Per essere innamorati, basta trovarsi nella stessa stanza: attraverso lo sguardo di Alma – voce narrante di Magari, opera prima di Ginevra Elkann – riscopriamo la chiarezza delle cose semplici e riflettiamo su quanto sia facile lasciare che, con il passare degli anni, l’amore diventi una questione complicata, fonte di dubbi e ripensamenti, di aspettative e monologhi interiori. C’è ancora una parte di noi in cui è conservata la prima immagine a cui abbiamo attribuito amore? Riusciamo a ricordare almeno una delle domande che abbiamo riservato alla comprensione di questo oggetto ambiguo? Quando si decide di innamorarsi, come ci si sposa, perché ci si lascia: ecco gli interrogativi più comuni che appaiono velocemente nella mente dei bambini, attraverso un ritmo tanto forsennato da non permettere nemmeno di chiedere risposte certe ai grandi. A prescindere dalle possibili risonanze biografiche, Magari allude continuamente a un secondo piano, a un fuori-testo che non viene del tutto chiarito nella sua complessità. In questa doppia narrazione, domina il carattere sfacciato dello sguardo dell’infanzia, che filtra soprattutto dalla voce di Alma.
Alcune coordinate: anni novanta, un divorzio (Charlotte a Parigi, Carlo a Roma), due cani (Dalidà e Tenco), tre figli (Seb di quattordici anni, Jean di dodici e Alma di nove). Charlotte (Céline Sallette) aspetta un bambino dal nuovo compagno e, d’accordo con Carlo (Riccardo Scamarcio), decide che i figli passino le vacanze di Natale con lui, sebbene non si incontrino da un paio di anni. Si tratta, quindi, di un nucleo familiare in cui le parti materna e paterna sono separate anche da un punto di vista geografico, secondo una polarità che la bambina mette ben in luce già dalle prime battute (“Nostra madre è sempre innamorata di qualcosa o di qualcuno. Con papà faceva l’artista e vivevamo a Roma, con Pavel fa la suora e viviamo qui”).
Gli unici spazi in cui queste parti non smettono di presentificarsi e convivere sono proprio i pensieri di Alma (Oro De Commarque): il suo personaggio innesca un meccanismo finzionale in cui la fantasia non sostituisce la realtà, ma la trasforma, attribuendo precisi significati alle vicinanze fra i corpi e alle parole, significati che sono del tutto coerenti con la rappresentazione interna del suo mondo. Di fatto, la bambina inquadra per la prima volta i genitori in uno stesso spazio visivo durante la vacanza in Italia, quando la madre li raggiunge a seguito di un imprevisto. Prima di questo momento, Alma non li aveva mai visti l’uno accanto all’altra, se non nella striscia verticale di fototessere che ripone sul cuscino ogni sera prima di addormentarsi. Dagli altri (anche se probabilmente è stata lei stessa a immaginare), ha saputo che Charlotte e Carlo erano stati felici e bellissimi, ma di questo non può ricordare perché quando aveva soltanto un anno, l’amore già non c’era più.
Non trattenendo nella memoria un ricordo reale che possa controbilanciare il peso della sua fantasia, Alma si rifugia in quel «regno libero delle visioni» che è in grado di «strapparci dalla necessità del reale» (Barbero 2019, pp. 8-9). In un processo di ricomposizione, la voce fuori campo completa le sequenze di immagini, le spiega e conferisce loro una disposizione, mostrando lo scarto temporale tra storia e racconto. Nel dispiegarsi di una sovrapposizione fra tre piani – visuale, immaginativo e discorsivo – ogni gesto è una contromossa, la risposta di un personaggio all’azione di un altro personaggio. In questo senso, la struttura di Magari è geometricamente affine a quella di un segmento: per passare dal punto iniziale al punto finale, c’è una sola strada da percorrere e tutti gli eventi descritti tendono alla riproduzione di questo ordine, ruotando attorno a un tema principale.
