La modernità e la cultura di massa hanno portato alla formazione di quella che Alison Landsberg definisce memoria protesica, una nuova forma di memoria culturale che non prevede un solo ed esclusivo possessore ma che può appartenere a chiunque, una memoria che si considera propria ma generata dall’esterno, non da un’esperienza personale. Il cinema così come altre tecnologie di riproduzione e rappresentazione del ventesimo e ventunesimo secolo hanno sensibilmente trasformato le pratiche memoriali permettendo alle persone di esperire e acquisire memorie di eventi che non hanno vissuto in prima persona. Il cinema di fantascienza ha spesso riflettuto sulle trasformazioni della soggettività e identità umana e dei processi mnemonici. Landsberg prende proprio come esempio Blade Runner (1982) e Total Recall (1990) per sottolineare come il cinema abbia esplicitato ansie e fantasie di un determinato contesto storico in cui si perde la distinzione tra reale e iperreale. Nei casi presi in esame, la memoria artificiale, tecnologicamente aumentata, è implementata nel soggetto che rende propri ricordi di esperienze che non ha realmente vissuto, gettando luce sulle possibili ramificazioni della memoria nella cultura di massa, una memoria socialmente costruita e formata a partire dalle immagini che fruiamo ogni giorno e cha hanno una circolazione senza precedenti.

Lumina di Samuele Sestieri, co-sceneggiato con Pietro Masciullo, ci propone un mondo disabitato, uno scenario quasi apocalittico. Una ragazza si sveglia in riva al mare, completamente nuda, si copre con una rete da pesca e inizia a vagare tra le rovine. Un legame profondo la lega ad alcuni oggetti, oggetti che riservano al loro interno delle memorie. Un mondo di post-memorie, artefatti memoriali che con un suo semplice tocco riacquisiscono energia, raccontando le storie di un passato che si cela sottotraccia. Gli oggetti diventano dei memory trigger che aumentano e formano l’identità della ragazza che si nutre di queste memorie, di questi ricordi. Prima le fotografie e poi uno smartphone con al suo interno immagini e video che raccontano una storia, la storia tra Arianna (Laura Sinceri) e Leo (Matteo Cecchi).  Ha inizio l’atto del ricordare della ragazza, che assembla, monta le immagini prese dal dispositivo, una fonte primigenia per costruirsi una propria memoria che parte però da un’esperienza vissuta da altri. La ragazza si identifica progressivamente con Arianna in un percorso che potrebbe richiamare il processo di identificazione dello spettatore durante l’esperienza cinematografica nel corpo del protagonista. La memoria incarnata è anche in questo caso una memoria protesica, una protesi corporea che aumenta e amplifica l’atto del ricordo, partendo da vissuti esterni.

Il nostro pensare per immagini, assemblarle nella costruzione di un racconto, condiziona anche la fase onirica, che si ricollega all’esperienza cinematografica. In maniera reiterata ci viene mostrata la ragazza svegliarsi, come se ricercasse quelle immagini amatoriali anche nei sogni, come se le due dimensioni si confondessero. Il meccanismo di fruizione della storia di Arianna e Leo si inceppa, lo smartphone cade nel fango e non si accende più. A quel punto la ragazza proseguirà nella costruzione di un ricordo, nella ricerca di Leo, senza più poter ricorrere al dispositivo per fruire altre immagini ma partire da quelle che ha già immagazzinato nella propria memoria. Abbandonare il processo di accumulo delle immagini ma selezionarne solo una, il volto di Leo, per andarne alla ricerca. La ragazza incontrerà un uomo, un altro sopravvissuto, sono loro due le uniche persone rimaste sulla terra? Oppure potrebbe anche ipoteticamente trattarsi di Leo adulto, o la sua (re)incarnazione, rimasta nei pressi dell’abitazione dove è stato trovato lo smartphone inizialmente.

È necessario doversi confrontare con un mediascape saturo di immagini come quello contemporaneo, in cui a cambiare sensibilmente sono i luoghi della memoria. Luoghi fisici come statue e memoriali, che hanno segnato le forme di commemorazione e di costruzione di una memoria collettiva, vengono a mano a mano sostituiti in percorsi virtuali. Il cinema può restituire un valore testimoniale alle immagini dal momento in cui risulta essere non solo contenitore di memorie ma meccanismo di recupero e formazione, punto per riflettere criticamente sull’atto del ricordare. Attraverso un investimento corporale e tattile, un’associazione emozionale con gli oggetti, separate dal flusso, anche le immagini della storia di Leo e Arianna riacquisiscono un valore testimoniale, facendo da trigger e consentendo la formazione di una nuova memoria individuale che parte dall’esterno per poi riuscire a farsi propria.

Lumina. Regia: Samuele Sestieri; sceneggiatura: Samuele Sestieri, Pietro Masciullo; interpreti: Laura Sinceri, Matteo Cecchi, Carlotta Velda Mei, Vasile Morosan; produzione: Todd Field, Alexandra Milchan, Scott Lambert; origine: Stati Uniti; durata: 105′; anno: 2021.

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