Quella tra letteratura e cinema è la storia di un amore che, in Italia, specie nel secondo dopoguerra, ha portato a matrimoni fecondi e appassionati, ma anche a qualche infelice e forse troppo repentino divorzio. Tra questi quello di Elsa Morante, che nel 1951, dopo quasi due anni di lavoro alla radio, lascia l’attività di critico cinematografico a causa della censura di un suo testo poco benevolo nei confronti di Senza Bandiera, opera prima di Lionello De Felice che i dirigenti Rai si erano invece raccomandati di promuovere nonostante lo scarso talento artistico. A quasi settant’anni di distanza le recensioni di questo breve ma intenso periodo sono oggi disponibili in un volume curato da Goffredo Fofi e intitolato La vita nel suo movimento. Recensioni cinematografiche 1950-1951.
Da questa preziosa raccolta emerge non solo la passione della scrittrice per le immagini in movimento, ma anche la singolarità del suo gusto visivo, manifestato senza tentennamenti, in maniera sempre ferma e precisa. La sua stessa professione di fede verso il realismo, in più punti rivendicata, appare parallelamente all’attenzione verso gli elementi tecnici e formali del cinema, menzionati per sfuggire alla sterilità della critica impressionistica, ma soprattutto per ribadire l’essenza visiva della settima arte contro gli scadimenti contenutistici della critica dell’epoca. Ogni recensione propone un breve commento, di uno o al massimo due film, accompagnato da una riflessione generale sul linguaggio filmico, sul suo potenziale poetico e, in alcuni casi, sul suo rapporto con la letteratura. Il risultato complessivo è una piccola filosofia del visivo che, in modo niente affatto scontato, riflette sui modi del realismo proprio nell’epoca in cui il rapporto tra immagine (o parola) e realtà sembrava immediato, irriflesso, non bisognoso di una coscienza critica.
Delle numerose recensioni (quasi cinquanta) colpiscono soprattutto le pagine dedicate al Neorealismo, forse l’oggetto di indagine più ricorrente di questo volume morantiano. Di esso la scrittrice sottolinea l’importanza ma anche i limiti, riconosciuti persino nelle opere maggiori di questa stagione cinematografica, come Ladri di biciclette (De Sica, 1948) e in Roma città aperta (Rossellini, 1945). Al di là del giudizio su questi due fondamentali film – ai quali Elsa Morante riconosce comunque un indubbio merito artistico –, è interessante la riflessione sull’estetica generale da cui deriverebbero le scelte stilistiche di Vittorio De Sica, Roberto Rossellini e di molti altri autori che a loro si sono ispirati. Se ne ricava anzitutto la critica al materialismo, in particolare di De Sica, che, secondo la scrittrice, spesso confonde il realismo con la rappresentazione della povertà ricavata da tipi sociologici che rimandano a una configurazione visiva schematica e aprioristica. Questo modo espressivo si combinerebbe fatalmente al sentimentalismo, riconosciuto soprattutto in Rossellini, incapace a sua volta di dare forma autentica all’umano, alle sue pulsioni interiori, al suo dramma. L’esito è un realismo di superficie, naturalistico, incapace di penetrare nelle cose e dunque di farle rivivere.
Non tutto il Neorealismo pecca però di materialismo e sentimentalismo. A Ladri di biciclette e Roma città aperta Elsa Morante contrappone La terra trema (Visconti, 1948), film discusso anche in diversi altri testi allegati nella ricca e non meno preziosa appendice del volume. Il film di Luchino Visconti avrebbe il merito di mostrare, attraverso la realtà, il vero e cioè la vita nel suo svolgersi, nel suo dispiegarsi secondo modi, tempi e forme che la macchina da presa non crea, ma ritrova nella Sicilia di Acitrezza. Il film sarebbe per questo capace di liberarsi persino dall’estetismo verista, a cui pure, attraverso Verga, si è ispirato Visconti.
Non è difficile scorgere in questa idea di cinema alcuni motivi della poetica di Pasolini, autore con il quale la scrittrice ha mantenuto per lunghi anni un sodalizio privilegiato e profondo, facilitato indubbiamente da una sensibilità visiva comune, che emerge soprattutto nella critica al naturalismo. In una pagina presumibilmente degli anni Sessanta, allegata in appendice, questa vicinanza diviene simbiosi, identità:
Impegno assoluto e disinteressato verso la realtà della vita significa, poi, religione. Giacché, evidentemente, la realtà della vita non consiste nella povera convenzione del tempo e dello spazio in cui si muove la nostra singola esistenza individuale; ma nella ragione ultima delle cose, fuori dallo spazio e dal tempo e da ogni individuale interesse pratico (ivi, p. 116).
Parole simili si ritrovano in molti punti degli scritti sul cinema di poesia di Pasolini, autore che Elsa Morante considera “fra le pochissime persone viventi nel nostro tempo dotate di sentimento religioso” (ivi, p. 117). Anche per lo scrittore e regista friulano la tensione verso il reale è infatti un sentimento che trascende l’esperienza, ma che ugualmente la guida e la riempie. Essere religiosi significa dunque non accontentarsi delle cose, ma seguire il loro senso, inteso allo stesso tempo come significato e direzione.
Il Neorealismo italiano non è però l’unico tema morantiano. Il volume non manca di segnalare film per ragazzi e cartoni animati, come I viaggi di Gulliver (1939) di Max e Dave Flaisher e Cenerentola (1950) prodotto da Walt Disney, di cui in una breve nota viene bocciato Fantasia (1941). Nel volume trovano inoltre ampio spazio numerosi film di produzione straniera, come con la splendida – e meritatissima – stroncatura a Madame Bovary (1949) di Vincente Minelli, o con il confronto shakesperiano tra Macbeth (1948) di Orson Welles e Amleto (1948) di Lawrence Oliver. Una particolare attenzione viene inoltre dedicata ai due registi Michael Powell ed Emeric Pressburger, di cui viene segnalato Duello a Berlino (1943). Insieme ai film e alle notazioni sul mezzo cinematografico, Elsa Morante non manca infine di esaminare il ruolo dell’attore. Ricorre ad esempio in più punti il parallelismo tra Totò ed Eduardo de Filippo, che la scrittrice non nasconde di prediligere. Una pagina consegnata in appendice e non datata offre inoltre un mirabile ritratto di Massimo Girotti, attore viscontiano e pasoliniano, dunque inevitabilmente anche morantiano. In lui la scrittrice ritrova il corpo e il viso del suo cinema che, nonostante il divorzio dalla critica, continua anche negli anni successivi ad agire sul suo gusto visivo.
Riferimenti bibliografici
M. Gragnolati, Amor che move. Linguaggio del corpo e forma del desiderio in Dante, Pasolini e Morante, Il Saggiatore, Milano 2013.
E. Morante, La vita nel suo movimento. Recensioni cinematografiche 1950-1951, Einaudi, Torino, 2017.
P.P.Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti e S. De Laude, Mondadori, Milani, 1999.
G. Rondolino, Luchino Visconti, Utet, Torino, 2003.