Miss Marx, inquadrata in primo piano, confessa al marito di non essere mai stata felice con lui, come non lo è stata con il padre. Di aver pensato solo a compiacerlo, e di sentirsi cercata solo per questo. Passata da figlia a moglie senza essere mai cresciuta.

Il campo si allarga e vediamo che si tratta di una piccola scena teatrale dove Eleanor Marx, ultima delle figlie di Karl, insieme al suo compagno Edward Aveling (di fatto marito) recitano Casa di bambola di Ibsen, adattata dalla stessa Eleanor, e recitata davanti ad un piccolo gruppo di spettatori. Alla fine della rappresentazione, il marito e un suo amico, conversando con Eleanor dicono che forse sarebbe stato meglio risolvere il problema di Nora Helmer facendola suicidare come Emma Bovary (testo tradotto dalla stessa Eleanor) piuttosto che farle abbandonare casa. È la scena chiave del film, quella che rivela il senso di un’opera di grande forza e originalità, nonché la maturità di un’autrice tra le più importanti del nostro cinema.

La scena ci dice che la presa di coscienza passa solo per una messa in scena, per una finzione, prima di nascondersi nuovamente nei recessi dell’io, orientandone il comportamento, mai all’altezza dell’ideale di cui parla. Un soggetto che manca sempre del necessario coraggio per portare alla luce la verità (che la piccola Eleanor confessa – nel finale – di considerare la via d’accesso alla felicità). E di ideali ce ne sono tanti nel film, e quando sono pubblici prendono il nome di ideologia. La cui capacità di mascherare la realtà – lo sappiamo proprio da Marx – è notevole.

Questi ideali sono affidati alla potenza del discorso che li costruisce, e che è presente nel film fin dalla prima scena. Vediamo Eleanor al funerale del padre che ricorda la grande storia d’amore avuta con la madre. Immagine ideale dei genitori che crollerà quando scoprirà, anni dopo da Engels morente, che il figlio della governante è figlio illegittimo di Karl Marx, di cui era a conoscenza anche la moglie (tant’è che i tre saranno seppelliti insieme nella stessa tomba).

La potenza mistificatrice dell’ideale, che maschera illusoriamente la verità, attraverserà soprattutto il rapporto di Eleanor con Edward, scrittore squattrinato e sostenitore della causa socialista, di cui lei è innamorata e di fronte al quale si pone nella condizione di donna illusa che nasconde (non dicendolo) ciò che sa: il narcisismo misero dell’uomo (come le dice l’amica) incapace di vedere altro che se stesso. Ha diverse amanti, perfino nuove mogli (con matrimoni falsi, contratti con nome d’arte), continua a chiedere soldi in prestito a tutti, mettendo in grande difficoltà Eleanor. Ma anche lui, quando è stato il momento, nell’oratoria di un discorso pubblico ha parlato del grande anelito di libertà del poeta Shelley, ha accompagnato Eleanor nel viaggio americano incontrando operai e allevatori, trovando sempre le parole giuste per sostenere gli ideali socialisti.

L’idealità delle illusioni inibisce l’accesso alla verità del soggetto, lo sospende in un universo infantile, lo assorbe nel desiderio altrui di rispecchiamento narcisistico.

E dunque l’emancipazione, sbandierata in molti discorsi, delle classi subalterne, delle donne, da ogni condizione di asservimento, non si traduce mai in effettiva azione emancipativa. E se è vero che il matrimonio è una “istituzione vetusta”, è altrettanto vero che un amore giovanile di Eleanor per un uomo molto più grande di lei viene osteggiato dal padre che la insegue fino a Brighton.

La vita è una forma dove l’incrostarsi delle consuetudini e la spinta degli interessi dominano i continui processi di idealizzazione che soggetti e comunità fanno. Se per la salubrità degli ambienti di lavoro è opportuno lasciare le finestre aperte, gli operai lo rifiutano, sentono freddo, se il lavoro minorile è da abolire, i “bambini comunque ci servono” le dice un operaio.

La realtà della vita è sempre più opaca rispetto alla trasparenza degli ideali, che se astrattamente assorbiti rendono il soggetto evanescente, senza radicamento al suolo, e con il rischio reale di eclissarsi, di abbandonare il mondo, come farà Miss Marx nel finale.

Questa frattura tra illusioni e cruda realtà (centrale in tutto l’Ottocento, pensiamo a Leopardi) struttura letteralmente il personaggio di Eleanor, che vuole continuare ad illudersi perché quel mondo abitato dall’ombra altrui, proiettata dagli uomini della sua vita (il padre e la sua eredità, il compagno e il suo presente), è l’unico in cui di fatto è capace di vivere. Quando quelle ombre si dissolvono, lei scompare con loro, non ha più vita.

Ma come raccontare tutto questo? Come scartare da questa dualità stringente tra illusioni e realtà bruta?

Qui il film utilizza due strade espressivamente potenti: da un lato la musica rock che opera uno scarto rispetto alla verosimiglianza rappresentativa, e dall’altro il ricorso alle immagini d’archivio (che in un caso addirittura riguardano proteste della seconda metà del Novecento).

Se la musica inserisce un registro immediatamente ironico, mettendo a distanza la rappresentazione, evitando così che sia fraintesa come il mero racconto della crisi di una nota donna borghese in epoca vittoriana, il montaggio di immagini d’archivio immette la storia in uno sfondo sociale più ampio (operazione analoga al Martin Eden di Marcello) che sottrae al racconto del destino di una donna ogni possibilità di illusoria e melodrammatica identificazione.

Se è vero che il metodo per sottomettere è la forza – come dice Miss Marx – è altrettanto vero che il modo per emanciparsi è la forma che di quelle forze tiene conto, senza piegarsi a illusorie idealità o a ciniche rese.

Il registro ironico è sicuramente la via intrapresa da molti grandi autori della contemporaneità, che la incrociano anche con uno sguardo archeologico al passato (pensiamo a Maria Antonietta di Sofia Coppola).

Ma l’originalità di Miss Marx sta nel non utilizzare il personaggio come intercessore di questa forma espressiva (Eleanor non è ironica), costringendo così il lavoro della forma ad assumersi un peso e un rischio notevoli. Qui felicemente risolti.

In assenza di ironia, il peso degli ideali schiaccia il soggetto in un perimetro moralmente soffocante, dove lo strato emotivo è incapace di trovare espressione compiuta e di mantenersi saldo nel crollo di ogni astratta idealità.

Questo scarto tra parole e cose, enunciati e corpi, trova nel finale un passaggio splendido nel ballo isterico di Eleanor sotto l’effetto dell’oppio. La forma, sempre controllata, è trascinata da forze convulse. Non sarà mai più in grado di ricomporsi.

Miss Marx. Regia: Susanna Nicchiarelli; fotografia: Crystel Fournier; montaggio: Stefano Cravero; scenografia: Alessandro Vannucci, Igor Gabriel; costumi: Massimo Cantini Parrini; musica: Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo, Downtown Boys; interpreti: Romola Garai, John Gordon Sinclair, Philip Gröning;  produzione: Vivo film, Rai Cinema, Tarantula, VOO, BeTV; origine: Italia, Belgio; durata: 107′.

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