Nell’articolo che apre una sezione speciale dei Cahiers du Cinéma dedicata all’ultimo film di Francis Ford Coppola, il direttore Marcos Uzal si riallinea alla tradizione della rivista francese citando quanto Serge Daney scrisse a proposito di Rusty il selvaggio, la famosa metafora del flipper: «Vedere un film di Coppola», scriveva Daney, «è come trovarsi davanti a un nuovo flipper. […] Come funziona? Dove sono i bumpers, i colori, gli spazi liberi, le cifre, le palle perse o quelle supplementari, gli special? Che rumore fa? Come si fa a vincere?» (Daney 1999, p. 192).
Concepito come opera totale all’indomani di Apocalypse Now, Megalopolis ha avuto una gestazione lunghissima; fin dall’inizio l’idea viene descritta da Coppola come «un’epopea romana ambientata nell’America moderna». Il protagonista è Catilina (Adam Driver), un uomo del futuro ma ossessionato dal passato, un architetto dotato di ambizione e talento smisurati, che vive e lavora all’ultimo piano del Chrysler Building in una città chiamata New Rome. Dopo aver sintetizzato un composto che è in grado di assumere qualsiasi forma e anche di rigenerare i tessuti morti, Catilina lavora a un grande progetto di riqualificazione urbana che cambierà il volto della città di New Rome. Ad opporsi strenuamente al costoso progetto è il sindaco Cicerone (Giancarlo Esposito), la cui figlia (Nathalie Emmanuel) si innamora di Catilina; alla contrapposizione pubblica si somma un conflitto privato, senza esclusione di colpi e con il coinvolgimento di altri soggetti con mire non limpide: un’anchorwoman senza scrupoli (Aubrey Plaza), un giovane politico populista (Shia LaBeouf), un banchiere lussurioso (Jon Voight), uno spregiudicato fiancheggiatore del sindaco (Dustin Hoffman).
Tutto ciò ci dice soltanto, per usare i termini di Daney, che Megalopolis è un flipper «classico», cioè un film caratterizzato da una struttura causale con personaggi che perseguono obiettivi e sono destinati a confliggere gli uni con gli altri. Si tratta però di un flipper che cita ripetutamente ed esplicitamente altri oggetti estetici precedenti, da Metropolis di Fritz Lang a Preferisco l’ascensore! con Harold Lloyd; il regista stesso ha fornito una lista di venti influenze cinematografiche sul sito letterboxd.
Senza necessariamente andare a riconoscere tutte le fonti del film, si potrebbe dire che tanto la sceneggiatura quanto la scenografia sono un florilegio di citazioni o di giochi enigmistici. A titolo di esempio letterario: i personaggi parlano con le parole di Shakespeare, di Saffo, di Marco Aurelio, di Marco Tullio Cicerone. A livello scenografico, la visione della città è disseminata di citazioni che vanno dall’architettura organica ad Archigram per arrivare all’utopia pragmatica di Bjarke Ingels; ma ci sono anche piccoli rebus per lo spettatore enigmista, come l’automobile di Catilina, la Citroën DS prodotta fra il 1955 e il 1975, da sempre venerata come oggetto di design, con l’acronimo DS che si può leggere “déesse” cioè dea, in un film popolato di divinità, a partire dai divi stessi che lo interpretano.
Fin qui abbiamo descritto un film ipercitazionista, favolistico ma incline alla sola versione riproduttiva dell’immaginazione, un film in cui i personaggi parlano con le parole della letteratura occidentale e si muovono a fatica tra oggetti selezionati da un repertorio. In realtà questo è solo il campo da gioco, la superficie del flipper, non il suo funzionamento profondo. Proviamo allora a dire qualcosa sull’intenzione tematica di questo spettacolare e riassuntivo allestimento di immagini e suoni. Megalopolis è un film sulla creatività, sui suoi costi umani e sociali, sulla sua necessità morale; un film sul nesso etico-estetico e sulla inesauribile dialettica tra potere inteso come controllo dello spazio e la sua spinta antagonista, che non è l’assenza di potere ma un contro-potere che lavora incontrollato. L’esito di questa dialettica, nel film di Coppola, è la sintesi, lo hieròs gámos, il matrimonio degli dèi e la nascita di un nuovo “bambino delle stelle”.
Tentiamo di mettere ordine in questa torrenziale ricchezza tematica e agganciamola al mondo narrativo del film. Cominciamo dalla considerazione del superpotere di Catilina, fermare il tempo. Storicamente, fermare il tempo vuol dire annunciare l’epoca dello spazio, produrre un’estensione ontologica, imporre uno spatial turn; questo è l’obiettivo di Catilina di fronte alle forze del tempo che sono le forze storiche della conservazione. Il film rappresenta il governo dello spazio attraverso un atteggiamento che possiamo definire topocratico, una postura molto territoriale che la macchina da presa restituisce attraverso le angolazioni dall’alto, plongée o addirittura zenitali. Sono gli atteggiamenti che l’artista-urbanista assume dal paradigmatico vantage point della sommità del grattacielo Chrysler; ma sono anche gli atteggiamenti assunti dai suoi oppositori durante la presentazione del plastico di New Rome, collocato in basso rispetto a una struttura lignea sopraelevata dalla quale tutti i personaggi osservano e criticano ciò che è, letteralmente, sotto i loro occhi.
