Tra i torridi balconi affollati, una donna ricoperta di lividi, Denise, reagisce all’ennesima violenza. Un colpo netto alla testa, il marito è morto. Denise, imperturbabile, va dalla vicina Nicole, le racconta dell’“incidente”: la pala era rimasta fuori, il marito è scivolato e si è tagliato la testa. Le due donne ridono. Siamo fuori dall’economia binaria. È iniziata la liberazione.

Così, Le donne al balcone, secondo film di Noémie Merlant, presentato fuori concorso alla settantasettesima edizione del Festival di Cannes, si proclama contrario ad ogni forma di costrizione maschile, «il ritmo e il riso vengono a sconvolgere l’intelligibilità del senso in quanto scopo primario del linguaggio fallologocentrico, che vuole comprendere e padroneggiare ciò che dice. Se, nella lingua, cade il primato del senso, cade anche il regno del Padre» (Cavarero, Restaino 2002, p. 105). Liberarsi dal sistema simbolico patriarcale, dall’oppressione violenta da esso perpetrata, è lo scopo di quest’opera.

In una rovente Marsiglia tre amiche – Élise (interpretata dalla stessa Noémie Merlant), un’attrice in fuga dal set e dal marito; Ruby (Souheila Yacoub), una camgirl a suo agio con sé e la propria sessualità; Nicole (Sanda Codreanu), un’aspirante scrittrice che fantastica sul vicino bello e misterioso – si trovano a fare i conti con il cadavere di quest’ultimo, in seguito ad una serata passata insieme. Attraversando i generi del comico, dell’horror e del fantastico, le donne affronteranno traumi fisici e psichici perché, nel disfarsi di quel cadavere, ognuna si disferà anche di un maschile che le vorrebbe zitte e immobili, riappropriandosi rispettivamente del corpo, della parola, della narrazione.

Élise libera il corpo dallo sguardo maschile. Inizialmente irrompe drammaticamente sulla scena, vestendo i panni di qualcun’altra. Vestito rosso, capelli biondi, neo sul viso: è Marylin, l’incarnazione del corpo oggettificato, plasmato in ogni centimetro dal male gaze. La parrucca bionda assurge a simbolo di un’altra identità, talmente radicata nell’attrice da farle dimenticare di averla ancora addosso. Rimossa quest’imposizione estetica inizia la decostruzione. Il corpo femminile diventa centrale. Nulla è nascosto, tutto è manifesto. Una dichiarazione cristallina come le parole di Cixous: «Censura il corpo e contemporaneamente censurerai il respiro e il discorso» (Cixous 1975, p. 42). Élise vaga tra le strade con un seno scoperto, un vestito largo, la schiena sudata. Il suo corpo arriva a dominare l’immagine, invadendo lo schermo, mostrando ciò che è proibito: una visita ginecologica messa in scena senza «quel telo che spezza a metà il corpo delle donne, impedisce la vista di una parte di sé e rafforza l’idea che i corpi femminili siano dominio e proprietà dei medici» (Siviero 2024, p. 48). Colei che era intrappolata nelle vesti della diva costruita dal maschile, per il maschile, permette la costruzione di un nuovo sguardo sul corpo femminile, libero dalla sessualizzazione.

Ruby libera la parola dal silenzio del trauma dello stupro compiuto dal vicino. La violenza non è portata sullo schermo, è evocata dal sangue che le cola dalla bocca al ventre. In seguito allo stupro Ruby smetterà di parlare e, privata del linguaggio, eleverà il corpo a mezzo d’espressione per l’acting-out, «agito non semiotizzato che non arriva a significare ma rimane sintomatico» (Violi 2014, p. 44): un’intermittenza di tremori e sguardi atterriti. Il recupero della parola avviene lentamente, culminando nel racconto di quella notte, taciuto la maggior parte del film: l’uomo, dopo averle detto di chiudere gli occhi, le fa aprire la bocca, per poi infilarci due dita. Nessun preavviso, nessun consenso. Quella stessa bocca che avevamo visto insanguinata: lo spazio adibito all’articolazione del discorso è letteralmente occupato dallo stupratore. La definitiva emancipazione da questa occupazione violenta avviene con la lettura delle ultime righe del romanzo di Nicole, recitate dalla voce off di Ruby nella conclusione del film.

Per capire fino in fondo la potenza di questa riappropriazione, bisogna osservare un’ultima liberazione: quella della scrittura dal fantasma del maschile. Affidata al personaggio di Nicole, è raggiunta sia letteralmente che strutturalmente. Letteralmente poiché l’aspirante autrice è perseguitata dagli spettri degli uomini violenti, uccisi dalle donne di cui avevano abusato, come il vicino di casa ed il marito di Denise. Il fantastico connota la storia di Nicole: parla con i morti, scoprendo il loro desiderio di vendetta verso le donne che li hanno uccisi (donne che non sono sfuggite alla legge, come mostra l’arresto di Denise). Se inizialmente la scrittrice spaventata è aggredita dagli spiriti, la situazione si ribalta quando pretende di sapere la verità di quella notte: lo spaventato spettro del vicino confessa – dopo averla ripetutamente negata – la sua colpa, dicendo “Sì, l’ho stuprata”. I fantasmi si dissipano.

Svaniti gli spettri, Nicole torna a casa e conclude il romanzo, attuando la liberazione strutturale. Contro il giudizio negativo ripetutamente espresso dall’insegnante di scrittura, un uomo interessato unicamente al dettare regole, leggi, incapace di comprendere la vera intenzione della scrittura della donna, Nicole continua a scrivere in quanto «la donna deve scriversi da sola, perché è l’invenzione di una nuova forma di scrittura insurrezionale che, quando sarà il momento della sua liberazione, le permetterà operare le indispensabili lacerazioni e trasformazioni nella propria storia» (Cixous 1975, p. 43).

Le ripercussioni di questa seconda liberazione arrivano ad investire la stessa struttura filmica. Infatti, se l’incipit dell’opera di Merlant è costruito come una grande citazione de La finestra sul cortile (1955), un viaggio tra i balconi che inquadrano brevemente le vite dei personaggi, il finale si emancipa dal modello. Sovvertendo il canone maschile, le donne e la macchina da presa escono dalla casa proclamando il mondo libero, ridendo.

Riferimenti bibliografici
A. Cavarero, F. Restaino, Le filosofie femministe, Pearson, Londra 2002.
H. Cixous, Le rire de la Méduse, in “L’Arc”, n. 61, 1975.
G. Siviero, Fare Femminismo, Nottetempo, Milano 2024.
P. Violi, Paesaggi della memoria: il trauma, lo spazio, la storia, Bompiani, Milano 2014.

Le donne al balcone. Regia: Noémie Merlant; sceneggiatura: Noémie Merlant, Céline Sciamma; fotografia: Evgenija Aleksandrova; montaggio: Julien Lacheray; interpreti: Noémie Merlant, Sanda Codreanu, Souheila Yacoub; produzione: Nord-Ouest Films, France 2 Cinéma; origine: Francia; durata: 103′; anno: 2025.

Tags     femminismo, male gaze
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