«Questa strada si chiama / VIA ASJA LĀCIS /dal nome di colei che /DA INGEGNERE /l’ha aperta dentro l’autore»: è noto che questa dedica in versi, collocata da Walter Benjamin in testa al suo libro Strada a senso unico, uscito a Berlino nel 1928, fu deliberatamente omessa dai curatori Theodor W. Adorno e Gershom Scholem nell’edizione delle Schriften del 1955. Il nome della «lettone bolscevica di Riga» fu espunto anche dalla prosa Napoli, che era apparsa nel 1925 sulla “Frankfurter Zeitung” a doppia firma, Asja Lācis accanto a Walter Benjamin. Viene da pensare che Adorno e Scholem volessero proteggere e liberare l’amico, almeno dopo la morte, da quella liaison dangereuse che lo segnò così profondamente, da portarlo a un passo dalla decisione di andare a vivere nell’Unione Sovietica.

A detta dello stesso Scholem, da quando si conobbero a Capri, nel 1924, e «fino al 1930, se non oltre, Asja Lācis ebbe sulla vita di Benjamin un’influenza senza dubbio decisiva» (Scholem 1983, p. VIII), e questo perché «all’attrazione erotica si univa un grande ascendente intellettuale» (ivi, p. IX) da parte della donna. Una ammissione sconveniente, sembrerebbe. Infatti, proprio mentre lo attesta, Scholem si affretta a disconoscere questo ascendente: il Diario moscovita, scrive, se per un verso lascia intravedere il suo «cinismo erotico piuttosto spregiudicato», per l’altro dimostra «l’assenza di ogni convincente profilo intellettuale di Asja Lācis» (ivi, p. IX).

Nonostante l’oblio cui era stata condannata, la figura di Lācis fu riscoperta ben prima della pubblicazione del Diario moscovita (1980), nel clima segnato dal Sessantotto, per merito della rivista berlinese “Alternative”. Il “dossier Benjamin”, restituito alla DDR dagli apparati sovietici, faceva il nome di Asja. Accadde così che la caporedattrice della rivista, Hildegard Brenner, nella speranza di ritrovare le lettere di Benjamin, si mise sulle tracce della donna, riuscendo infine a scovarla. Asja (Anna per l’anagrafe) Lācis viveva, insieme al suo antico compagno (diventato marito negli ultimi anni di vita), regista e studioso di teatro, l’austriaco Bernhard Reich, nella piccola città lettone di Valmiera, dove – dopo aver scontato una lunga deportazione nei gulag del Kazakistan – guidava una compagnia teatrale statale, portando in giro per i kolchozy agili messinscene del teatro agitprop, in voga quarant’anni prima, nel periodo ricordato come “comunismo di guerra”, insomma nella fase “eroica” della rivoluzione russa.

Sorpresa dal grande interesse che nel frattempo avevano suscitato gli scritti di Benjamin, «un tempo per nulla popolari» (Lācis 2021, p. 105), poco alla volta Asja ricostruisce – un po’ scrivendo in un tedesco sgrammaticato, un po’ registrando a voce – la sua vita, a cominciare dall’infanzia in Lettonia. Il risultato è un montaggio, o un mosaico, di testi che in Germania viene pubblicato nel 1971 con il titolo Revolutionär im Beruf, tradotto in italiano da Feltrinelli, nel 1976, come Professione: rivoluzionaria. Nonostante il “disgelo” degli anni sessanta, Asja è circospetta, evita ogni riferimento alla dittatura staliniana, si mostra leale al regime sovietico. Accurato è il silenzio sulla deportazione, a parte questa frase quanto mai laconica: «Fui costretta a passare dieci anni in Kazakistan» (ivi, p. 120). Conviene aggiungere che neanche al fedele Reich fu risparmiato il gulag: i due si rividero dopo tredici anni di separazione forzata. Negli anni cinquanta, Asja seppe da Brecht che «Benjamin era morto», e che era morto perché, come le spiegò l’amico Bert, «non volle separarsi dai suoi libri» (ivi, p. 121).

L’autobiografia di Asja diventa un libro di culto. Diffonde la leggenda della bolscevica itinerante grazie a un autoritratto sapientemente orchestrato dalla stessa regista agitprop (peraltro, tra le prime donne registe in assoluto), la quale, tanto per dare un’idea delle sue imprese, presentò Benjamin a Brecht (favorendo così un sodalizio che rappresenta un episodio cruciale per il teatro e la filosofia europei) e indusse Kracauer a scoprire il cinema di Dziga Vertov.

