È possibile che un quadro precorra quanto potrebbe accaderci?
Ciò presupporrebbe una misteriosa concordanza
tra le immagini e le nostre imprevedibili intenzioni.
A meno che l’impatto dell’immagine sia così forte da
costringerci a ricostituirla nello spazio quotidiano.
Il Bagno di Diana di Pierre Klossowski
Nella leggenda Il bagno di Diana, riscritta magistralmente da Klossowski, si narra di Atteone, figlio di Aristeo, che vuole imbattersi nella visione del corpo denudato della dea, vuole spiare Diana intenta a rinfrescarsi presso una fonte dopo le fatiche della caccia. Per questo motivo già da un po’ di tempo Atteone si addestra per somigliare ai cervi, imitandone i movimenti, i salti e i cervidi balzi. Ma da quale improvvisa follia fu colto il nipote di Cadmo? Com’era possibile che fosse convinto di riuscire a vedere l’invisibile dea?
Nella riscrittura della leggenda, Klossowski narra che prima di addentrarsi nel bosco per morire della propria visione, Atteone si trovi davanti ad un affresco raffigurante la dea cacciatrice. Abbagliato dalla visione, Atteone assesta con lo sgabello un colpo mortale al pittore. Aristeo, interpretando questo gesto come un atto di malvagità, lancia contro il proprio figlio un’anatema, ma mentre avviene tutto ciò, incredibilmente appare sull’affresco l’immagine del corpo impassibile di Diana posseduto da Atteone travestito con la testa di cervo.
Nella narrazione di Klossowski viene evocata una terza figura, il demone intermediario tra la divinità e l’uomo: «Col suo corpo etereo, il demone simula Diana manifesta, e ispira ad Atteone il desiderio e la speranza insensata di possedere la dea. Egli diventa l’immaginazione di Atteone e lo specchio di Diana» (Klossowski 2003, p. 57). Ma cos’è questo demone intermediario? La nuova edizione italiana edita da Orthotes e curata da Alessandra Campo dal titolo La somiglianza, che traduce in forma inedita lo storico scritto La ressemblance del 1984 di Klossowski, ottempera al quesito appena posto analizzando il concetto di somiglianza soprattutto dal punto di vista artistico e comunicativo, nonché filosofico.
Questa edizione appena uscita non sottolinea solamente la necessità di ripensare il pensiero scellerato di Klossowski, ma apre un nuovo capitolo sull’estetica dell’immagine contemporanea, studiata anzitutto a partire dalla pittura fino al cinema. Quest’ultimo toccato già a partire da La moneta vivente, dove il filosofo francese critica il complesso processo di sfruttamento commerciale dell’emozione voluttuosa dell’industria culturale di massa al fine sia di persuadere lo spettatore sia di isolare il godimento erotico che perverte la Natura, il piacere della carne, che potrebbe dare scacco all’erotismo per fini procreativi, istituzionalizzatosi a partire dal cristianesimo.
Come spiega Campo nell’introduzione, l’antropologia messa in campo da Klossowski è triadica: «Spirito, anima e corpo sono i livelli, o soglie, che ne occasionano le vicissitudini e che corrispondono ai nietzscheani: impulso, fantasma e simulacro» (Campo 2022, p. 21). Ma spirito, anima e corpo differiscono in natura e un mediatore è indispensabile per trascorrere dall’uno all’altro. «Dagli impassibili dèi increati alle passionali creature umane, da queste alle loro opere ricreabili ad libitum, è sempre un demone intermediario – ciò che Klossowski chiama anche “valant pour” – ad assicurare la comunicazione» (Ibidem); equivalente del fondo incomunicabile, della sfera impulsionale che abita i moti del corpo e che per Klossowski sono fonte di sapere.
Questa impulsionalità, però, non è cogenerata con l’anima e non è nemmeno un’attribuzione dell’io individuale ma, al contrario, questo fondo impulsionale del soggetto rimette in discussione la stessa soggettività, perché si manifesta muovendo da una sorta di aggressione esterna da parte di forze tendenti a possederlo e a condizionarlo. Tale vessazione da parte di forze e cose a cui è sottoposta l’impulsionalità dei moti del corpo, nel pensiero di Klossowski mette in discussione sia il principium individuationis, la soggettività, l’originale, sia il concetto d’interiorità modernamente inteso; e il presupposto, sia artistico sia filosofico è sempre quello che i personaggi della sua narrativa siano sempre possedibili, ospitali, cosicché la loro consistenza sia simile a quella della cosa. Ma facciamo un passo indietro.
