Con l’attacco effettuato in Libano martedì 17 settembre, la detonazione dei cercapersone e il giorno successivo dei walkie-talkie posseduti da Hezbollah che ha portato la morte di decine e il ferimento di centinaia di persone, si è tornati a parlare molto delle azioni di spionaggio del Mossad, i servizi segreti israeliani, così come le strumentazioni in dotazione dall’intelligence che funge da vero e proprio asset operativo per la difesa del paese. Prezioso, da questa prospettiva ma non solo, risulta il libro di Antony Loewenstein, Laboratorio Palestina. Come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo pubblicato a marzo 2023 per Verso Books e tradotto quest’anno da Fazi editore. Il volume, come si evince dal titolo, traccia una storia di legami diplomatici e militari tra Israele e altre nazioni e dittature, evidenziando come abbia esportato armi, tecnologie di sorveglianza, metodi e strumenti di dominazione. La Palestina risulta essere ovviamente il laboratorio di Israele per quanto riguarda la sperimentazione e la messa in pratica di metodi e forme di controllo così come di separazione delle popolazioni. Il primo capitolo del libro si apre gettando luce sulla complicità dello Stato israeliano nel regime di Pinochet, addestrando l’esercito cileno per aiutare la repressione del loro stesso popolo e fornendo armi. In seguito, lavorando a stretto contatto con gli Stati Uniti per decenni, Israele ha sostenuto le forze di polizia di Guatemala, El Salvador, Argentina, Honduras, Paraguay e Costa Rica durante la Guerra Fredda, per esempio, così come addestrato e armato gli squadroni della morte in Colombia negli anni 2000.
Secondo Loewenstein, la Guerra dei Sei Giorni segna un turning point fondamentale per la storia di Israele. Prima del 1967 lo Stato ebraico sembrava opporsi, almeno retoricamente, alle violenze e repressioni del colonialismo e della discriminazione razziale. Nel 1963, l’ex primo ministro Golda Meir ha condannato il regime di apartheid in Sud Africa, sostenendo all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che gli ebrei sanno cosa voglia dire essere vittime. Inizialmente Israele si è legato ai nuovi Stati africani indipendenti, godendo delle loro libertà postcoloniali, anche se la loro difesa sembrava piuttosto essere un modo per contrastare ciò che veniva percepito come minaccia araba e comunista. Dopo il 1967, con l’esperienza del conflitto, la sperimentazione di equipaggiamenti così come di tecniche e strategie di dominio e occupazione nei confronti della popolazione palestinese a Gerusalemme Est, in Cisgiordania, a Gaza e sulle alture del Golan, Israele acquisisce una nuova importante posizione come potenza militare, diventando un partner affidabile delle dittature. La Guerra del Libano del 1982, nonostante abbia evidenziato i limiti del potere israeliano, a causa di una serie di attacchi e contrattacchi che hanno causato vittime civili da entrambe le parti, ha catturato l’attenzione, in particolare della CIA, per l’utilizzo dei droni Mastiff, il primo sistema moderno di sorveglianza UAV.
L’11 settembre è stato un bene per gli affari, come Loewenstein titola provocatoriamente il secondo capitolo, poiché «gli attacchi terroristici a New York e Washington hanno messo il turbo al settore della difesa israeliano e internazionalizzato la guerra al terrorismo che lo Stato ebraico combatteva da decenni» (Loewenstein 2024, p. 85). Lo stesso Primo Ministro Netanyahu ha dichiarato più di una volta che l’attacco terroristico avrebbe rafforzato il legame tra le due nazioni, dal momento che Israele ha sperimentato il terrore per tanti decenni e gli Stati Uniti lo stavano sperimentando in quel momento. L’israelianizzazione dei servizi di sicurezza statunitensi si è accelerata subito dopo. Nel XXI secolo lo Stato ebraico ha iniziato a svolgere un ruolo chiave, sotto-traccia, nel sostenere diversi regimi nelle loro pulizie etniche, come lo Sri Lanka e il Myanmar, negoziando accordi per equipaggiamenti e strumentazioni come droni, sistemi di intercettazione di telefoni cellulari, fucili e navi da guerra. Durante la guerra civile siriana, Russia e Israele hanno mantenuto uno stretto rapporto negoziando un programma di droni sviluppato dalla società Xtend, ad esempio. La pandemia Covid-19 sembra essere un altro punto di svolta, poiché è stata l’occasione perfetta per le aziende di sorveglianza israeliane di stipulare