Dalla messa in onda del primo episodio dei Soprano, il 10 gennaio 1999, il prime time domenicale di HBO è stato sempre riservato alla programmazione dei nuovi episodi delle serie originali. Questa scelta rimane immutata anche adesso nell’era dello streaming e del binge watching, rivelandosi una modalità di distribuzione particolarmente efficace per prolungare l’attenzione e l’interesse del pubblico nei confronti delle serie televisive.

La pubblicazione settimanale permette infatti alle serie di entrare in risonanza con il tempo ordinario degli spettatori. Questi, pur avendo oggi una maggiore libertà nella scelta di cosa guardare e quando, sono spesso impazienti di partecipare alle conversazioni che le loro serie preferite generano sui social media. Negli ultimi anni, molte di queste discussioni si sono concentrate proprio su titoli distribuiti secondo il modello della weekly release: basti pensare al commento in diretta su Twitter durante le domeniche di Euphoria, o ai trend e ai meme nati attorno a serie come Severance.

L’incisività di queste serie ha a che fare sicuramente con la qualità dei contenuti, la densità dei mondi narrativi, ma anche con la ritualità che si costruisce attorno alla visione settimanale e con la possibilità di integrare quell’”ora di televisione” nella scansione ordinaria della vita quotidiana. Queste ultime sono caratteristiche distintive del medium televisivo, già messe in luce da Cavell nel passaggio dedicato a Brideshead Revisited:

[Brideshead Revisited] is equivalent in its effect neither to something on film that would last eleven hours, nor to something that would last eleven weeks (whatever such things would be), nor, I think, to eleven films of an hour each. Not only does an hour signify something in television time that has no bearing on film time, but it is internal to the establishment of its formats that television obeys the rhythm, perhaps even celebrates the articulations, the recurrences, of the order of the week, as does Genesis (1982).

La natura di questo incontro episodico assume la forma di un’abitudine, grazie alla reiterazione costante del rapporto con l’oggetto (LaRocca, Laugier 2023, p. 13). Nella sua dimensione collettiva, la televisione ci consente di confrontare le nostre aspettative e le nostre esperienze dell’opera con quelle altrui, facendo ricorso a un linguaggio comune. Guardare e parlare di televisione sono attività ordinarie, ed è proprio in questa ordinarietà che risiede l’importanza della televisione come arte popolare. Riformulando l’affermazione di Cavell riguardo al cinema, possiamo dire che: «Ricchi e poveri, quelli che non si preoccupano di nessuna (altra) arte e quelli che vivono della promessa dell’arte, quelli che si inorgogliscono della loro educazione e quelli che si gloriano del loro potere o del loro spirito pratico – tutti si interessano alle [serie televisive], le aspettano, reagiscono, le ricordano, ne parlano, ne odiano alcune e sono riconoscenti per altre» (2023, p. 40).

Questo è particolarmente vero nel caso di una serie come The White Lotus, la cui terza stagione si è conclusa di recente. Anche questa volta, il pubblico ha seguito per otto settimane le vacanze dei ricchi ed eccentrici ospiti degli hotel di lusso White Lotus. Le regole del gioco sono ormai note: un cold open collocato in apertura del primo episodio avverte che, alla fine del soggiorno, uno o più personaggi moriranno.

Con uno schema narrativo così rigido, quale può essere allora il piacere che ritroviamo nel guardare un’altra stagione di The White Lotus, apparentemente così simile alle precedenti? Come dimostrato dalla terza stagione, la risposta risiede nei personaggi. Dunque, se è vero che la televisione «teach us about paying attention to forms of life» (LaRocca, Laugier 2023, p. 10), The White Lotus, nel tempo delimitato di una vacanza, concentra e intensifica questo processo, mostrandoci una varietà di forme di coesistenza, gli eventi che le mettono alla prova e l’evoluzione delle relazioni interpersonali.

In quanto testimoni, siamo chiamati ad osservare questi comportamenti in forma interattiva, soprattutto nel contesto di quella che Martin Shuster definisce “new television”: una televisione che «exhibit[s] a contemporary world as entirely emptied of normative authority» (2017, p. 6). In un mondo in cui i personaggi privilegiati creati da Mike White sembrano poter esplorare le possibilità del vivere senza subirne realmente le conseguenze, allo spettatore è implicitamente richiesto di fare delle valutazioni morali. In questo senso, il plot dell’omicidio funziona come dispositivo etico: come accade nei reality show, ci viene data l’illusione di poter punire o premiare i personaggi in base alle loro azioni.

Allo stesso modo, per via della struttura antologica della serie, ogni inizio stagione assume i tratti di una rinascita. Questo aspetto contribuisce anche al successo della serie nel trasformare gli interpreti in delle “star”: si pensi a come la fisicità di attrici e attori come Jennifer Coolidge, Sabrina Impacciatore, e più recentemente Leslie Bibb, Aimee Lou Wood e Walton Goggins, abbiano dato forma a personaggi del tutto nuovi, pur nella riconoscibilità di certi tratti e dinamiche narrative ricorrenti (Cavell 2023, pp. 66).

L’ultima variazione introdotta in questa stagione ha potenzialmente trasformato il gioco finale, generando conseguenze più oscure e suscitando disappunto in parte del pubblico. Infatti, se fino a questo momento le morti erano state per lo più accidentali, e dunque capaci di sorprendere e persino divertire lo spettatore, il finale della terza stagione introduce un evento marcatamente tragico: oltre al parricidio, assistiamo alla morte dei due amanti, Rick e Chelsea, i cui corpi galleggianti sull’acqua vengono inquadrati in una composizione visiva che richiama quella dell’Ophelia di Millais.

Altri elementi narrativi indicano un’inversione di rotta: il riscatto economico di Belinda e di suo figlio, e al contrario, il crollo finanziario della famiglia Ratliff. Di fronte a questi profondi cambiamenti, alcuni elementi rituali restano invariati: il viaggio in barca che segna il ritorno degli ospiti alla quotidianità (anche se ora irreversibilmente trasformata), e il saluto del personale del White Lotus, che, come noi spettatori, si prepara all’inizio di una nuova settimana.

Riferimenti bibliografici
S. Cavell, Il mondo visto. Riflessioni sull’ontologia del cinema, Cue Press, Imola 2023.
Id., The Fact of Television, in “Daedalus”, vol. 111, no. 4, Fall 1982.
D. LaRocca, S. Laugier, Television with Stanley Cavell in Mind, University of Exeter Press, Exeter 2023.
M. Shuster, New Television: The Aesthetics and Politics of a Genre, University of Chicago Press, Chicago 2017.

The White Lotus. Ideatore: Mike White; interpreti: Leslie Bibb, Carrie Coon, Walton Goggins, Sarah Catherine Hook, Jason Isaacs, Lalisa Manobal, Michelle Monaghan, Sam Nivola, Lek Patravadi, Parker Posey, Patrick Schwarzenegger, Tayme Thapthimthong, Aimee Lou Wood, Sam Rockwell, Scott Glenn, Natasha Rothwell, Jon Gries; produzione: Pallogram, The District, Rip Cord Productions; origine: Stati Uniti d’America, anno: 2021-in produzione.

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