Il demone intermediario, o valant pour, per Klossowski non è altro che l’immagine, più precisamente le immagini della delectatio morosa sadiana che consistono «in quel moto dell’anima attraverso cui essa si porta volontariamente verso immagini di atti carnali o spirituali proibiti per attardarsi nella loro contemplazione» (Klossowski 2017, p. 122). Queste immagini, quindi, diffondono un fantasma, il quale è ciò che fa di noi un caso singolare di contro al significato istituzionale che ci assegna la generalità gregaria del segno linguistico e che nemmeno sotto tortura ci comunica perché gli impulsi lo bramano.
Una delle prime tesi portanti del pensiero klossowskiano è che in ognuno di noi esiste un fondo incomunicabile che non può essere espresso in nessun modo, per cui per tale incomunicabilità possiamo ricorrere solamente a degli equivalenti che le somiglino, a dei valant pour, a delle immagini, le quali non facciano altro che alimentare la tensione tra la necessità di comunicarla e l’impossibilità di riuscirvi:
«In senso soggettivo con “incomunicabile” mi riferisco a ciò che Thomas de Quincey intende con il fardello dell’incomunicabile – che isola il soggetto costringendolo a ricorrere a dei simulacri per “comunicare” il carattere oppressivo di un fantasma, di un ricordo ossessivo, di un fatto vissuto. Ma d’altra parte, e originariamente, assumo questo termine nel suo senso oggettivo – quello stesso definito dagli Scolastici e che non esprime, di meno, un fatto apparentemente irriducibile – l’identità della persona che assicura l’unione dell’anima e del corpo proprio – ciò che rende incomunicabile sia la sua anima a un altro corpo, sia il suo corpo a un’altra anima» (Klossowski 2022, p. 27).
Tra i più importanti saggi che strutturano questa nuova edizione, occorre sottolineare lo splendido Sul quadro come simulacro, dove si fa sentire la grande originalità che pervade il concetto di simulacro secondo Klossowski: «La presenza spaziale del simulacro (nel senso della statutaria dell’antichità latina: simulacrum), evocata ne Il Bagno di Diana, mi condusse piano piano a sviluppare l’accezione di questo termine nel suo implicito significato di simulazione, ovvero a giustificare, praticamente, la propensione imitativa dell’arte tradizionale» (Klossowski 2022, p. 130).
Per Klossowski il simulacro in senso imitativo è l’attualizzazione di qualcosa che in sé è incomunicabile o irrappresentabile, ossia il fantasma nella sua costrizione ossessiva. Ma per segnalarne la presenza, la funzione del simulacro è prima di tutto esorcizzante, perché deve esorcizzare l’ossessione che alimenta il fantasma. Anzitutto, quindi, il simulacro deve imitare ciò che appréhende, nel doppio senso del termine francese, nel fantasma.
Per rappresentare l’irrappresentabile della censura il simulacro deve prendere in prestito, imitare gli stereotipi istituzionali, quindi convenzionali sia del dicibile sia del visibile, come, per esempio, la sintassi classica dell’arte, oppure, tra i più utilizzati da Klossowski, quello dell’idioma corporale, il cui saggio è dedicato a Frédéric Berthet. Attraverso, dunque, un procedimento di osmosi, di compenetrazione tra due contraddizioni, l’arte, la modernità cinematografica, deve imitare, simulare lo stereotipo, delle precise modalità di percezione visiva naturalista della mimesis che imprigionano ossessivamente il fantasma della modernità cinematografica, esorcizzando così l’interstizio tra lo sguardo sulle cose e le cose sullo sguardo:
«L’invenzione di un simulacro procede sempre dalla coscienza di questo processo: gli schemi percettivi stereotipati, specialmente lo schema visivo del corpo umano (del paesaggio, degli oggetti – per come si esprimono nella rappresentazione convenzionale) sono passibili di un’interpretazione idiosincratica, sproporzionata in rapporto allo schema percettivo e, perciò, capace di far risorgere un fantasma occultato dalla stereotipia usuale» (ibidem, p. 131).
