Tra gli anni quaranta e cinquanta, i cineasti inglesi Powell e Pressburger realizzarono insieme circa diciotto film riscontrando ogni volta grande successo di pubblico. Grazie alla popolarità di loro cinema, i due cineasti godranno in quegli anni di un’enorme libertà creativa ed economica che gli permetterà di dare forma a straordinari mondi cinematografici. Con l’arrivo del decennio successivo però essi saranno presto dimenticati. In parte, le motivazioni di tale oblio sono da ricercare nella mancanza di una loro “fortuna critica”: dopo la fine del Secondo conflitto mondiale, in Inghilterra inizierà ad affermarsi un nuovo canone estetico che andrà a valorizzare il realismo, escludendo in maniera definitiva gli elementi fantastici e la sensibilità continentale caratteristici di Powell e Pressburger (Moor 2009).
Mentre in Inghilterra la produzione dei due cineasti era stata messa da parte, in America gli stessi film sperimentavano una seconda vita. In Made in England: The Films of Powell and Pressburger, il regista Martin Scorsese nel ruolo di guida e presentatore ricorda come sia avvenuto il suo primo incontro con il loro cinema: ovvero, quando egli era ancora un ragazzino, attraverso lo schermo della televisione nel salotto di casa. Crescendo, lui e altri giovani registi americani saranno ancora affascinati dal mistero della strana collaborazione, che vede Powell e Pressburger impegnati insieme come produttori, registi e sceneggiatori di tutti i loro film, dei quali non erano rimaste che delle versioni sbiadite e censurate.
Resistendo al passaggio del tempo, questa capacità fantastica di reinventare il mondo sarà riscoperta oltreoceano. Il passaggio transatlantico permette di inserire un differimento spaziale e temporale rispetto al cinema europeo; differimento che sarà fondamentale secondo Elsaesser (2005) per la rivalutazione critica del cinema dei due registi:
[…] The discourse of auteurism traveled from Paris to New York, followed by yet another change of direction, from New York back to Europe in the 1970s, when thanks to Martin Scorsese's admiration for Michael Powell, Paul Schrader's for Carl Dreyer, Woody Allen's for Ingmar Bergman and Francis Coppola's for Luchino Visconti these European masters were also "rediscovered" in Europe.
Secondo questa prospettiva, Made in England non può essere visto come un prodotto puramente nostalgico, ma rientra invece a pieno titolo tra gli sforzi compiuti da Scorsese negli ultimi decenni a favore della preservazione e del restauro cinematografico. Anche se il documentario è stato realizzato grazie alla regia David Hinton e in collaborazione con Thelma Schoonmaker – editor di Scorsese, nonché vedova dello stesso Powell –, la struttura di questo film riprende in parte quella di altri documentari in cui Scorsese si occupa di ricostruire in maniera personale la storia del cinema: Un secolo di cinema – Viaggio nel cinema americano, Il mio viaggio in Italia e A Letter to Elia.
Anche in Made in England, la figura di Scorsese è sempre presente, sia facendo brevi comparse davanti alla macchina da presa, nelle quali appare seduto tra le poltrone di una sala cinematografica, che attraverso l’utilizzo del voice-over. Nel commento di frammenti di film e del materiale d’archivio del BFI National Archive riguardanti i due cineasti e loro collaboratori, Scorsese si esprime con termini entusiasti, immediati e sinceri, confermando la natura intima del suo lavoro critico e storico (Meneghetti 2021). Di Powell e Pressburger, Scorsese ammira la capacità dei due cineasti di sperimentare pur restando all’interno dell’industria. Le vicende produttive intorno alla realizzazione dei loro film sono allora ricostruite isolando artifici o espedienti definiti da Scorsese “bold” e “audacious”: tra questi rientrano l’utilizzo del bianco e nero in opposizione ai colori sgargianti del technicolor per rappresentare l’aldilà in Scala al paradiso, o il modo in cui la macchina da presa si allontana dall’azione omettendo l’atteso combattimento in Duello a Berlino. Queste sono tutte lezioni che Scorsese ammette di aver appresso e incorporato nel proprio cinema.
Arrivati all’ultima fase della collaborazione, il documentario si sofferma su L’occhio che uccide, film che Powell realizzò completamente in solitudine, per la prima volta dopo tanti anni senza l’aiuto dell’amico Pressburger. Le critiche negative ricevute dal film compaiono nella forma di scritte sullo schermo, a queste vengono date voci altre, anonime, sconosciute, nascoste; Scorsese invece si sottrae momentaneamente al compito di narrare, rifiutando di prestare la sua voce a parole da lui così distanti.
Come abbiamo cercato di dire finora, con il documentario Made in England Scorsese ha dato forma a un’ampia riflessione sul cinema e anche sulla critica cinematografica come determinante per generare la fortuna di un film. La rivalutazione delle opere di Powell e Pressburger ci ricorda come nella valorizzazione di un certo tipo di cinema non basti solo il rapporto film-pubblico, ma sia anche necessaria la mediazione del discorso critico in grado di restituire il senso dell’opera e dare forza alla vita del film.
Riferimenti bibliografici
T. Elsaesser, Cinephilia or the Uses of Disenchantment, in Cinephilia: Movies, Love and Memory, a cura di M. de Valck e M. Hagener, Amsterdam University Press, Amsterdam 2005.
M. Meneghetti, Martin Scorsese’s Documentary Histories. Migrations, Movies, Music, Bloomsbury Publishing, 2021.
A. Moor, No Place Like Home: Powell, Pressburger Utopia, in The British Cinema Book, a cura di R. Murphy, Palgrave Macmillan for the BFI, Basingstoke 2009.
Made in England: The Films of Powell and Pressburger. Regia: David Hinton con Martin Scorsese; fotografia: Ronan Killeen; montaggio: Margarida Cartaxo; musica: Adrian Johnston; produzione: Ten Thousand 86, Ice Cream Films; origine: Regno Unito; durata: 131′; anno: 2024.