Senza dubbio L’essere e il nulla di Sartre è stata una delle grandi opere filosofiche del Novecento e, nonostante tutto, non smette di essere un testo che affascina dei lettori giovani. Non solo perché, analogamente ad altri capolavori, ha dato forma alle inquietudini di un’epoca e ha prodotto delle eco anche al di fuori dell’ambito specificamente filosofico, svolgendo dunque una funzione culturale. Ma anche perché ha portato al pettine dei nodi teorici che, come Sartre si rese conto successivamente, non potevano essere risolti nella sola cornice dell’esistenzialismo, cioè di quella che si presentava come una filosofia della libertà.

Vale dunque la pena soffermarsi sul lascito di pensiero di questo ponderoso saggio di oltre settecento pagine che nella prima edizione Gallimard del 1943 pesava giusto un chilo: come fu malignamente sostenuto dai detrattori, la ragione del suo successo nella Parigi occupata dai nazisti dipese dal fatto che il libro serviva a misurare un corrispondente chilo di farina al mercato nero. La sua pubblicazione sollevò un’infinità di polemiche, suscitando accanite prese di posizione difensive che oggi, a distanza d’ottanta anni, possiamo leggere come sintomi rivelatori di resistenze ideologiche delle culture dell’epoca, sia in Francia sia fuori, ancora per molti anni dopo la pubblicazione.

Come ebbe a sottolineare Merleau-Ponty, Sartre era visto come un «autore scandaloso» perché aveva portato il quotidiano sulla scena della filosofia anche grazie al ricorso a una prosa coinvolgente ed efficace, e perché aveva posto in piena luce la contingenza della libertà come un’intuizione «che dispiacerà sempre a chi vuole dormire». Merleau-Ponty aveva opportunamente sottolineato il nesso strettissimo tra l’ontologia fenomenologica de L’essere e il nulla e la letteratura. Infatti, l’approccio migliore al saggio consiste nel leggerlo assieme ai romanzi del ciclo incompiuto de “I cammini della libertà”– vale a dire L’età della ragione, Il rinvio, La morte nell’anima – e alle opere teatrali coeve, Le mosche e Porta chiusa, che contribuirono a fare dell’esistenzialismo una moda nei circuiti culturali della rive gauche nell’immediato dopoguerra (sull’effervescenza della Parigi di quegli anni la letteratura è copiosissima, ma si possono leggere le ricostruzioni di Sarah Bakwell e Agnès Poirier). E, nella costellazione di testi che accompagnano l’opus magnum sartriano, non dovrebbero essere dimenticati i Carnets de la drôle de guerre, scritti tra il settembre 1939 e il giugno del 1940, durante la mobilitazione al fronte, dove troviamo – accanto a gustose descrizioni delle lunghe giornate d’attesa dei soldati – delle pagine di riflessione densissima che rappresentano il vero e proprio laboratorio di gestazione delle tesi dell’Essere e il nulla.

L’uscita del volume, ancor più di quel romanzo specchio delle inquietudini dell’entre-deux-guerre che è La nausea, si attirò gli strali da ogni dove. Se da un lato il mondo cattolico non tardava a inserire L’essere e il nulla e l’intera opera di Sartre nell’Index librorum prohibitorum, dall’altro lato i comunisti non mancarono di liquidarli come «pensiero borghese», ponendo l’alternativa secca tra marxismo ed esistenzialismo. E anche la celebre conferenza L’esistenzialismo è un umanismo, tenuta alla Salle des Centraux nell’ottobre del 1945, tra calca di pubblico, sedie rotte e svenimenti, fu più foriera di malintesi e incomprensioni che motivo di discussione sulle tesi di L’essere e il nulla, al punto che lo stesso Sartre a posteriori la giudicò un errore. Anche chi la prese filosoficamente sul serio, come Heidegger, nell’altrettanto nota e importante Lettera sull’umanismo, lo fece in modo tutto sommato strumentale, con buona pace di chi, come Frédéric de Towarnicki, si era adoperato, da ufficiale di collegamento filosofico, per mettere in contatto i due grandi filosofi e per cercare così di togliere Heidegger dalla penosa condizione d’isolamento in cui si venne a trovare nel primo dopoguerra a causa della sua adesione al nazismo (de Towarnicki 2015).