Attraverso l’imitazione di uno stereotipo, che Klossowski definisce anche simulacro degradato, il simulacro ripete differenzialmente dall’esterno i fantasmi che abitano il soggetto, il quale, così, si sottomette alle forze impulsionali che lo alimentano, ma revoca anche la propria individualità, divenendo succube della cosa da cui è provocato. E questa ripetizione differenziale riguarda tutti, non solo il povero Atteone, ma anche Diana per esempio, la dea invisibile che ha assistito alla storia del suo discepolo, evocata da Klossowski nel brano La curiosità di Diana.
Perché nello stesso momento in cui l’immaginazione di Atteone viene sempre più pervasa dal desiderio di possedere il corpo impossedibile della dea, nasce dunque in lui una sempre più forte brama erotica, nella dea si fa sempre più viva la curiosità di conoscersi ospitale, possedibile, il capriccio di vedersi prendere, cosicché alla fine sia Atteone che Diana siano incuriositi dallo stesso oggetto: «Una somiglianza sagoma la potenza a monte; una somiglianza la sprigiona a valle. Ma, una volta spettacolarizzata, l’ossessione si macchia di una finzione che non smette di angosciare sia chi l’ha comunicata, sia chi l’ha intesa» (Campo 2022, p. 43).
Grazie, quindi, ad un doppio gioco, il simulacro sovverte la mimesis praxeos grazie ad una simulazione, ad una falsificazione efficace, per creare un’immagine che a sua volta mette in discussione sia il modello, l’originale, la soggettività, senza mai cadere nel ludico, sia l’unicità cultuale della riproduzione artistica. Il fantasma dà vita, ad uno stato di compensazione continua, di scambi, ma affinché ci sia scambio è necessario un valant pour, un equivalente, sia nella sfera del fantasma elaborato a spese del soggetto sia nella sfera esterna dell’oggetto.
Si pensi, a titolo d’esempio, al cinema di Robbe-Grillet, la cui immagine è profondamente klossowskiana. Tramite la fascinazione, l’empatia, uno degli schemi percettivi cardine della mimesis praxeos a cui è sottoposto sia lo spettatore che il personaggio robbe-grillettiano di fronte ad immagini di nudo, il cinema di Robbe-Grillet trasfigura tale schema percettivo perché i suoi personaggi si sottomettono al loro fondo impulsionale, al godimento, mediante atti sodomitici che portano a compimento la morte dell’istinto di procreazione favorendo il passaggio dalla scientia sexualis della classicità all’ars erotica della modernità.
Una simile trasformazione conduce anche al passaggio dalla rappresentazione del Nudo come soggetto alla rappresentazione del Nudo fortuito e del quadro in sé che Klossowski rintraccia in alcuni grandi pittori come Delacroix, Courbet, Manet, Renoir e soprattutto Klee, la cui pittura si è profondamente incentrata su “soggetti” erotici: «Che si tratti di un sentimento narcisistico o di un godimento della propria corporeità, è comunque questo sentimento che, nella fisionomia della donna rappresentata, riflette lo sguardo del pittore […] Un conto è riprodurre l’oggetto che emoziona, un altro è riprodurre quest’emozione stessa, sia attraverso una vibrazione luminosa, sia ricostruendo un insieme di colori che la significhi» (Klossowski 2022, p. 126).
In questo secondo caso, per Klossowski siamo in un mondo, con l’incomunicabile esperienza che ognuno di noi può averne, dove la nudità e l’universo tutto intero si comunicano solo attraverso degli ideogrammi, dei geroglifici da decifrare che non rimandano ad alcun referente esterno, nei quali è il loro senso in sé a dare forma all’incomunicabile che rifiuta qualsiasi simbolizzazione; stile che, ancora una volta, ha nell’osmosi, nel superamento del principio di non contraddizione tramite l’imitazione dei simulacri degradati, il proprio punto di partenza.