accordi con partner internazionali. La risposta di Israele al Covid-19 è stata senza precedenti nel mondo occidentale, con l’utilizzo da parte del servizio di sicurezza interno, lo Shin Bet, di un sistema di tracciamento, attraverso gli smartphone, degli spostamenti effettuati dai contagiati, seguendo anche i post dei social media alla ricerca di qualsiasi prova di incontri sociali. Questo tipo di monitoraggio, poi bloccato perché aveva fatto chiaramente emergere questioni di costituzionalità, oltre che di etica, era stato riservato solo ai sospetti terroristi di Hamas. Dal 2019, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) utilizzano il riconoscimento facciale estensivo con una rete di telecamere e telefoni cellulari per documentare ogni palestinese in Cisgiordania. L’app Blue Wolf, ad esempio, serve a catturare i volti dei cittadini confrontandoli con un enorme database di immagini prese dai social media. Nel 2022 l’IDF ha installato inoltre un sistema telecomandato per il controllo della folla con la capacità di sparare gas lacrimogeni, proiettili di gomma e granate stordenti, nonché una stazione modulare di armi leggere telecomandate (LRCWS) che riconosce il bersaglio e può prevederne i movimenti attraverso un’avanzata elaborazione delle immagini. Queste attrezzature sono state vendute a più di una dozzina di nazioni.
Il capitolo finale di Laboratorio Palestina si concentra sul modo in cui le compagnie di social media abbiano censurato i contenuti palestinesi, affermando che incitavano alla violenza e diffondevano fake news. Facebook, YouTube, TikTok e Twitter sono andati incontro alle richieste del governo israeliano rimuovendo dai social i contenuti critici nei confronti dello Stato ebraico o che mostravano il punto di vista palestinese, al fine di prevenire la violenza da parte di elementi estremisti. Loewenstein parla di come molti post riguardanti un episodio del 2021, quando l’IDF prese d’assalto la Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme mentre centinaia di palestinesi stavano pregando, siano stati rimossi poiché il luogo era stato erroneamente associato a “violenza o a un’organizzazione terroristica”. Il nome del sito sacro è stato confuso con il gruppo militante palestinese Brigate dei Martiri di Al-Aqsa. D’altra parte, «i funzionari dell’intelligence israeliana in Cisgiordania gestiscono pagine Facebook per promuovere l’idea che l’occupazione non esista, che la resistenza palestinese sia immorale e che ebrei e arabi coesistono pacificamente» (ivi, p. 309). Loewenstein parla di orientalismo digitale riferendosi a come i social media occidentali trattino in modo discriminatorio le persone provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa, con sospetto per definizione. È evidente, soprattutto se si confronta il modo in cui i social media hanno visto il conflitto in Ucraina e in Palestina, «un occupante era malvagio mentre l’altro meritava rispetto» (ivi, p. 276).
Nella conclusione, il libro si chiede: se dittature come la Cina o la Russia possono essere considerate una minaccia, perché l’ideologia israeliana non può esserlo? La risposta potrebbe essere che Israele, in quanto alleato dell’Occidente, ha perfezionato e guidato “l’industria della pacificazione globale”. In un periodo di conflitti e insicurezza, le guerre e persino la crisi climatica favoriscono l’industria bellica di difesa israeliana, accrescendone l’appeal. Al di là delle nazioni che vogliono solo alcuni degli equipaggiamenti militari più invasivi, letali e brutali del pianeta, cresce l’etnonazionalismo, paesi contrari al multiculturalismo e ai valori liberali, riducendo le possibilità democratiche. Dalla rielezione di Netanyahu come primo ministro nel novembre 2022, con la coalizione di destra più estrema nella storia del paese, c’è stata una crescente escalation di minacce nei confronti dei palestinesi. Oggi, dopo l’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023, è chiaro come questo libro si ponga come monito del «mondo spaventoso che potrebbe nascere se l’etnonazionalismo di stampo israeliano continuerà la sua ascesa» (ivi, p. 293), dal momento che il governo vuole legittimare la sua occupazione e che «il dispotismo non è mai stato così facilmente condivisibile con la tecnologia» (ivi, p. 34).
Antony Loewenstein, Laboratorio Palestina Come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo, Fazi Editore, Roma 2024.