Una buona occasione per ripensare questa contraddittoria figura di donna d’azione ci è data, ora, dalla nuova edizione dei suoi testi, curata da Andris Brinkmanis e proposta da Meltemi con il titolo L’agitatrice rossa. La prima parte del libro, che coincide con l’autobiografica Città e uomini, segue la geografia intricata di questa vita activa scandita dai luoghi che le fecero da sfondo, anzi da quinte: Riga, Pietroburgo, Mosca, Orël, Berlino, Monaco, Napoli e così via, fino ad arrivare a Valmiera. Figlia di un operaio coinvolto nei moti rivoluzionari del 1905, Lācis (nata Liepina) si forma a Riga e poi a Pietroburgo, dove giunge per studiare con un fagotto e un solo rublo in tasca. Ha la fortuna di frequentare, nei primi anni dieci, i corsi di storia e filosofia dell’Istituto neuropsichiatrico Bechterev, un’istituzione all’avanguardia, tra le poche aperte alle donne, agli ebrei e agli studenti espulsi per motivi politici dalle università statali. Si forma nell’intenso clima culturale della Pietroburgo d’inizio secolo. Prosegue la sua educazione a Mosca, partecipando allo studio teatrale del regista Fëdor Komissarževskij. Di giorno, fa la maestra alla scuola lettone; la sera, è allieva di teatro: in più occasioni, nella vita, saprà fondere assieme la vocazione pedagogica e quella teatrale.

Asja Lācis accoglie con fervore la rivoluzione d’Ottobre, votandosi alle buone ragioni del proletariato internazionale, ma il suo campo di battaglia resterà sempre il teatro e i suoi dintorni. Il programma avanguardistico in sommo grado dell’“Ottobre teatrale” di Mejerchol’d (senza sminuire il peso delle performance futuriste di Majakovskij) è il suo punto di riferimento principale. «La mia attività registica a Orël, Riga, Mosca, Kazakistan e Valmiera deve molto a Mejerchol’d» (Lācis 2021, p. 67). Si tratta di un teatro che manda in frantumi la quarta parete, che cerca la fusione con la platea; che provoca, educa, plasma; che rifugge il naturalismo a favore del costruttivismo; che punta a distruggere l’aura scenica ricorrendo alla serialità, alla riproduzione tecnica. Durante la guerra civile, nella piccola città russa di Orël, Asja – colpita dagli sguardi inespressivi dei «bambini senza infanzia», orfani di guerra che vivono per strada, i besprizorniki – si cimenta in un esperimento pedagogico volto a suscitare nei ragazzi, attraverso attività teatrale, una nuova percezione della vita. In seguito, a Riga, guida un teatro di agitazione comunista in condizioni di clandestinità. Esperimenti pionieristici, semmai rudimentali, che però inaugurano pratiche pedagogiche e forme artistiche inedite: da questa particolare forma di felicità rivoluzionaria Asja resta contagiata a vita.

Nei primi anni venti, Lācis è l’emissaria in Germania delle conquiste artistiche della rivoluzione russa. Assistente regista, attrice, amica di Brecht, è a contatto con Piscator, Toller, Kracauer, Fritz Lang. Comincia la sua relazione amorosa con Bernhard Reich. Durante un soggiorno a Capri, conosce casualmente Benjamin e, con tutta probabilità, partecipa in quei giorni «a confronti teorici e liti fra Benjamin, Sohn-Rethel, Bloch, Kracauer, Adorno», come ipotizza il curatore del volume (ivi, p. 31). Di lì a poco, firma insieme a Benjamin il testo titolato Napoli.

Proprio a Benjamin Asja dedica un intero capitolo delle sue memorie, pieno di comprensibili lacune e omissioni. Sappiamo che il filosofo va a trovarla a sorpresa a Riga, e poi, a cavallo tra il 1926 e il 1927, passa un paio di mesi a Mosca, dove è stato «alle prese col gelo fuori e col fuoco dentro» (Benjamin 1983, p. 147). I due si frequentano a Berlino, alla fine degli anni venti: chiunque li veda insieme, resta «sconcertato da quella coppia che non faceva che litigare» (Scholem 1983, p. IX). Asja incalza l’amico, lo mette alle strette, lo provoca: «Perché non sei nel partito comunista? Da che pare stai, campione della cultura?» (Lācis 2021, p. 94). Benjamin la vede sempre più «via con la mente», se – come tutto farebbe pensare – si riferisce ad Asja il ritratto abbozzato in Strada a senso unico: al posto di semplici mappe della vita quotidiana,

in lei si sono insediati concetti politici, parole d’ordine del partito, formule confessionali e consegne. Vive in una città di slogan, abita in un quartiere di termini affratellati dalla cospirazione, dove ogni vicolo prende partito e ogni parola fa eco a un grido di guerra (Benjamin 2006, pp. 31-32).