La filosofia perversa di Klossowski, dal latino perversus, colui che “stravolge” e da perversitas, l’attività dello stravolgere, del rovesciare, del ribaltare un luogo comune, promuove continuamente un doppio movimento, sia di perversione del corpo, della sessualità attraverso un atto contro natura, sia di perversione del platonismo, svilendone le copie-icone per amplificare l’intensità dei fantasmi-simulacri, ma in entrambi i casi l’effetto è sempre quello di dissolutezza, decadenza e disfacimento. Gli atti sodomitici che i personaggi perversi della letteratura klossowskiana esprimono sono degli atti apatici che promuovono una partecipazione impartecipe, il cui obiettivo non è altro che quello di dare forma alla sadiana reiterazione dell’atto perverso senz’alcun scopo ultimativo e conoscitivo, sottolineando anche la distruzione del mythos, della correlazione di causa-effetto.
Oltre che da Sade, il concetto di apatia o di pathos Klossowski lo sviluppa analizzando il pensiero di Bataille nel saggio Sul simulacro nella comunicazione di Georges Bataille. Per Bataille i momenti di pathos, sono momenti di assenza di pathos, di partecipazione impartecipe dove avviene la fuga dell’essere, la vacanza dell’io, e la morte del pensiero, cosìcché dal non-sapere nasca un nuovo sapere. Questi momenti di dépense, di dispendio di energia in pura perdita, senz’alcun fine conoscitivo, corrispondono all’estasi, all’angoscia, al riso, all’effusione erotica e sacrificale, e questi non sono altro che simulacri comunicativi, perché il linguaggio nozionale è incapace di comunicarli.
Allo stesso tempo, questi momenti sovrani promuovono la sussistenza dell’esistente nonostante la sua discontinuità, vale a dire la fuga dell’essere fuori dall’esistenza, cioè la rappresentazione della non-identità a partire dall’identità. Grazie alla sperimentazione di uno di questi momenti di pathos (riso, effusioni erotiche, estasi…), il soggetto per Bataille fugge dalla propria esistenza e si promuove verso la morte del pensiero, che l’ateologia del filosofo francese definisce anche come vacanza di Dio.
Ancora una volta, però, il soggetto deve ricorrere ad una strategia mimetica, osmotica, perché l’abolizione dell’identità e del proprio linguaggio nozionale deve sempre nascere a partire dalle nozioni e dalle identità, non offrendone mai altra cosa che il simulacro: «Così capita all’estasi, perché l’estasi, pur essendo, contemporaneamente, un contenuto di esperienza e un valore in quanto momento sovrano, si sottrae al linguaggio nozionale solo rivelandosi come simulacro della morte» (Klossowski 2022, p. 98), cioè della morte del pensiero, ossia simulacro della soggettività, dell’originale, del modello.
Per concludere, si pensi ad Irréversible (Noé, 2002) di Gaspar Noé, uno dei film manifesto della New French Extremity, che ha fatto del pensiero di Bataille il proprio fulcro d’ispirazione e si pensi in particolar modo al piano sequenza dell’atto sodomitico che subisce Alex (Monica Bellucci) da parte del perverso Le Tenia (Jo Prestia) nel sottopassaggio pedonale. Con l’immagine di quest’atto sodomita, di questo momento sovrano, di vera e propria estasi per il perverso, quest’ultimo non fa altro che avvicinarsi alla propria discontinuità, alla fuga dalla propria esistenza tramite un atto esistenziale. Ma anche alla morte del proprio pensiero, alla vacanza dell’io che per Bataille corrisponde alla vacanza di Dio, promosso in tal caso dall’ars erotica, un atto sessuale apatico o anche patetico legato al godimento, che vale per se stesso e basta, e che si oppone drasticamente verso fini procreativi e verso il mythos della prassi.
Riferimenti bibliografici
P. Klossowski, La somiglianza, Orthotes, Napoli-Salerno 2022.
Id., Il bagno di Diana, SE, Milano 2003.
Id., La moneta vivente, Mimesis, Milano-Udine 2008.
Id., Sade prossimo mio, SE, Milano 2017.
A. Marroni, Pierre Klossowski. Sessualità, vizio e complotto nella filosofia, Costa&Nolan, Ancona-Milano 1999.