Il controllo si traduce anche nell’acquisizione e nell’uso fraudolento di informazioni e immagini, come quando Catilina è accusato di aver intrattenuto una relazione sessuale con una minorenne; qui è sotto attacco lo spazio privato, messo sotto controllo dai dispositivi e riconfigurato ad arte. Tutti ritengono di poter controllare, governare lo spazio, di territorializzarlo o estetizzarlo, sottoporlo a un giudizio etico o edonico. Ma l’atto creativo ha una parte regolata e una parte sregolata, ce lo dice anzitutto Emilio Garroni quando parla di «creatività secondo regole», spiegando che «la creatività artistica si esplica nella forma di un gioco puramente costruttivo – in certi casi una semplice combinatoria – sotto le condizioni di una legalità generale» (Garroni 2024, p. 143). In sostanza, lo spazio del flipper ha una parte ludica combinatoria, nel senso che assembla parti preesistenti in un nuovo allestimento; ma questo in un quadro di regole di funzionamento.
Avverte Garroni che il gioco «può essere di volta in volta più o meno ludico, più o meno pratico-comunicativo, dall’estremo della musica pura o della pittura non figurativa fino all’architettura finalizzata» (ibidem). Un gioco, quello urbanistico, che produce un oggetto di apprezzamento estetico (una bella città) ma anche uno spazio correttamente strutturato per le forme di vita (una città giusta). Dunque gli atteggiamenti spaziali di Catilina rispetto a New Rome – una città verticale che vuol farsi orizzontale, offrirsi all’attraversamento di flussi pedonali fluidi come l’acqua – sono il sintomo non già di una volontà di dominio, ma di un’istanza creativa che oscilla tra controllo dello spazio e perdita di controllo (in tutte le sue forme, dalla sofferenza all’ebbrezza), tra la visione della città com’è e come potrebbe essere. Come scrive Stefano Velotti in Sotto la soglia del controllo:
Senza una certa misura e forma di controllo del proprio ambiente e di sé stesso nessun organismo vivente potrebbe sopravvivere o agire, e nessuna macchina – dotata di una certa complessità – potrebbe funzionare. In un certo senso, possiamo rilevare forme di controllo in tutta la storia dell’umanità nel suo intreccio essenziale con la tecnologia, e dei viventi in genere.
Se esercitare un controllo sull’ambiente significa selezionarne alcune caratteristiche in base a certi parametri e reagire nella maniera più adatta per modificare la propria prestazione, "avere il controllo" […] è inteso anche come sinonimo di libertà, autodeterminazione, autonomia (Velotti 2024, p. 14).
La topocrazia, l’atteggiamento di controllo dello spazio come tale o dell’ambiente con le sue azioni, o del territorio con i suoi confini, o ancora del luogo con le sue tradizioni, o infine dell’atmosfera con i suoi sentimenti, è l’atteggiamento prevalente in Megalopolis perché il film di Coppola è il racconto (o la favola) della sopravvivenza (si conclude con nascita e matrimonio). Le radici della New Rome nell’antica Roma sono giustificate dal fatto che le forme di controllo attraversano tutta la storia dell’umanità. La figura di Catilina, che è anche Driver e dunque pilota, è l’esempio di qualcuno che mantiene il controllo non nel senso della sopraffazione ma in quello della libertà creativa, della visionarietà e della topothesia (l’atto di porre il luogo), della libertà di scegliere il percorso che ci porta a continuare a esistere.
Allora Megalopolis ci appare come il flipper che è, un campo di forze individuato dalle pratiche artistiche, «un rilancio continuo, senza fine», nelle parole di Velotti, «tra ciò che i soggetti possono controllare e la dimensione dell’incontrollabile in cui sono immersi» (ivi, p. 43).
Riferimenti bibliografici
S. Daney, Ciné journal, Fondazione Scuola Nazionale di Cinema, 1999.
E. Garroni, Creatività, Quodlibet, 2024.
M. Uzal, Dix milles esquisses. Megalopolis de Francis Ford Coppola, in “Cahiers du Cinéma” n. 821, 2024.
S. Velotti, Sotto la soglia del controllo. Pratiche artistiche e forme di vita, Laterza, Bari 2024.
Megalopolis. Regia: Francis Ford Coppola; sceneggiatura: Francis Ford Coppola; fotografia: Mihai Mălaimare Jr.; montaggio: Cam McLauchlin, Glen Scantlebury, Robert Schafer; musiche: Osvaldo Golijov, Grace VanderWaal; interpreti: Adam Driver, Giancarlo Esposito, Nathalie Emmanuel, Aubrey Plaza produzione: American Zoetrope, Lionsgate; origine: Stati Uniti; durata: 138’; anno: 2024.