In quel periodo nasce il Programma per un teatro proletario dei bambini, ispirato all’esperienza di Asja a Orël. Benjamin aiuta a stenderlo perché lei deve presentare il testo al quartier generale del Partito comunista tedesco, con la proposta di creare dentro la sede di Karl-Liebknecht-Haus un teatro di bambini. La prima versione del Programma suscita l’ilarità dei compagni: «Questo te l’ha scritto sicuramente Benjamin!». Asja, che concepiva il teatro soprattutto come un’arma contundente dei comunisti contro il vecchio mondo («Niente sembra alla borghesia tanto pericoloso per i bambini quanto il teatro»), dovette pregare il suo compagno d’avventura di scrivere «in maniera più comprensibile» (Lācis 2021, p. 72).

Nel 1930, Asja torna definitivamente a Mosca, e fino all’arresto, avvenuto nel 1938 (fu allora che le lettere di Benjamin verranno confiscate) è ancora attiva nell’ambito dell’organizzazione culturale e dei rapporti internazionali. Tant’è che assiste Piscator nella sua disavventura con la cinematografia sovietica. E come attesta una lettera del diretto interessato, nel 1935, in un clima di montante ostilità nei confronti degli stranieri, tenta nondimeno di trovare un impiego a Benjamin nell’Urss.

Nel 1938, durante la persecuzione staliniana dei lettoni, l’intera compagnia del Teatro “Skatuve” di Mosca, in cui Asja lavorava come regista, fu giustiziata in seguito all’accusa di attività controrivoluzionaria. Per qualche misterioso motivo Lācis scampò alla morte, venendo invece deportata. D’altronde, come ricordava Scholem, «quasi tutti coloro con i quali Benjamin riuscì a stabilire un contatto» durante il suo soggiorno a Mosca, «caddero presto o tardi come trockisti o sotto altre etichette, vittime del potere assoluto staliniano» (Scholem 1983, pp. VII-VIII), che da allora non fece che consolidarsi.

La seconda parte del volume (Geografie del pensiero) restituisce la versione integrale di Napoli e comprende alcuni brevi testi scritti da Lācis in varie occasioni; la terza è dedicata per intero al Teatro rivoluzionario in Germania, un saggio del 1935. Conclude e impreziosisce il libro un magnifico apparato iconografico.

Non è difficile accorgersi, rovistando tra i materiali inclusi in L’agitatrice rossa, che la forza e il fascino di Asja Lācis non mettono radici nel terreno della teoria, ma nell’ambito dell’azione, di quell’azione che non lascia dietro di sé opere durature. Che si tratti di prassi teatrale, pedagogica, propagandistica, politica o diplomatica, conta «l’attimo del gesto» e non l’«eternità dei prodotti», come recita il Programma per un teatro proletario dei bambini. La bellezza della vita di Asja sta proprio nell’intreccio inestricabile che in essa si stabilisce tra il teatro, la politica, il proselitismo, gli affetti, le amicizie. Alla fautrice di un’arte che ricalchi l’azione politica va riconosciuto l’indubbio talento di sedurre, nell’accezione letterale di trarre a sé: trarre a sé il pubblico, gli attori, i bambini, infine gli uomini. Da anziana, pare, il suo unico rimpianto fosse quello di aver rifiutato i corteggiamenti di Brecht. E sul talento di sedurre, Pasternak non aveva dubbi: «Essere donna è un grande passo, / far perdere la testa è un atto d’eroismo».

 

Riferimenti bibliografici
W. Benjamin, Strada a senso unico, a cura di G. Schiavoni, Einaudi, Torino 2006.
W. Benjamin, Diario moscovita, a cura di G. Smith, Einaudi, Torino 1983.
A. Lacis, Professione: rivoluzionaria, con un saggio di E. Casini-Ropa, Feltrinelli, Milano 1976.

G. Scholem, Prefazione in W. Benjamin, Diario moscovita, a cura di G. Smith, Einaudi, Torino 1983.

Asja Lācis, L’agitatrice rossa. Teatro, femminismo, arte e rivoluzione, a cura di Andris Brinkmanis, Meltemi, Milano 2021.

*L’immagine di anteprima dell’articolo è un dettaglio della copertina del libro. 

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