Le polemiche scatenate in quegli anni dai nemici dell’esistenzialismo andarono di pari passo con le durezze crescenti di un dibattito culturale in cui – anche per scelta di Sartre e del suo entourage di Les Temps Modernes – una pratica dell’impegno significava non sottrarsi mai a un confronto che si andava polarizzando progressivamente, a partire dalla seconda metà degli anni quaranta, e in forme sempre più violente. Così, da saggio filosofico assunto a livre de chevet per una generazione – cosa che d’altronde non ha mai cessato di essere anche per diverse generazioni successive – L’essere e il nulla si trovò, sotto il profilo culturale, rapidamente invecchiato, capace da un lato di fornire delle categorie d’analisi estremamente feconde per una fenomenologia del concreto, ma dall’altro lato di rimanere privo di solidi ancoraggi storico-politici.

Per un periodo, quello degli anni cinquanta, Sartre tentò di rivedere le tesi del suo grande saggio alla luce di un quadro culturale in cui linguistica e antropologia lanciavano la loro sfida alla filosofia. Fu l’epoca delle prime grandi biografie (Baudelaire, Genet, Mallarmé) e della psicoanalisi esistenziale, ma fu anche l’epoca in cui la sintesi dell’ontologia fenomenologica lasciò il terreno al marxismo come pensiero della storia e del conflitto. Con un punto teorico cruciale su cui Sartre non smette mai di lavorare: come inserire il soggetto nel milieu storico-sociale cui esso appartiene? Come avviene il processo di soggettivazione, in base a quale rapporto tra la libertà e le molteplici forze anonime che la condizionano? Sappiamo che la rottura epistemologica della Critica della ragione dialettica non confuta le tesi dell’Essere e il nulla, ma le incornicia partendo da una fenomenologia del bisogno.

Ogni considerazione che si voglia critica sull’opera del 1943 dovrebbe partire da questa operazione di ridistribuzione dei pesi filosofici che Sartre compie in nome di un’antropologia politica, di un pensiero della soggettivazione e di un’etica della prassi tutta da fondare piuttosto che di un’ontologia fondamentale. «Intendiamoci: il marxismo è fondamentalmente una pratica, la cui origine è la lotta di classe. Negate questa lotta, non rimane niente», scrive Sartre nel saggio dedicato a Merleau-Ponty (Sartre 1999).  È il 1961. Quattro anni prima, nelle Questioni di metodo, Sartre aveva scritto una frase che gli è stata spesso contestata e cioè «Il marxismo è l’insuperabile filosofia del nostro tempo». Così, capiamo meglio L’essere e il nulla se lo consideriamo retrospettivamente, dall’approdo al marxismo. In un certo senso, ciò va da sé: se non pensiamo e mettiamo in gioco un’alternativa all’alienazione, all’oppressione e alla violenza, ciò che ci resta è di ontologizzare o, peggio, di naturalizzare l’alienazione, l’oppressione e la violenza.

A considerare la fortuna dell’opera, non c’è che da restare stupiti dalla «storia degli effetti», diretti o indiretti, ch’essa ha prodotto. Non è possibile leggere l’opera di Merleau-Ponty senza avere ben presente – e senza preconcetti – quella di Sartre, perfino Totalità e infinito di Levinas pare contrapporsi a L’essere e il nulla in più di un punto. Ma, soprattutto, c’è da chiedersi che ne sarebbe stato dei percorsi della microsociologia (Goffman), della psichiatria fenomenologica (Laing), dell’antipsichiatria (Laing e Cooper) e della critica della psichiatrica come istituzione violenta (Basaglia) senza le descrizioni sartriane delle condotte di malafede, dell’alienazione, del desiderio di riconoscimento ecc., cioè senza quella batteria di concetti che l’esistenzialismo sartriano aveva mobilitato per descrivere l’avventura umana sì come una “passione inutile”, ma anche e soprattutto come il rovescio di una libertà tutta da pensare e da scrivere.

Riferimenti bibliografici
S. Bakwell, Al caffè degli esistenzialisti, Roma, Fazi, 2016.
A. Poirier, Rive Gauche. Arte, passione e rinascita a Parigi 1940-1950, Torino, Einaudi, 2021.
J.-P. Sartre, Merleau-Ponty, Cortina, Milano 1999.
F. de Towarnicki, Ritorno ad Heidegger. Ricordi di un messaggero della foresta nera, Diabasis, Reggio Emilia 2015.

Jean-Paul Sartre, L’essere e il nulla, Il Saggiatore, Milano 2023.

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