Magari parla di amore, attraverso una prospettiva decentrata e tenera: non un rapporto tra persone ma un sistema fondato su una molteplicità di affetti. Così, per Alma, l’amore diventa la promessa di avere una casa stabile e giusta, una struttura all’interno della quale sentirsi accolta. In questo desiderio, ritroviamo una sottile eco che rimanda al senso dell’essere sistemati, così come ne parla Roland Barthes nei Frammenti di un discorso amoroso: «Ciò che invidio nel sistema è una cosa assai modesta (e tanto più paradossale in quanto essa non ha risonanza): molto semplicemente, io voglio, io desidero una struttura» (Barthes 1979, p. 188) perché «ogni struttura è abitabile» (ivi, p. 189). E cos’altro chiede Alma, se non questo? Un posto in cui atterrare con gli abiti adeguati, conformi alla stagione e al paesaggio. Non la Francia in cui le regole della religione ortodossa le impediscono di mangiare prima di fare la comunione; non l’Italia in cui ha gli scarponi da sci per andare al mare; non il Canada in cui troverà gli orsi grizzly.
Quando la bambina immagina l’amore fra due persone soltanto, visualizza sempre un medesimo scenario, molto classico: un fondale bucolico posticcio, due vasi di fiori, moquette rossa e, al centro di tutto, l’uomo con lo smoking e la donna vestita di bianco. Nella prima cartolina animata, ci sono i suoi genitori – lei è seduta e lui è in piedi; nella seconda ci sono Carlo e Benedetta (Alba Rohrwacher), la sceneggiatrice del film che il padre sta scrivendo – amante o amica oppure amante e amica, non è importante dare definizioni –, sono entrambi seduti, lui fa una smorfia spazzando via il fumo di una sigaretta ma poi si guardano e sorridono; nella terza ci sono Alma e Marco, uno dei ragazzi conosciuti in paese, lei gli sbatte i fiori in faccia per scherzo.
Come Benedetta suggerisce a Carlo, l’amore che deve essere al centro del suo film è “un amore necessario che non fa domande”, è un sentimento che vive per il corpo, che è in grado di sottomettere tutto ciò che avviene, di renderlo subalterno, periferico perché è essenziale, proprio come viene evocato dai versi di Patrizia Cavalli letti da Rohrwacher: «È tutto così semplice, / sì, era così semplice, / è tale l’evidenza / che quasi non ci credo. / A questo serve il corpo: / mi tocchi o non mi tocchi, / mi abbracci o mi allontani. / Il resto è per i pazzi» (Cavalli 2006).
Oltre ai gesti che mettono in rapporto un corpo con un altro, non c’è niente: si entra realmente nel discorso dell’amore, soltanto quando si decide di fare qualcosa di concreto, nei confronti del corpo dell’altra o dell’altro, oppure di farsi da parte. Al contrario, i pazzi sono coloro che dissimulano i gesti con le parole, che intrecciano le mani dietro alla schiena. Il riconoscimento di qualcosa di semplice sovverte il discorso comune: si può dire l’amore perché questo chiede il corpo. Già nel titolo, Magari descrive il nostro elusivo rapporto con la realtà: per ogni corpo che viene toccato, c’è un corpo che viene allontanato; per ogni corpo che non viene toccato, un altro è abbracciato. L’avvicinare e il respingere si escludono a vicenda: la fantasia non ha abbastanza forza per sostituirsi alla realtà, il centro del racconto non è lo stesso per tutti i personaggi coinvolti.
Occorre quindi imparare a leggere la storia, tenendo conto anche delle storie degli altri, per giungere alla consapevolezza del “magari” come postura esistenziale. È questo il punto di arrivo: dopo aver cucinato cinque uova sode per lei, i suoi genitori e i suoi fratelli, Alma visualizza l’intera famiglia in una cartolina imperfetta e la immagina “magari con un po’ più di sole o senza un cane morto. Magari con un po’ di tempo in più e senza Jean che finisce all’ospedale. Magari con Marco e Benedetta o con un Game Boy tutto per me. Però più o meno, era così la famiglia che dicevo io”. Semplice.
Riferimenti bibliografici
C. Barbero, La porta della fantasia, Il Mulino, Bologna 2019.
R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, Torino 1979.
P. Cavalli, Pigre divinità e pigra sorte, Einaudi, Torino 2006.
Magari. Regia: Ginevra Elkann; sceneggiatura: Chiara Barzini, Ginevra Elkann; fotografia: Vladan Radovic; montaggio: Desideria Rayner; musiche: Riccardo Sinigallia; interpreti: Riccardo Scamarcio, Alba Rohrwacher, Céline Sallette, Brett Gelman, Oro de Commarque, Milo Roussel, Ettore Giustiniani; produzione: Wildside, Iconoclast, Tribus P Films, Rai Cinema; distribuzione: BiM Distribuzione; origine: Italia, Francia; durata: 104′.