanistiche, la politica composta interamente da ladri e il disinteresse degli elettori.
Il video diventa virale e trova consenso diffuso: la gente comune pensa come lui, parla come lui, sperimenta quotidianamente le medesime problematiche e così – dopo una campagna gestita dai suoi studenti e in cui quell’unico video prende il posto dei tradizionali comizi – Vasil Petrovitch Goloborodko vince le elezioni a furor di popolo (quasi 70% di preferenze). Una volta diventato Presidente dell’Ucraina, il nostro tenterà in ogni modo di contrastare la corruzione della politica, gli sperperi di denaro pubblico, le ingerenze degli oligarchi, dell’Occidente e del Cremlino (sono diverse le ironie contro i russi compresi i rimandi ad alcuni canti popolari ucraini anti Putin), mostrandosi fortemente a disagio con la prassi occidentale che vuole i politici addestrati da ghostwriter e spin doctor. La scena più famosa è quella in cui il presidente populista, in piena seduta parlamentare, prende delle mitragliette e spara sui politici della casta: un uomo solo al comando della rottamazione – e, contemporaneamente, un attore “servitore del popolo” (beniamino del pubblico) che consegna un personaggio “servitore del popolo” (come altrove “avvocato del popolo”) all’immaginario collettivo.
Di attori/attrici che hanno trasformato la loro popolarità (o la loro capacità interpretativa) in potere carismatico è piena la storia del Novecento, da Evita Perón (comparsa teatrale, annunciatrice radiofonica, qualche soap opera e qualche film prima d’incontrare l’uomo che la fa diventare first lady dell’Argentina dal 1946 al 1952) a Ronald Reagan (cronista radiofonico, molti b-movies dal 1937 al 1964 – l’ultimo diretto da Don Siegel – e poi governatore della California decenni prima di Schwarzenegger, conduttore televisivo e infine presidente degli Stati Uniti d’America). La punta di un iceberg promocratico che ha fatto lanciare l’allarme tanto a un giornalista-sociologo come Vance Packard (I persuasori occulti, 1957, ha molte pagine dedicate al nuovo marketing politico, tirando in causa anche il giovane Richard Nixon) quanto a un drammaturgo del livello di Arthur Miller (I presidenti americani e l’arte di recitare, Bruno Mondadori 2004). Negli ultimi decenni è aumentato il ruolo promocratico della televisione, come ben sanno tanto gl’italiani (si pensi solo al comico Beppe Grillo che inventa un movimento anti-politico capace di diventare partito di governo) quanto gli americani (che nel 2017 hanno eletto come presidente degli Stati Uniti l’imprenditore miliardario Donald Trump, produttore e conduttore del popolare reality The Apprentice dal 2004 al 2015, peraltro comparso in vari serial compreso Sex and the City). Ma il caso di Volodymyr Zelensky è del tutto particolare, configurandosi come una profezia che si autoavvera.
Il 31 marzo 2018 Studio Kvartal 95, la casa di produzione televisiva fondata nel 2003 da Zelensky (assieme a Shefir Serhiy e Shefir Boris, nomi che torneranno nei Pandora Papers) e responsabile di vari successi d’ascolto (Vecherniy Kvartal, Svaty e ovviamente Sluha Narodu), registra il marchio Sluha Narodu come nome di un partito fondato da Zelensky e Ivan Bakanov (CEO di Kvartal 95). La pubblicità per la terza stagione del serial diventa automaticamente pubblicità per l’omonimo partito, che presenta il “servitore del popolo” (personaggio politico che diventa attore politico) come candidato alle presidenziali del 2019. La realtà supera la fantasia che supera la realtà, con Zelensky che ottiene il 73% proprio come il suo doppio Goloborodko. Il neo presidente dell’Ucraina nel discorso d’insediamento scherza: “Negli anni passati vi ho fatto ridere, nei prossimi spero di non farvi piangere”. Come nella migliore tradizione berlusconiana, gli uomini di Kvartal 95 entrano nei posti chiave del governo, l’amico d’infanzia Ivan Bakanov diventa capo dei servizi di sicurezza. Il resto lo raccontano i giornalisti politici.
La guerra di Putin fa irrompere il Reale lacaniano in una Ucraina da sitcom; cosa succederà adesso? Chissà se Zelensky ha mai visto Il generale Della Rovere (1959) di Rossellini dove il cinico simulatore finisce con l’introiettare il suo personaggio eroico fino al sacrificio. Chissà se ha mai visto Kagemusha (1980) di Kurosawa, dove il sosia del condottiero morto pronuncia l’enigmatica frase: “Una montagna non si muove”. Nella definitiva società dello spettacolo – quella in cui il vero è un momento del falso ma anche viceversa – la storia si ripete sempre due volte ma eventualmente in questa variante: la prima come serial drama, la seconda come tragedia.